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Complete Masada
Il progetto Masada del sassofonista e compositore John Zorn ha generato nel tempo talmente tante derivazioni che forse la definizione di "Complete Masada" per questa serie di concerti tenuti al'Auditorium di Roma appare eccessiva. Ma l'eccesso fa parte anche del personaggio, a cominciare dalla sterminata produzione di lavori e avvenimenti, e l'occasione di ascoltare in tre serate 15 musicisti dell'entourage zorniano in nove distinti concerti per altrettante formazioni è sicuramente tanto ghiotta quanto rara.
Certo, questa rassegna non può essere paragonata al mese intero di concerti tenuti al Tonic di New York nel settembre 2003 in occasione delle celebrazioni per il cinquantesimo compleanno dell'artista (quella rimane la più completa esplorazione dell'universo zorniano, documentata anche da diverse incisioni discografiche appositamente realizzate), ma essendo concentrata esclusivamente sul progetto Masada ha il vantaggio di essere aggiornata al suo secondo songbook, 'Book of Angels', partito nel 2004, comprendendo alcune delle formazioni strumentali che ne hanno finora realizzato discograficamente le proprie interpretazioni.
La collocazione nella sala interna principale dell'Auditorium, anziché nell'anfiteatro all'aperto dove normalmente si svolgono i concerti estivi, ha permesso di apprezzare pienamente tutte le sfumature della musica presentata nel corso della rassegna, grazie all'acustica ambientale e a un'amplificazione strumentale pressoché perfette.
La prima serata si è aperta con il violoncello solo di Erik Friedlander. Dotato di una tecnica completa e versatile, ha fatto spesso ricorso al pizzicato, con fraseggi di tipo chitarristico. La sua rilettura dei temi zorniani è stata improntata a una solennità classica, tipicamente cameristica, con poco o nullo ricorso all'improvvisazione.
Seguiva poi il trio di Jamie Saft, impegnato al piano acustico, accompagnato da Greg Cohen al contrabbasso e Kenny Wollesen alla batteria (in sostituzione di Ben Perowski presente in Astaroth, disco che ha inaugurato la serie dei Book of Angels). Saft si conferma pianista brillante anche allo strumento acustico, e nel breve set ha alternato momenti lirici a forsennate escursioni sulla tastiera, sempre sostenuto dal contrabbasso preciso e pulsante di Cohen e dalle invenzioni percussive di Wollesen.
Ma l'attrazione principale della serata era sicuramente rappresentata dal sestetto Bar Kokhba, una delle più riuscite realizzazioni di tutto il progetto Masada, in grado di spaziare a piacimento tra avanguardia e tradizione, composizione e improvvisazione, jazz e contemporanea. Gli strumenti a corda (gli archi di Cohen, Feldman e Friedlander e la chitarra di Ribot) e quelli a percussione (la batteria di Baron e le percussioni di Baptista) si complementano alla perfezione sotto l'abile e assidua direzione di Zorn, che come di consuetudine gestisce il gruppo sul palco regolando le dinamiche, indicando di volta in volta il solista di turno, e inserendo saltuariamente episodi di caos organizzato segnalato ai musicisti. Il repertorio è prevalentemente quello classico del primo Masada songbook, già ampiamente collaudato e rodato ma sempre emozionante. Nel bis salgono sul palco anche gli altri due musicisti che hanno partecipato alla serata, Saft al piano e Wollesen che si deve forzatamente limitare a un piatto e un rullante, lasciando a Baron il ruolo di batterista.
La seconda sera segue lo schema comune a tutta la rassegna dei tre concerti consecutivi, separati solo dal minimo di tempo necessario per l'allestimento del palco tra l'uno e l'altro. Comincia il nuovo trio di Ribot, denominato Asmodeus, che ha appena pubblicato il Book of Angels Vol. 7; anche in questo caso Zorn è presente sul palco per la direzione dei musicisti. L'impatto è subito frastornante, un muro sonoro che travolge il pubblico a volume altissimo. Tutto il set si mantiene su livelli energetici estremamente sostenuti, da puro power trio rock, grazie anche alla carica del batterista Calvin Weston e ai possenti riff del basso di Trevor Dunn. Ribot sfodera tutta la sua grinta chitarristica sullo strumento elettrico, con assoli penetranti e lancinanti, rivelando un aspetto del progetto Masada ancora scarsamente esplorato.
Il duo violino/pianoforte di Mark Feldman e Sylvie Courvoisier riporta l'attenzione sul versante più cameristico, con arrangiamenti più sobri e rigorosi. L'affiatamento dei due artisti (che fanno coppia anche nella vita) è impeccabile, e l'interpretazione data dei temi di Zorn è lirica e intensa, da concertisti classici.
Chiude la serata il quartetto Masada, la prima pietra del progetto musicale omonimo edificato nel corso degli anni, nella sua formazione standard col trombettista Dave Douglas a fianco di Zorn, Cohen e Baron, a quasi un anno di distanza dall'ultima apparizione romana. Nei suoi quasi quattordici anni di attività il quartetto ha lasciato abbondanti testimonianze della sua musica, ugualmente basata sul jazz di Ornette Coleman e la tradizione sefarditica ebraica. Difficile aspettarsi novità, dunque: eppure la fantasia e l'invenzione continua di cui sono capaci questi straordinari musicisti riesce ogni volta a rinnovare l'emozione e l'entusiasmo di chi ascolta, coinvolto nel gioco alla pari degli artisti che danno sempre mostra di divertirsi.
La serata finale si apre col concerto in solo di Uri Caine, uno degli ultimi musicisti entrati a far parte del progetto Masada, alle prese con i temi recentemente pubblicati nel Book of Angels, Vol. 6 raccolti sotto il titolo di Moloch. Sulla carta, l'incontro tra Zorn e Caine è uno dei più stimolanti, ma anche dei più rischiosi, data la forte personalità di entrambi; in pratica, la matrice zorniana viene trasfigurata dal pianismo di Caine senza perdere la propria identità, ma arricchendosi del personale contributo del pianista. Lo stile di Caine è una sintesi della letteratura pianistica del Novecento, sia classica che jazzistica, e le sue riletture dei temi di Zorn spaziano dal lirismo jarrettiano all'esplosione di cluster sonori, penalizzato solo da una certa rigidità nei tempi e un impiego limitato della dinamica.
Il Masada String Trio, di seguito, ha fornito un altro set di altissimo livello; da sottolineare la straordinaria prova dei tre musicisti, Feldman su tutti, e la incredibile coesione di cui sono capaci sotto l'attenta direzione di Zorn. Non c'è soluzione di continuità nel succedersi degli assoli, con le linee melodiche intrecciate in un unico capo per cinquanta minuti di musica intensa e raffinata, superbamente eseguita.
La formazione degli Electric Masada non ha mai avuto nel tempo la stessa stabilità degli altri gruppi di Zorn legati a questo progetto, cambiando a rotazione un po' tutti i musicisti a seconda della loro disponibilità; l'ottetto che si è presentato sul palco dell'Auditorium ne rappresenta comunque una delle incarnazioni più frequenti, immortalata nel 50th Birthday Celebration volume 4, nella versione con due batteristi (Wollesen e Baron), Trevor Dunn al basso elettrico, Marc Ribot alla chitarra, Cyro Baptista alle percussioni, Jamie Saft al piano elettrico, Ikue Mori all'elettronica (controllata da laptop), oltre naturalmente al leader impegnato al sax alto e a condurre i musicisti. L'impatto è stato scioccante fin dal primo accordo, un muro sonoro che ha fatto sobbalzare la platea, e ha dato l'avvio a un concerto entusiasmante. Tutto giocato in chiave rock come consuetudine per questo gruppo, centrato sui riff del basso di Dunn e gli assoli tesi e distorti di Ribot, vero protagonista della serata, sul tappeto ritmico fornito dai tre percussionisti, in una versione espansa e ulteriormente potenziata del trio Asmodeus ascoltato la sera precedente.
Un set travolgente e trascinante come pochi, un flusso di energia continuo tra i musicisti e il pubblico, con Zorn impegnato a condurre il gioco indicando i solisti (anche due o tre alla volta), i crescendo e gli stacchi, oltre che a esibirsi personalmente in qualche assolo. Pubblico entusiasta, tanto da richiamare per ben due volte gli artisti sul palco, e consapevole di avere assistito a un vero evento, che ha chiuso in bellezza la tre giorni del festival.
Bilancio quindi assolutamente positivo per tutta la manifestazione, mantenutasi su altissimi livelli qualitativi per tutti i nove concerti, a conferma che il progetto Masada ha ancora molto da proporre. Un plauso anche a RadioTre, che ha trasmesso la diretta parziale della seconda serata (il quartetto Masada) e quella integrale dell'ultima sera, permettendo non solo ai presenti di gustare l'avvenimento.
Foto di Claudio Casanova
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