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Dario Savino Doronzo: Riletture tra storia e modernità

Dario Savino Doronzo: Riletture tra storia e modernità

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Le opere classiche offrono all'ascoltatore echi e tracce di un passato da conoscere e in cui riconoscersi, attraverso un processo di comprensione degli strumenti della memoria che ci consentono di comprendere meglio il nostro presente e diventare consapevoli di ciò che ci circonda.
Far convivere Opera e jazz in un unicum coeso ed equilibrato è cosa non facile. Il flicornista Dario Savino Doronzo con il progetto Re-Imagine, insieme al pianista Pietro Gallo, riesce nell'impresa creando con il recente album, Reimagining Opera (Digressione Music), un convincente incontro tra due mondi all'apparenza lontani. Il disco contiene una selezione di famose arie di autori italiani che, attraverso un minuzioso lavoro di arrangiamento, vengono rivestite di inediti colori timbrici e strutture armoniche e ritmiche, mantenendo nello stesso tempo l'originale essenza espressiva. Gli spazi sonori costruiti al pianoforte da Pietro Gallo nella duplice veste di accompagnatore e solista, garantiscono un forte impatto emozionale e fanno da sfondo al suono evocativo di Dario Savino Doronzo tra improvvisazioni, melodie e lunghi respiri.

A seguito della nascita della loro collaborazione nel 2014, Doronzo e Gallo hanno tenuto numerosi concerti per prestigiose organizzazioni musicali e culturali italiane e internazionali, arrivando ad esibirsi in un tempio della musica come la Carnegie Hall di New York.

Presenza importante nel disco, nella veste di ospite, è quella del musicista e compositore francese Michel Godard al serpentone. Suo il brano di chiusura del lavoro dal titolo "Fruccia d'ali," ispirato al brano "Pur ti miro" di Claudio Monteverdi, che offre ulteriore spessore a un intenso quanto poetico lavoro che riesce a creare un ponte ideale tra storia e modernità.

All About Jazz: Iniziamo dal titolo del disco: da dove parte il tuo bisogno di rileggere in modo personale famose arie d'Opera?

Dario Savino Doronzo: Il titolo del disco riassume le intenzioni del progetto, ossia la rilettura delle Opere italiane. "Rileggere" significa interpretare con occhi diversi. Ci siamo concentrati su Opere classiche che offrono all'ascoltatore echi e tracce di un passato da conoscere e in cui riconoscersi, attraverso un processo di comprensione degli strumenti della memoria che ci consentono di comprendere meglio il nostro presente e diventare consapevoli di ciò che ci circonda. Per me questo progetto ha rappresentato una catarsi personale perché ha inciso profondamente sul mio modo di vedere la classicità e la modernità. Si è rivelato un esperimento artistico creativo che mi ha permesso di rinnovare il mio personale sguardo sul mondo, offrendomi un cambio di prospettiva.

AAJ: Quali sono i punti di contatto tra l'universo della musica colta e l'essenza del linguaggio jazzistico, spesso considerati non compatibili o addirittura posti in ruoli conflittuali tra loro?

DSD: La convivenza organica tra queste due forme esiste da molto tempo . Si è creata una polifonia inconsueta ma assolutamente piena di emozioni tra musica classica e improvvisazione jazz. Ovviamente, all'inizio, come qualsiasi esperimento, questa fusione si è mossa tra luci ed ombre. Molti errori derivano dalla volontà di far prevalere un'arte rispetto all'altra o di voler creare una simbiosi che non esisteva. Penso che le riserve espresse da molti critici dipendessero da questo. L'esperimento invece risulta vincente quando si crea una condivisione e accoglienza delle caratteristiche peculiari delle due arti. In questo modo, da un esperimento apparentemente azzardato, possono nascere risultati originali.

AAJ: Quale è stato il criterio di scelta delle partiture operistiche e come ha influito sul risultato finale il lavoro di arraggiamento dei singoli brani?

DSD: Non è stato facile decidere, scegliere e, di conseguenza, tralasciare diverse partiture. Volevamo creare un percorso che rispecchiasse la nostra personalità e soprattutto il nostro modo di guardare la musica. Alcune melodie ci hanno scelto perché ci hanno lasciato senza parole. E poi, le abbiamo studiate tanto, per comprenderne il loro significato, la loro storia. La nostra riconoscenza va al maestro Gianluigi Giannatempo che ci ha guidato in questo processo di approfondimento mettendo in evidenza le innumerevoli emozioni e i significati reconditi di queste storiche partiture.

AAJ: Quanto è stato importante nel tuo percorso artistico la ricerca di un suono personale attraverso cui esprimere la tua specifica identità musicale?

DSD: L'ascolto dei grandi musicisti jazz mi ha aiutato molto. Ho studiato a lungo il loro percorso musicale, mi sono appassionato alla loro vita attraverso la lettura delle loro biografie. Ho percepito lo stretto legame che esiste tra lo strumento e il musicista ed è proprio da quel momento che sono riuscito a raggiungere quella "simbiosi" di cui parlavano i miei maestri. Quando ti senti tutt'uno con il tuo strumento, nasce il tuo suono distintivo, ossia ciò che ti caratterizza musicalmente. È come se fosse la tua "voce." Tutti noi, ad occhi chiusi, riusciamo ad abbinare una persona alla sua voce. Mi emoziona pensare che il pubblico mi possa riconoscere e identificare dal mio suono.

AAJ: Mi puoi parlare dei musicisti che ti hanno accompagnato nella realizzazione del disco, Pietro Gallo e Michel Godard,?

DSD: Pietro Gallo è un caro amico. Veniamo dalla stessa terra, abbiamo le stesse radici e idee. Ci siamo conosciuti anni fa durante un viaggio in Serbia e da quel momento è nato il nostro sodalizio artistico. È avvenuto naturalmente, condividendo idee e passioni. Sicuramente ci ha unito la comune volontà di viaggiare e portare la nostra musica nel mondo creando quell'alchimia artistica che ha costituito le fondamenta del nostro lavoro discografico. La collaborazione con Godard, invece, nasce dalla profonda stima che io e Pietro abbiamo nei suoi confronti. È uno dei pochi musicisti che suona uno strumento così antico ed evocativo come il serpentone. Ci ha rapito la sua delicatezza, simpatia, professionalità ed il suo entusiasmo. Ha subito accolto con passione il nostro progetto, buttandosi a capofitto nei lavori d'incisione. È un professionista straordinario che non smetterò mai di ringraziare.

AAJ: Vi siete esibiti nel 2017 in una delle sale da concerto più importanti al mondo, la Carnegie Hall di New York: che cosa ha significato per te questa esperienza?

DSD: Se penso a tutto ciò che ho provato quel giorno, mi vengono ancora i brividi. Certamente è stata una delle esperienze più belle della mia carriera. È stato come vivere un sogno. Calcare il palco di uno dei teatri più importanti al mondo, su cui hanno suonato i tuoi idoli, non ha prezzo. Ricordo la paura e l'adrenalina. Poi l'estasi finale, con la standing ovation del pubblico. Oltre alle splendide emozioni, questa esperienza mi ha regalato maggiori consapevolezza personale e maturità artistica, necessarie per progredire nella mia carriera .

AAJ: Oltre all'attività strumentale e concertistica ti dedichi anche alla scrittura di saggi musicologici e all'attività didattica.

DSD: Essere musicista per me ha un valore immenso che va al di là dell'esperienza concertistica. Significa poter trasmettere degli insegnamenti agli studenti, immergermi in esperienze che ogni giorno mi fanno riscoprire il valore altamente educativo della musica. Un maestro ti cambia la vita, ti ispira e ti permette di essere fuori dal gregge, di migliorare te stesso e quindi il mondo. Ecco perché la didattica per me ha un valore molto importante che s'intreccia indissolubilmente con il mio lavoro da musicista. Poi, la scrittura nell'ambito della ricerca musicale mi ha sempre affascinato. Sono un perfezionista... mi piace ricercare, informarmi, studiare per migliorarmi e guardare con occhi sempre più attenti il mondo artistico.

AAJ: Hai applicato i tuoi studi di ingegneria alla musica focalizzando la tua attenzione sul marketing territoriale: come si sono sviluppati tali approcci di ricerca?

DSD: L'ingegneria è la mia seconda passione. Innanzitutto, l'ingegneria edile. Ecco il motivo che mi ha spinto ad analizzare la genesi degli eventi, soprattutto musicali, e scoprire come essi, assumendo un peso crescente nelle politiche di sviluppo e promozione del territorio, abbiano prodotto impatti considerevoli da molteplici punti di vista. Questi studi mi stanno appassionando sempre più. Recentemente è stato pubblicato il mio volume di marketing territoriale "Gli eventi musicali come elemento di valorizzazione del patrimonio urbano" volto a classificare e analizzare le peculiarità principali che contraddistinguono la natura delle manifestazioni culturali. Le tematiche affrontate nel volume sono state oggetto di numerose conferenze e convegni in Italia e all'estero. Inoltre, l'ingegneria legata alla musica mi ha consentito di scoprire le complesse leggi dell'acustica. È veramente affascinante studiare tutto ciò che gravita intorno alla produzione, trasmissione e modulazione del suono.

AAJ: Quanto sono importanti per il tuo modo di essere musicista gli aspetti sociali della musica?

DSD: Come affermava Beethoven, la musica è "una rivelazione. La più alta, più di qualsiasi saggezza e di qualsiasi filosofia. Vale, anzi, tutte le filosofie del mondo." Anch'io credo fermamente, da docente, che la musica, per il suo grande potere comunicativo, permetta ai più piccoli di esplorare e scoprire il proprio mondo interiore e quindi di accrescere e affinare la propria affettività. Conoscere sé stessi attraverso la musica ci permette di ascoltare ed avere rispetto delle emozioni dell'altro, di interiorizzare comportamenti sociali ed educativi responsabili. La musica istruisce e crea un profondo legame con l'impegno civile. Ecco perché mi sento assolutamente coinvolto in questa che posso definire la mia "vocazione," ossia l'assoluto impegno nell'essere portavoce di un'idea di musica accogliente ed inclusiva.

AAJ: Nelle note di copertina parli di speranze, positività, culture lontane che trovano una comune dimensione in arie scritte quattrocento anni fa: una possibilità per costruire il presente attraverso la memoria del passato?

DSD: Per me la classicità è memoria. È riconoscere sé stessi ma anche scoprire diverse culture, aprirsi all'altro. Le Opere classiche custodiscono "l'immaginazione" e offrono uno strumento essenziale per scoprire le società del passato, che certamente non avevano i nostri mezzi di conoscenza. Sognavano scenari inimmaginabili, desideravano scavalcare confini, osservare l'universo. Oggi conosciamo tutto, ma non abbiamo la stessa capacità di immaginazione. Come più volte sottolineato da Leopardi, essa è la prima fonte di felicità umana. Il mondo moderno ha un debito di gratitudine nei confronti dell'Opera. La memoria di queste Opere racconta di noi. C'è sempre un principio da cui non si può prescindere, come nel legame tra madre e figlio. Attraverso la memoria si crea la propria identità sociale, oggi compromessa dal mondo globalizzato che allarga lo spazio geografico in un'ottica multiculturale. Ecco perché scoprire le proprie origini è importante, serve a riappropriarsi della propria identità e soggettività. Un solido punto di partenza per immergersi, carichi di positività e conforto, verso la scoperta di nuovi mondi vicini e lontani.

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