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Black California - prima parte

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Che ruolo ha svolto la comunità musicale afro-americana in California?

Quando si parla di West Coast Jazz l'immaginario collettivo rievoca automaticamente le raffinate orchestrazioni di Shorty Rogers, i pieni orchestrali di Stan Kenton, il Four Brothers Sound, Chet Baker/Gerry Mulligan, Dave Brubeck/Paul Desmond, la cartolina del Lighthouse o le copertine ingiallite dei dischi Pacific o Contemporary con i musicisti in posa sulle spiagge del pacifico.

In poche parole, il capitolo California è diventato sinonimo di "West Coast Jazz," intendendo con questo termine il jazz moderno suonato nella regione dai gruppi bianchi degli anni cinquanta: i suoi caratteri peculiari privilegiavano la dimensione melodica, la compostezza espressiva, gli impasti timbrici levigati (con abbondare di flauti, oboe, violoncelli, eccetera) e le raffinatezze armoniche.

Oltre al "West Coast Jazz" la Costa Occidentale degli Stati Uniti è ricordata per il dixieland revival del decennio precedente mentre il ruolo della comunità nera di Los Angeles è stato profondamente sottovalutato: i singoli jazzmen sono stati assimilati all'estetica bianca e la minoranza afro-americana si è vista negare o ammorbidire i contenuti e le forme della sua tradizione. Una semplificazione che spiegava la presunta "debolezza" del jazz afro-americano sulla West Coast con il clima mite e la minore incidenza di conflitti economico-razziali. Tutto sereno allora? Strano però che il ghetto nero di Los Angeles abbia registrato le rivolte più violente della storia americana e che proprio in California siano nati il free jazz di Ornette Coleman, i primi concetti mingusiani o l'hard-bop del quintetto Max Roach-Clifford Brown. Sono le classiche cattedrali nel deserto? Non ne siamo convinti: la realtà è più complessa e articolata di quanto hanno proposto molte semplificazioni critiche.

In questo scritto ci occupiamo della comunità musicale afro-americana della Costa Occidentale a partire dal secondo dopoguerra, analizzandone peculiarità stilistiche e culturali rispetto al "West Coast Jazz" degli anni cinquanta. Teniamo presente che una separazione riguardante le forme espressive di tradizione culturale nera oppure bianca è insufficiente e può risultare addirittura fuorviante.

La musica dei neri residenti in California deve essere valutata per la sua originalità e questo va fatto indipendentemente dagli stilemi usati dagli artisti in quanto il jazz della Black California ha subito i torti maggiori proprio per il fatto che i suoi esiti artistici sono stati visti in un'ottica derivativa, da un lato rispetto al "West Coast Jazz" e dall'altro rispetto al be-bop e all'hard bop.

La Central Avenue

È indispensabile ricordare che la comunità afro-americana in California non era così esigua e dispersa sul territorio come spesso si crede. Dal 1900 la sua crescita demografica si era raddoppiata ogni vent'anni e negli anni quaranta la scena musicale che si svolgeva nei locali della Central Avenue di Los Angeles raggiunse il massimo fulgore. Quell'arteria rappresentava il cuore dello spettacolo afro-americano: dal 1920 oltre il quaranta per cento della popolazione nera viveva nei palazzi circostanti, nel tragitto tra l'undicesima e la quarantaduesima strada. La via era un concentrato di locali notturni, ristoranti, cinema, sale da ballo e teatri. Il jazz coesisteva accanto al blues, al vaudeville e ad altre forme di spettacolo.

Alcuni maestri di New Orleans avevano raggiunto Los Angeles e S. Francisco già nel 1908 e molti altri si aggiunsero dopo la chiusura dei locali di Storyville: Freddie Keppard e Bunk Johnson vi avevano fatto tappa mentre Jelly Roll Morton e Kid Ory vi avevano soggiornato per qualche anno. Quest'ultimo incise a L.A. nel giugno 1921 uno dei primi dischi realizzati da un jazzista nero di New Orleans (sotto il nome di Spike's Seven Pods of Pepper) e nello stesso anno la Creole Jazz Band di King Oliver compì un lungo tour.

Tuttavia, la California non fu solo un posto di passaggio per il jazz delle origini e vanno ricordate le band di artisti ormai residenti come Papa Mutt Carey, Sonny Clay, Curtis Mosby, Les Hite e Paul Howard. I Quality Serenaders guidati da quest'ultimo erano i più famosi e annoveravano i giovani Lawrence Brown (che poco dopo suonò con Ellington) e Lionel Hampton.

L'avvento del cinema sonoro nel 1927 e il fiorire di Hollywood, l'esplosione della Swing Craze nel 1935 (che ricordiamo iniziò proprio a L.A. col concerto di Benny Goodman al Palomar Ballroom) ma soprattutto l'attacco giapponese a Pearl Harbour, che nel dicembre 1941 fece della California il retrovia della guerra in Pacifico, accrebbero la generale richiesta di musica, portando prosperità ai locali della Costa Occidentale.

Il nucleo dei musicisti afro-americani era intanto cresciuto in termini qualitativi e quantitativi. Nei locali della Central Avenue si esibivano i massimi protagonisti del jazz e nei primi anni quaranta vi si potevano ascoltare abitualmente Art Tatum, Billie Holiday, Benny Carter, Sy Oliver, Don Redman, Duke Ellington, Lester Young, il giovane Nat Cole e altri protagonisti.

È ancora importante ricordare che negli anni quaranta Los Angeles era già un florido centro per il blues e il gospel e continuerà ad esserlo nei decenni successivi. Con l'espandersi del mercato discografico e la nascita delle etichette indipendenti la musica profana e quella religiosa trovarono a L.A. un florido terreno commerciale. Furono due musicisti afroamericani, i fratelli Renè, i primi a fondare una casa discografica indipendente, l'Exclusive Records. A questa se ne aggiunsero altre gestite da ebrei come la Specialty o l'Aladdin.

Ma torniamo al jazz. Come ricorda Red Callender nell'autobiografia Unfinished Dream la famiglia di Lester Young viveva nei paraggi della Central Avenue e suo fratello Lee aveva organizzato un complesso che divenne stabile al club Billy Berg's Capri: nella formazione c'erano anche Callender e il tenorista "Bumps" Meyers. Le partiture erano di Nat Cole e di Gerald Wilson. Quando Lester lasciò l'orchestra di Count Basie si unì per molti mesi alla band. Anche Fletcher Henderson era stabile a Los Angeles e Callender ricorda di aver accompagnato Jimmy Blanton nella sua casa per un lungo duo contrabbasso-piano.

Parecchi locali della Central Avenue avevano un pubblico interrazziale ed erano divenuti il ritrovo di musicisti, ballerini, attori e celebrità come Mae West, Orson Welles, Lana Turner, Bill Robinson, Joe Louis, John Steinbeck. I locali si chiamavano Club Alabam, Jack's Basket Room, Last Word, Memo, Downbeat, Chicken Shack eccetera. Proprietaria di quest'ultimo era Ivie Anderson, la cantante di Duke Ellington, mentre il campione nero di pugilato Jack Johnson ne aveva aperto uno all'interno del Dumbar Hotel, il più esclusivo albergo della città per afro-americani.

Protagonisti della scena erano i musicisti neri, tra i quali già emergevano giovani losangelini (nati o acquisiti) come Buddy Collette, Charles Mingus, Chico Hamilton, Ernie Royal, Dexter Gordon, Britt Woodman.

Questi ragazzi, non ancora ventenni nel 1940, studiavano e svolgevano le prime esperienze professionali. Molti si formarono agli insegnamenti dei mitici Samuel Browne, professore alla Jefferson High School, e di Lloyd Reese. Altro protagonista della scena giovanile era Red Callender, appena più grande degli altri ma già musicista arrivato, che dava a Mingus lezioni di contrabbasso.

Tra il 1944 e il '45 a quella pattuglia di giovani talenti se n'era unita un'altra comprendente i sassofonisti Wardell Gray e Lucky Thompson e i trombettisti Gerald Wilson e Howard McGhee, tutti originari di Detroit e alcuni con esperienze di be-bop a New York. Assieme a questi iniziarono a emergere anche i più giovani sassofonisti Sonny Criss e Teddy Edwards, i pianisti Dodo Marmarosa e Hampton Hawes, il batterista Roy Porter, il trombettista Art Farmer e i bassisti Addison Farmer e Curtis Counce. Quasi tutti erano giunti da altri Stati e si stabilirono più o meno lungamente sulla Costa.

Il Be-Bop giunge in California

È opinione diffusa che furono Parker e Gillespie, con la scrittura del dicembre 1945 al Billy's Berg, a portare il bop in California. È certamente vero che i musicisti locali non avevano ancora assimilato il nuovo idioma ma Howard McGhee, che era giunto a L.A. col gruppo "modernista" di Coleman Hawkins, era rimasto in zona e aveva organizzato dai primi mesi del '45 un complesso bop con musicisti locali. Esso comprendeva anche il sassofonisti Teddy Edwards, il batterista Roy Porter e il pianista Dodo Marmarosa. La band si esibì in trasmissioni radio e realizzò anche alcuni dischi.

In quegli stessi mesi sulla West Coast accadevano varie cose interessanti.

Norman Granz aveva inaugurato il suo Jazz at the Philarmonic scritturando i primi artisti di grido; uno di questi fu Lester Young che ricomparve a L.A. e iniziò a incidere la splendida serie per l'Aladdin. La massiccia migrazione nera verso le industrie belliche della California, che ebbe luogo dagli Stati del Sudovest, aveva fatto della regione il luogo di nascita del Rhythm & Blues.

Tra i protagonisti del blues e del R.& B. californiano di quegli anni ricordiamo Charles Brown, Johnny Otis, Percy Mayfield, T-Bone Walker, Joe Liggins, Roy Milton, Cecil Gant, Big Jay McNeely, Amos Milburn. A Los Angeles operava allora anche Lionel Hampton che, come abbiamo accennato, era di formazione californiana: dopo aver lasciato Goodman nel 1940 il vibrafonista guidò una big band che tornava spesso a casa. Il suo focoso sax tenore Illinois Jacquet fu anche scritturato da Granz e divenne in quel periodo la più trascinante stella dello spettacolo.

Quei concerti riproponevano il clima convulso delle jam session frequenti nei locali della Central Avenue e il giovane produttore esportò l'idea nella zona bianca di L.A. e in tutti gli States. Il primo avvio si ebbe al club Billy's Berg di Hollywood (a cui Granz impose la condizione di ammettere la clientela nera) e poi al Philarmonic Auditorium, che finì per etichettare l'iniziativa. L'ultimo avvenimento di quei mesi fu la scrittura, sempre al Billy's Berg nel dicembre 1945, del quintetto di Gillespie e Parker, che dette un impulso notevole al be-bop sulla Costa.

Bird finì per restare in California fino al 25 marzo 1947: la sua presenza stimolò in modo enorme i musicisti residenti ed esaltò le notti degli hipster, descritti da Jack Kerouac.

È stato detto che la scrittura al Billy's Berg fu un fiasco e che Los Angeles accolse con ostilità i boppers venuti da New York. Ciò valeva soprattutto per il pubblico e i musicisti bianchi, specie i più anziani. "Credevano che portavamo qualcosa per distruggere il loro regno" ha detto Howard McGhee in Swing to Bop. Per i neri delle nuove generazioni la presenza di Parker fu invece un evento e modificò parecchio il clima musicale della Central Avenue, di Watts e di Little Tokyo. In quest'ultimo quartiere gli abitanti orientali erano stati deportati per la guerra e la presenza nera era cresciuta.

Un locale di quel distretto, il Finale, divenne il centro del bop in California e le sue jam session attiravano tutti i musicisti moderni, residenti o di passaggio. Se il Billy's Berg perse l'audience dopo le prime sere, uno dei motivi fu il razzismo. Sebbene questi ammettesse la clientela afro-americana, primo tra i locali di Hollywood, la polizia non era tenera verso chi "sconfinava" dai quartieri neri, soprattutto di notte.

La band di Parker al Finale comprendeva Howard McGhee alla tromba, Sonny Criss all'alto, Teddy Edwards e Gene Montgomery ai tenori, Earl Eklin al piano, Bob Kesterson al basso e Roy Porter alla batteria. Una formazione base che ovviamente cambiava ogni sera. Le jam session duravano fino alle sei del mattino con tutti i giovani bopper già citati e con altri come Miles Davis, Joe Albany, Frank Morgan, Red Rodney, Serge Chaloff fino a includere Gerry Mulligan, Stan Getz, Shorty Rogers, Ralph Burns.

Miles Davis ricorda che i frequentatori più assidui erano Sonny Criss, Art Farmer, Red Callender e Charles Mingus. "Charlie Mingus amava Bird - scrive il trombettista nella sua autobiografia - come non ho mai visto nessuno amare qualcun altro. Forse Max Roach amava Bird così ma Mingus, cazzo, veniva a vedere e ad ascoltare Bird praticamente ogni notte".

Charles Mingus

Il contrabbassista suonava allora in un complesso chiamato The Stars of Swing, che purtroppo non ha mai inciso dischi ma secondo le testimonianze rappresentò uno dei più avanzati e personali gruppi dell'epoca. Disse Mingus: "A New York se suonano in cinque, tutti cinque prendono un assolo prima che finisca il brano. Noi in California scrivevamo arrangiamenti elaborati: Buddy Collette, Britt Woodman, John Anderson, Oscar Bradley, Spaulding Givens. Questi al piano scriveva le composizioni più complesse e anche le migliori. La band rimase unita per un po,' ci chiamavamo Stars of Swing e nessuno era il leader... Quel gruppo oggi sarebbe avanguardia ma accadeva allora".

Questo breve e oscuro capitolo del jazz nero californiano è quanto mai significativo. Nonostante Mingus e i suoi colleghi amassero Parker e il bop, avevano un approccio musicale che privilegiava la composizione e l'arrangiamento, approccio che rifletteva la sensibilità accademica tanto quanto la voglia di rinnovare la tradizione afro-americana. In poche parole, anticipavano di alcuni anni le cose migliori del bianco "West Coast Jazz" e nello stesso tempo evidenziavano che la vena cool della Black California non era affatto subordinata a Rogers, Giuffre e compagni. Ricordiamo che in quegli anni (addirittura dal 1939) Mingus aveva elaborato composizioni estese di pregevole valore come "Half-Mast Inhibition" e "The Chill of Death" nati dall'amore per Strauss, Ravel, Debussy ed Ellington. Poco dopo lo scioglimento degli Stars of Swing, la Columbia si convinse a registrare Mingus e il bassista eseguì proprio "The Chill of Death": significativamente l'opera non fu pubblicata anche se toccò proprio alla Columbia, nel 1971, includere una riscritta versione del brano nell'album Let My Children Hear Music. Anche "Half-Mast Inhibition" potè essere inciso solo anni dopo (nel 1960 in Pre-Bird).

Il Mingus d'allora anticipava bene la tendenza a lavorare su un ampio spettro espressivo, che il jazz nero della California ha evidenziato con Buddy Collette, Red Callender, Eric Dolphy e altri ancora. Questo derivava in parte dalla formazione didattica che, abbiamo già ricordato, accomunava parecchi giovani protagonisti della Black California. "Quand'ero giovane - è ancora Mingus a ricordare - si cresceva nella musica classica più che in qualsiasi altra. Era la sola musica con cui si veniva in contatto, a parte i canti di chiesa. Non sono cresciuto in un night club...". Secondo Dexter Gordon "Studiare con Lloyd Reese è stato importante, ci ha fornito un quadro più ampio e una comprensione della musica. Ci ha reso più consapevoli. Ci ha insegnato la filosofia della musica".

Tornando alla componente prettamente nera di Mingus, già nel 1947 il bassista incideva con la big band di Lionel Hampton l'audace "Mingus Fingers" e con una grande orchestra dai contorni misteriosi il brano "The Story of Love," dove "appare per la prima volta - ha scritto Stefano Zenni - il selvaggio clima tipico delle opere mature, ottenuto con l'audace sovrapposizione piramidale e contrappuntistica delle sezioni d'orchestra".

Il Be-Bop si diffonde

Ma torniamo alla rievocazione storica. In quei mesi il be-bop non si ascoltava solo al club Finale. Anche nella Central Avenue e in altri locali frequentati dai giovani neri, il nuovo idioma iniziò a diffondersi attraverso la strada meno ufficiale delle jam session. È il caso di ricordare che a L.A. il sindacato musicisti era diviso razzialmente e che i neri più anziani odiavano il nuovo idioma tanto quanto i jazzmen bianchi. Animare una jam session poteva fruttare al massimo dieci dollari e i boppers facevano la fame. Tra i locali after hours c'erano il Down Beat, l'Elks Auditorium e il Jack's Basket Room, dove già mettevano il naso i giovanissimi Eric Dolphy, Horace Tapscott, Melba Liston e Vi Redd.

Al Jack's Basket s'incontrarono nel 1946 i sassofonisti tenori Dexter Gordon e Wardell Gray, entrambi formatisi sui modelli di Charlie Parker e Lester Young. Fu in quelle session che presero a elaborare un concitato duello musicale a colpi di note, che appariva come una gara a inseguimento e mandava in visibilio il pubblico. Si basava su un primo alternare di trentadue misure ciascuno, seguito da un secondo di sedici, poi di otto e infine di quattro. Derivava dalla tipica forma africana del call and response e divenne popolare nel brano "The Chase" che i due incisero per la Dial il 12 giugno 1947. L'idea della battaglia fra solisti già esisteva nel jazz ma in quella forma divenne un classico e fu ripresa da altre coppie di sassofonisti e non: nel brano "The Blues Walk," inciso dal quintetto di Max Roach con Clifford Brown alla tromba, quest'ultimo elaborava in modo più serrato, in coppia col sax tenore Harold Land, la sequenza degli scambi, dimezzando a partire da quattro misure.

Nel marzo 1947 Charlie Parker lasciò la California anticipato da Miles Davis, e seguito nei mesi successivi da Howard McGhee, Charles Mingus, Dexter Gordon, Roy Porter, Wardell Gray, Dodo Marmarosa, Red Callender. Nell'arco di un anno o due, quasi tutti i nomi citati tornarono sulla Costa (qualcuno ripartì poco dopo) ma il momento magico della Central Avenue si avviava alla conclusione. Da lì a poco il jazz californiano entrava nella fase cool, dominata da musicisti e produttori bianchi; il bop della Black California continuò a vivere ma i suoi percorsi si fecero molto più oscuri.

Nella prima metà del 1948 il batterista Roy Porter tornò a L.A. dopo un breve e sfortunato soggiorno a New York e formò la prima orchestra nera di stile bop nata in California. Ne facevano parte il trombettista Art Farmer, il trombonista Jimmy Knepper, i sax contralto Eric Dolphy e Leroy Robinson, il bassista Addison Farmer. La formazione restò unita due anni ospitando solisti come Hadley Caliman, Teddy Edwards, Herb Geller e persino Chet Baker, Bob Gordon e Russ Freeman.

Gerald Wilson aveva guidato una prima eccellente big-band tra il novembre 1944 e il luglio 1946 ma l'impronta era un po' più tradizionale. Le dodici incisioni realizzate per la Savoy dall'orchestra di Porter hanno suscitato interesse anche per la presenza del giovane Dolphy, al suo esordio discografico.

Nei mesi in cui Roy Porter conduceva la sua orchestra il jazz si avviava verso nuove forme che catturarono in breve l'attenzione del grande pubblico. A New York incideva la Tuba Band di Miles Davis, Gil Evans e Gerry Mulligan mentre in California Dave Brubeck varava il suo calligrafico ottetto, Woody Herman lanciava il Four Brothers Sound e Stan Kenton ricostituiva la sua orchestra all'insegna dell'Innovation In Modern Music.

Nasce il West Coast Jazz

Nel frattempo, dall'estate del 1950, alcuni orchestrali di Herman e Kenton iniziavano ad animare le jam session al club Lighthouse di Hermosa Beach, che diverrà un simbolo del "West Coast Jazz". I giovani boppers di Los Angeles, maturati nelle jam session della Central Avenue erano intanto divenuti pregevoli solisti anche se avevano poche occasioni per dimostrarlo. Sonny Criss era ormai un virtuoso contralto di marca parkeriana mentre Hampton Hawes percorreva con fantasia la scia di Bud Powell.

Per i sette anni successivi Criss incise rare volte e solo da sideman. Il pianista Hampton Hawes fu tra i pochi neri a entrare nella cerchia del Lighthouse grazie alla stima che nutrivano per lui Art Pepper e Shorty Rogers ma restò profondamente legato alla sua formazione di bopper e all'ambiente del jazz afro-americano. Nel 1952 lo volle con sè Wardell Gray, tornato a stabilirsi sulla Costa dopo gli ingaggi con Goodman e Basie, per il sestetto che registrò con la Prestige il 21 gennaio.

Per altri losangelini le opportunità di registrare tra la fine del decennio e l'inizio del nuovo furono di fatto inesistenti e Teddy Edwards rappresenta l'esempio più eclatante. L'8 maggio 1953 registrò in un settetto comprendente anche Hampton Hawes e il trombettista Gerald Wilson e fino al 1957 di lui abbiamo solo una traccia "live" del suo inizio col quintetto Brown/Roach.

Mentre nel 1951 a Los Angeles nasceva ufficialmente il "West Coast Jazz" con le incisioni di "Shorty Rogers and His Giants" per la Capitol, la comunità dei boppers afro-americani prosperava al club Bop City di San Francisco.

Ormai quasi tutti i locali della Central Avenue di Los Angeles avevano chiuso i battenti e qualcuno aveva riaperto in altre zone, seguendo gli spostamenti della comunità afroamericana. Le cause della decadenza erano molteplici: i soldati che animavano la strada durante la guerra erano tornati a casa, il sindacato di Los Angeles aveva proibito ai musicisti di partecipare gratis alle jam session, la polizia chiudeva i locali dove circolavano droghe.

Per Red Callender, che nella biografia ignora volutamente il Lighthouse, l'Oasis Club sulla Wester Avenue era allora il jazz club più "caldo" di Los Angeles.

Lo zoccolo duro dei boppers fece però base a S.Francisco. Il Bop City si trovava nel Fillmore District, un quartiere prevalentemente nero che offrì un ingaggio al quartetto di Roy Porter che nel frattempo aveva sciolto l'orchestra. In breve il club divenne famoso nel giro e vari jazzmen di passaggio sulla Costa presero ad animare le jam session.

Come si legge in ogni storia del jazz il successo internazionale di Rogers, Mulligan e compagni diffuso dai dischi Pacific e Contemporary mise in secondo piano i musicisti neri d'impronta bop. Ancor più che a New York gli effetti furono negativi in California dove le due comunità erano storicamente (e sindacalmente) divise.

"Quel periodo Cool - ha ricordato Roy Porter in un'intervista - lasciò fuori una gran parte di musicisti neri. Non c'era modo che essi potessero adattarsi in quell'angusta e piccola categoria. (...) non era un buon periodo per essere un musicista nero di jazz. Di fatto ci fu un'esclusione razzista". Anche se quest'ultima affermazione è vera, la realtà dei fatti fu più complessa e la separazione tra parecchi jazzmen delle due etnie era anche il segno di concezioni espressive diverse. Ad esempio, Max Roach (raccomandato da Shelly Manne) fu scritturato nella All-Star del Lighthouse ma se ne andò appena concluso l'ingaggio per formare il quintetto con Clifford Brown.

Non tutti i musicisti neri di Los Angeles avevano poi la stessa istruzione musicale mentre abbiamo visto che Mingus e i suoi amici condividevano orizzonti più vasti, compresa una buona conoscenza accademica. Il bassista negli ultimi anni quaranta aveva iniziato con Buddy Collette una battaglia per integrare i due tronconi del sindacato musicisti (ai bianchi andava tutto il lavoro di Studio) e assieme vararono un'orchestra sinfonica interrazziale quale primo passo per l'unione, che poi avvenne nel 1953. "Certo, questo non risolse subito i nostri problemi - ha ricordato Collette - ma fu un bel balzo avanti".

Restiamo per un istante a quella che fu chiamata Humanist Symphony Orchestra. Occupato da altri ingaggi, Mingus non ne fece parte ma vi suonarono Buddy Collette, Red Callender, Britt Woodman e altri meno noti. Parecchi bianchi provenivano dall'Orchestra sinfonica di Los Angeles ed a dirigerla ci furono Osner Solomon, Peter Cohen e Percy MacDavid, uno dei rari direttori neri.

Nei primi anni cinquanta Buddy Collette, Red Callender e Chico Hamilton continuarono a percorrere una via differente dalle asprezze del bop e seppero conciliarsi con l'estetica "West Coast" da una prospettiva autonoma, originale e niente affatto subordinata. Purtroppo, negli stessi mesi Dexter Gordon, Roy Porter e Hampton Hawes venivano arrestati per droga, Art e Addison Farmer si trasferivano definitivamente a New York e Wardell Gray entrava nella spirale distruttiva che lo avrebbe condotto alla morte. Se qualcuno non è ancora convinto dell'autonomia espressiva di Collette e compagni dal "West Coast Jazz," le seguenti parole di Red Callender dovrebbero bastare.

"Alcuni musicisti - scrisse nella biografia - stavano ancora marchiandomi come "un traditore del jazz" e altri, principalmente critici e gente disinformata, mi etichettavano come musicista di "west coast jazz".(...) Stando alle apparenze c'erano due tipi di jazz durante gli anni cinquanta, East Coast Jazz dalla forte spinta "funky" e West Coast dal suono non aggressivo e di facile ascolto. Io ho sempre pensato che queste categorie erano miserabili errori. Prima di tutto la maggior parte dei musicisti che vivono sulla costa occidentale vengono dalla costa orientale. Metà dei musicisti della West Coast sono diventati popolari ad est e la gente li crede del luogo. Bob Brookmeyer, Shorty Rogers, Stan Kenton e il grande batterista Shelly Manne vennero tutti a L.A. molto più tardi. C'era una favolosa scena musicale qui, prima del loro arrivo. (...) Io ho lavorato con Shorty Rogers e con Marty Paich e ho realizzato innumerevoli date con Shelly Manne. Buddy e io fummo anche alcuni dei simbolici neri nella Neophonic Orchestra di Stan Kenton. Ma mai vorrei identificarmi con il pallido suono che la gente associa al termine "West Coast Jazz".

In realtà sul capitolo californiano dal jazz hanno pesato numerosi luoghi comuni e semplificazioni derivati da una scarsa conoscenza storica e sociale. Non è azzardato dire che l'incedere elegante e il suono seducente che tutti hanno associato al termine "West Coast Jazz" rientra in un fenomeno sovraesposto da alcune case discografiche. Va rilevato invece che la California dal dopoguerra in poi è stata terreno di proposte musicali molto diverse, talvolta in modo netto e non sempre legate al colore della pelle. Se questo non è stato percepito con chiarezza una buona parte di responsabilità ricade sui discografici.

"Dick Bock della Pacific Jazz - ha ricordato il bassista Red Mitchell - aveva un modo di neutralizzare ogni cosa che diventasse focosa durante una take. Avrebbe chiesto ai musicisti di registrare ancora escludendo la parte impetuosa. C'è della verità in quel mito del West Coast e noi chiamavamo parte di quella musica col nome "Westy Coasty," volendo dire che era stucchevole."

Secondo Mitchell sia Bock che Lester Koenig, il proprietario della Contemporary, erano poco intraprendenti e piuttosto chiusi nelle loro relazioni. In un passo della stessa intervista il contrabbassista ricorda che i produttori discografici non andavano nei quartieri e nei club dove suonavano i neri. Una volta chiese a Koenig cosa succedeva all'"It Club," uno dei più importanti a Los Angeles, e il produttore rivelò di non conoscerlo affatto".

Come Roy Porter anche il sassofonista Pony Poindexter ha parlato di razzismo, farneticando su una congiura bianco/ebrea per escludere i californiani neri dal mercato discografico. Probabilmente non fu sempre razzismo in senso stretto ma il frutto di una rigida politica commerciale: il "West Coast Jazz" consentiva alti profitti e non c'era motivo di rischiare con i neri. Dalla metà degli anni cinquanta, consolidatisi nel capitale e forse maggiormente consapevoli, alcuni (ma non i fratelli Weiss della Fantasy) aprirono le porte ai jazzmen neri operanti in California, incluso Ornette Coleman.

Di questi avvenimenti e dei loro protagonisti parleremo nella seconda parte dell'articolo.

Foto di Renee Lemans (Howard McGhee, Teddy Edwards), Palumbo (Kerouac)

Per leggere la seconda parte di questo approfondimento clicca qui.

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