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Esigenze primarie: intervista a Giovanni Giorgi
ByChi partecipa a un nostro concerto effettua insieme a noi una sorta di viaggio attraverso sentieri musicali non predefiniti.
All About Jazz Italia: Qual è il fine del progetto The Plug, da te condotto in collaborazione con Andrea Lombardini, Sergio Cocchi e con ospite Gianluca Petrella?
Giovanni Giorgi: Tutto nasce da un'esigenza primaria, che è quella di documentare su disco un certo tipo di processo, sia a livello di ricerca sonora che di realizzazione. L'obiettivo è quello di far girare il più possibile la musica, arrivare in concerto anche all'estero dove pensiamo che questo tipo di suono abbia più facile albergo.
AAJ: Il vostro è un trio strutturato in maniera non convenzionale. A che tipo di ascoltatore vi rivolgete?
G.G.: La formula del trio trombone-basso-batteria era stata esplorata nel 1976 da Albert Mangelsdorff, Alphonse Mouzon e Jaco Pastorius. Noi in più abbiamo l'elettronica e la voce. Essenzialmente c'è una componente improvvisata, ad esempio Petrella suona con un istinto molto radicato e crea stimoli sempre nuovi all'interno dei brani che in alcuni casi hanno strutture ben definite. La direzione musicale può variare improvvisamente; diciamo che chi partecipa a un nostro concerto effettua insieme a noi una sorta di viaggio attraverso sentieri musicali non predefiniti. Il brano "2880," che suono in duo con Gianluca in studio e anche dal vivo, rende l'idea di come elettronica e improvvisazione acustica possano coesistere ed essere tra loro complementari.
AAJ: Quanto è importante nei vostri meccanismi la parte vocale e il ruolo di Sergio Cocchi?
G.G.: È importantissima. Sergio non è solo il cantante della band, ma contribuisce, insieme a me e ad Andrea, a dare forma ai brani e scrive i testi. Penso, e non sono il solo, che sia un performer di assoluta grandezza e di straordinaria sensibilità. Collaboriamo insieme da anni ed io suono nel suo progetto Foundaction.
AAJ: In che modo vi proponete dal vivo?
G.G.: Dal vivo abbiamo i nostri strumenti acustici più l'elettronica, non è infrequente che oltre ai campionamenti ognuno di noi decida di filtrare il suo suono attraverso macchine analogiche presenti sul palco. Per realizzare tutto ciò mi sento di ringraziare Yamaha, Zildjian, Vic Firth e Remo per la loro insuperabile disponibilità e assistenza.
AAJ: Come si è sviluppata in studio l'idea dell'album Dawn?
G.G.: Da tempo cercavo di concretizzare una modalità che unisse elettronica e suono acustico. Il problema è che la musica elettronica prevede poco l'inserimento di strumenti come batteria (di solito è programmata) e altri strumenti acustici. Ho cercato di metabolizzare le idee eccellenti di alcuni dei miei riferimenti, uno tra tutti il lavoro che Squarepusher fa con le voci e con la ritmica, e fonderle con il suono acustico in modo da portare tutto su un piano unico di ascolto. Il concetto in studio poi, è stato quello di suonare i brani senza fermarsi per 15-20 minuti su tracce molto lunghe di elettronica e voce, in questo modo ho potuto rendermi conto successivamente di cosa era interessante e di cosa era superfluo, un po' il concetto applicato da Miles Davis in Bitches Brew.
AAJ: In scaletta troviamo la title track dedicata a Bjork. È il vostro principale punto di riferimento?
G.G.: I nostri ascolti vanno da Stravinskij a Zappa, dai Radiohead a Joni Mitchell a Charles Mingus a tantissimi altri. Ho chiesto a Sergio di dare alla song "Dawn" un'interpretazione che richiamasse Bjork, perché il bpm ed il mood del brano ben si adatta a quel tipo di atmosfera che ho tanto ascoltato in Vespertine, un bellissimo album nel quale l'orchestrazione e i cori sono curati da Vince Mendoza.
AAJ: Ci sono anche un paio di cover.
G.G.: I brani "Since I've Been Loving You" dei Led Zeppelin e "Sad Song" di Carla Bley li ha proposti Andrea. Oltre a essere un incredibile musicista e compositore è un grande e attento ascoltatore di musica.
AAJ: In "Dunbar" ci sono dei poemi di Paul Laurence Dunbar. Perché avete deciso di metterli in musica?
G.G.: Dunbar è considerato il primo padre riconosciuto della poesia afroamericana. In "Dunbar part one/two" il testo è dato da due suoi poemi, sono due brevi poesie semplici e splendide, dove la scelta delle parole, il loro suono e ritmo sono perfettamente in armonia con le immagini che creano. Il primo testo, "A Golden Day," è una storia d'amore che rende magica una giornata di maggio. Il secondo, "Morning," è una descrizione della bellezza della natura nelle prime fasi del mattino, e delle sensazioni che tutto ciò produce nell'animo umano.
AAJ: Avete in mente di espandere il progetto ad altri musicisti e in che modo pensate di proseguire il cammino?
G.G.: L'idea è quella di elaborare ed espandere il materiale nei live, scrivere altra musica e collaborare con musicisti che come noi siano interessati alla sperimentazione e alla ricerca del suono.
AAJ: Oltre a The Plug in quali altri progetti sei coinvolto?
G.G.: Sempre per la MyFavorite, l'etichetta di Patrizio Romano, è uscito quest'anno Little Wonder, album dei The Thrust, gruppo storico che ho con i fratelli Pepe e Pancho Ragonese, trombettista e pianista, due musicisti e soprattutto amici con i quali ho la fortuna di condividere un percorso musicale che dura da dieci anni. Suono in altre formazioni come sideman e mi piace prendere parte a progetti interessanti e gestiti da musicisti di valore. Inoltre quest'anno terminerò un album a mio nome che vede le partecipazioni di importanti nomi dell'ambito jazz e pop.
AAJ: Coltivi altri interessi al di fuori di quello strettamente musicale?
G.G.: Sto realizzando casa ed il mio interesse primario ora e che tutto sia a posto entro il 2011. La musica prende il 90% del mio tempo, per cui quando sono a casa e riesco ad avere dei momenti liberi preferisco passarli con Simona, la mia fidanzata che mi supporta (e sopporta) da anni. Insieme organizziamo viaggi nei quali stacco dal mio lavoro e mi dedico ad altro.
Foto di Luca Bianchi.
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