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Avishai Cohen
In studio tutti vogliono avere un sound il più possibile realistico. Sembra facile, ma in realtà è una delle cose più difficili da ottenere
Avishai Cohen è un trombettista dotato di talento e di maestria, che lavorando sodo si sta costruendo rapidamente una solida carriera. Sia le sue scelte sia le band con cui suona sono assolutamente convincenti.
All'inizio di quest'anno è stato in tour con il SFJAZZ Collective, un gruppo che raccoglie alcuni dei migliori talenti di oggi. Ma ancor più significativo è l'album che ha pubblicato di recente, un trio, senza la presenza del pianoforte, che mette in risalto sia lui e la sua tromba, sia una band davvero notevole in grado di comunicare in maniera convincente e allo stesso tempo esplorare apertamente quel contesto musicale.
Introducing Triveni (Anzic), uscito alla fine del 2010, vede Cohen suonare in modo agile e modernopieno di vita. Un modo di suonare che, fondendosi con i complessi ritmi del batterista Nasheet Waits e del contrabbassista Omer Avital, produce un risultato incisivo. Tutti e tre sono assolutamente a loro agio nel condurre la conversazione musicale.
È anche un ritorno ad un tipo di musica più libera ed improvvisata, che Cohen desidera esplorare. Nel farlo, Cohen ha curato attentamente la scelta degli altri componenti, che lo aiutassero a dar vita proprio a quel tipo di musica. E aveva assolutamente le idee chiare, tanto da scartare in blocco alcune esecuzioni del trio. Spiega il trombettista, "Omer ha il suo modo di suonare. Ha il suo senso del tempo, il suo approccio alla musica e al Jazz. E per quanto riguarda questo trio, ha anche la funzione di secondo solista. Come solista, Omer suona come se suonasse uno strumento a fiato e non un contrabbasso. E quindi è perfetto per un trio, perché funge sia da contrabbassista che da secondo solista.
"Anche Nasheet ha il suo peculiare modo di suonare. Un percussionista puro, equilibrato, capace di dare libertà così come di prendersene. Che si amalgama in modo unico con il resto del trio. All'inizio non è stato facile. Con altri percussionisti va tutto liscio sin da subito. Ti stanno dietro, e via. Con Nasheet non è così semplice. È una sfida, una continua sorpresa, un mistero da svelare. Assolutamente imprevedibile. Ci ho messo un po' a capire e accettare il suo modo di suonare. Ma sapevo che era qualcosa che dovevo capire."
E quella tensione è ciò che rende interessante la musica. Avital e Cohen suonano insinuandosi tra i beat di Waits con grande effetto. Ad esempio il pezzo "Ferrara Napoly" è un groove improvvisato in slow tempo nei quali si avvertono chiaramente le dissintonie di Waits, con le quali la tromba di Cohen deve continuamente confrontarsi. E il risultato ha un effetto coinvolgente.
"È diverso da qualunque altro batterista con il quale mi sia capitato di suonare," dice Cohen. "È una forza della natura, davvero incredibile. Nasheet è l'ignoto. Non dico che Omer sia prevedibile, ma almeno posso dire di conoscerlo bene, dato che suono con lui da anni in diversi contesti. Lui ha suonato in qualche mio progetto, io ho suonato in qualcuno dei suoi. Senza contare la Third World Love, una band della quale siamo co-leader da sette anni. Ha suonato con i 3 Cohens. Io ho suonato con lui quando io avevo 12 anni e lui ne aveva 16. Abbiamo suonato insieme per la prima volta quando ero bambino, in Israele. Insomma, posso dire di conoscerlo bene."
"Non ci sono molti dischi come questo," dice. "Il mio primo album [The Trumpet Player (Fresh Sound/New Talent, 2003)] era come questo. E, cosa curiosa, il mio primo album somigliava a questo perché mi trovavo in uno studio dove non c'era un piano. Ai tempi non ci feci caso, capitò e basta. E non era la prima volta. Anni dopo, mi resi conto che si trattava di un concetto che avevo dentro. Uno degli artisti che mi ha influenzato di più è Miles Davis. Ho suonato molto alla Miles; anche se lui aveva un quintetto, molti dei suoi assoli sono in realtà dei trio. In molte registrazioni, Herbie [Hancock] non accompagna Miles e Wayne [Shorter] non suona durante gli assoli di Miles. Forse è da lì che viene il mio sound così particolare. Sono cresciuto ascoltandolo."
Nel nuovo disco la band si dedica anche all'esplorazione di alcuni standard: una cosa fortemente voluta da Cohen, uno degli obiettivi che si era prefisso. Prima di formare il trio, Cohen si è dedicato a svariati progetti basati su musica originale, scritta e arrangiata con cura. "Mi tenevo lontano dai classici e dallo swing. Non erano il mio obiettivo. Mi ispirava molto la musica dell'Africa Occidentale, che costituiva la base per le mie composizioni. Ma ad un certo punto sentii il bisogno di suonare una musica più libera: tornare sui miei passi ed esplorare i classici, brani meravigliosi che fanno parte della mia storia. Sono cresciuto musicalmente in un paese straniero, e i classici mi sono mancati durante il mio percorso alla scoperta del Jazz."
"Mi piace molto suonare il Blues lento. "Mood Indigo," ad esempio. Prendere un brano e suonarlo. Senza pensarci troppo, senza arrangiamento... Volevo solo avere una band diversa, dalla quale poter andare e dire 'ecco qua un pezzo da suonare.' Provarlo due minuti nel backstage e poi suonarlo davanti al pubblico. Mi mancava questo. La spontaneità."
Cohen dice di aver registrato abbastanza materiale per un secondo album. Sta solo aspettando il momento giusto per pubblicarlo. Vuole anche esibirsi di più dal vivo con la band, compatibilmente con i loro impegni. Senza il piano, dice, è una bella sfida, di quelle che però ti danno soddisfazione. "Una cosa aperta, meno prevedibile. Sei più libero perché ci sono meno suoni intorno a te. E devi creare una trama usando meno strumenti. L'assenza del piano si traduce in una maggiore libertà di ricerca armonica."
Si dice che il Jazz sia la musica giusta per sperimentare, ma come sottolinea Cohen, "Non tutti sono a proprio agio con tutta quella libertà. C'è già molta libertà nel Jazz, grazie all'improvvisazione. E non a tutti piace. Tecnicamente o anche tradizionalmente. Ci sono cose che piacciono alla gente. E magari non gli piace quel mio sound."
Ad esempio si può eliminare il contrabbasso dalla band. "Si crea un vuoto in basso. Di solito è il contrabbasso è il fulcro della band, la tiene solidamente ancorata," dice, "Se viene a mancare, è come avere un palloncino al quale si taglia la corda che vorrebbe volare via, ma non si può lasciarlo andare. Quindi è imporatante avere quella base. Anche da un punto di vista emotivo. E se non c'è, devi decidere se riempire quel vuoto o no. E non tutti sono a loro agio con quel vuoto, può dare una strana sensazione, ti manca qualcosa. A me piace quello strano senso di vuoto che dà un trio senza contrabbasso."
Cohen ha anche cercato di dare alla registrazione un senso di naturalezza, di presa diretta.
"Sembra facile, ma in realtà è una delle cose più difficili da ottenere," spiega. "In studio tutti vogliono avere un sound il più possibile realistico. Ma raramente si riesce ad ottenerlo, perché bisogna tener conto di un sacco di variabili. Se ad esempio non ti sei preparato, o se sei indietro con la tabella di marcia. Allora non vuoi correre rischi, vuoi andare sul sicuro. Se non ti senti pronto, in studio non riesci a lasciarti andare." Ma Cohen è soddisfatto del risultato, dell'essere riuscito a "catturare quel sound come se fossimo dal vivo, quello spirito di 'Andiamo e suoniamo.'.. Sapevo che avrei suonato dei classici. Ma non sapevo quali. "Mood Indigo," è venuta così. Ho detto a Omer, 'Suona quella parte della melodia.' Un leggero arrangiamento al volo, giusto i dettagli, ed è bastato per avere un vero arrangiamento. E Omer ha suonato su quella melodia. Nessuno dei classici che abbiamo suonato è stato preparato a priori. Volevo suonare in una sala, senza barriere e senza cuffie per ricreare il più possibile un suono dal vivo, usando gli elementi di cui si dispone in studio."
Parlando dell'esibizione con il SFJAZZ Collective, Cohen ha detto di esserne rimasto molto soddisfatto. "Un'esperienza davvero esaltante. Da cui trarre insegnamento, davvero. I ragazzi della band sono dei grandi. Fantastici, collaborativi, altruisti. Nonostante si tratti di stelle di prima grandezza. Saresti portato a pensare il contrario, perché è difficile trovare quello spirito in una band composta da persone di quel calibro. Ma non è questo il caso. Sono così in sintonia, così rispettosi degli spazi altrui. Danno priorità alla musica, non pensano 'Devo puntare sul mio assolo. Devo suonare la mia musica.' Si fa ciò che è meglio per la buona riuscita del concerto ... un'esperienza fantastica" dice Cohen.
Cohen fa parte di una famiglia di musicisti che hanno guadagnato una notevole fama nel panorama jazzistico degli ultimi anni. La sorella più grande, Anat Cohen, è un'apprezzata clarinettista, per non parlare della sua abilità con il sax tenore. Suo fratello maggiore, Yuval Cohen, è un bravissimo sassofonista che si sta facendo notare. E ora che l'attività con il SFJAZZ Collective si fa meno pressante, c'è spazio per il progetto di famiglia, 3 Cohens, cresciuto in sordina ma che farà parlare di sé nei prossimi mesi.
"Quest'anno ci stiamo concentrando sul progetto 3 Cohens," dice. "Abbiamo suonato in Brasile e in Canada. A Gennaio abbiamo fatto un tour in Europa. Ci siamo esibiti a Portland." I tre fratelli hanno anche suonato a New York e a Boston ad Aprile e presto saranno di nuovo in studio, per non parlare del tour in Australia di Giugno. "Stiamo ricevendo molti consensi entusiastici, siamo davvero soddisfatti del progetto. È una situazione davvero particolare, e la apprezzo sempre più giorno dopo giorno. Un tour con mio fratello e mia sorella. Stiamo insieme sul palco, ci esibiamo, suoniamo, ci divertiamo e ci pagano pure per questo," dice ridendo. "Per fare quel che ci piace fare."
Avishai, che è il più giovane dei fratelli Cohen, cominciò a suonare la tromba a otto anni, a Tel Aviv. Il suo incontro col Jazz si deve al fratello Yuval, che suonava sui dischi di Charlie Parker e di altri. A dieci anni ebbe l'opportunità di suonare con la big band della Rimon School, in Israele, alla quale mancava un trombettista. I membri della band erano tutti di età compresa tra i quindici e i diciotto anni, ma grazie al suo talento fu ammesso nonostante la giovane età.
"Quindi cominciai a suonare in una big band," ricorda. "Dissero, 'OK, la prossima settimana potrai fare il tuo assolo quando suoneremo questo pezzo.'" Avishai era felice, ma anche preoccupato. Chiese consiglio a Yuval, che arrangiò un assolo per il fratello minore. Lui lo eseguì. "Tutti dissero, 'Bellissimo. Davvero grande.'" Alle prove la sezione dei sax dovette rieseguire il brano. Cohen ride al ricordo, "Aspettate. Cosa vuol dire che dobbiamo suonarla di nuovo? L'ho appena suonata. E non riuscirò a suonarla di nuovo.' Credo che quell'episodio segnò l'inizio della mia carriera di improvvisatore. Cominciò allora. E da allora non ho smesso di imparare. Si impara qualcosa ogni giorno."
Lo stile di Cohen è influenzato, oltre che da Miles, da Art Farmer, Don Cherry, Kenny Dorham, Lee Morgan, Louis Armstrong, Chet Baker, Thad Jones e Clifford Brown, e come sottolinea prontamente la lista non finisce qui. Fece esperienza andando il tour per il mondo con la Young Israeli Philharmonic Orchestra. Ha partecipato a svariati progetti in studio in IsraeleJazz, Rock, Pop, programmi televisivima sapeva che la via obbligata per seguire quelle influenze e per maturare come musicista passava per gli Stati Uniti. E riuscì ad ottenere una borsa di studio per frequentare il Berklee College of Music a Boston.
Al Berklee, Cohen ha avuto l'opportunità di incontrare altri musicisti e di partecipare a svariate jam session, forte di un notevole bagaglio di teoria musicale pregresso. "Avevo già studiato molta teoria in precedenza. Fu comunque un'esperienza notevole, e imparai molto da un paio di docenti eccezionali," dice, ma "ero giovane. E fremevo dalla voglia di andare a New York."
Era stato a New York mentre frequentava il college, e quindi sapeva cosa lo aspettasse una volta lasciato il Berklee. L'impatto con la grande città e con i meccanismi del mondo dello spettacolo non furono una sorpresa per lui. "Quando sei giovane, credi di poter andare a New York e diventare una stella del Jazz. Ma crescendo capisci che non è così. Capisci che si tratta di fare un'esperienza dietro l'altra, cercando di rimanere sé stessi. Ogni giorno mi domando, 'Cosa cerco dalla musica?' oppure 'Cosa vuole la musica da me?' e più ci penso, meno lo so. Perché abbiamo dei preconcetti. Ci si dice, 'Devo ottenere un contratto vantaggioso.' Si rimane invischiati nella vecchia scuola di pensiero. Produci i tuoi album. Vendi i CD. Ma siamo nel 2011. Quali CD? Chi compra ancora i CD, oggi? Per chi sto facendo quest'album? Esiste. La gente ancora lo compra, ma la realtà ci impone di pensare in modo nuovo."
Ad ogni modo Cohen si è costruito una carriera ragguardevole. Nel 1997 è arrivato terzo alla prestigiosa Thelonious Monk Jazz Institute Trumpet Competition. Nel 2003 è uscito il suo primo album come leader, The Trumpet Player (Fresh Sound/New Talent). È un viaggio che continua. Cohen ne è consapevole e va avanti, un passo alla volta.
"Si impara qualcosa ogni giorno. Incontro Roy Hargrove e mi dà un'ispirazione. I giovani talenti sono davvero in gamba. Roy. Nicholas Payton, Terell Stafford, Sean Jones, Ambrose Akinmusire, Mike Rodriguez."
Di certo Cohen non ha velleità da "stella del Jazz". Lui è più pratico, conscio del fatto che la via che sta percorrendo è in continua evoluzione. Il Jazz richiede impegno e flessibilità, ma in cambio offre longevità. Il panorama musicale contemporaneo guarda all'oggi, alla presa immediata sul pubblico, senza pensare al domani.
"È una cultura istantanea," dice. "Come tutto quanto, oggigiorno."
"Guarda quei programmi alla TV. 'Facciamo una band.' Prendi quattro ragazze. Insegni loro a cantare, grossomodo. Non importa se sanno cantare davvero, puoi sempre rimediare in post-produzione. Qualcuno compone il pezzo, qualcun altro si occupa della coreografia, e altri ancora preparano dei costumi adatti. E il gioco è fatto," dice Cohen. "Il bello è che funziona. Un motivetto orecchiabile e di successo. Ma i protagonisti non traggono alcun beneficio. Non crescono come compositori, perché i brani li scrive qualcun altro. Non migliorano come cantanti, perché ci pensa la post-produzione. Non maturano come persone, perché anche il pubblico non è maturo. Ecco perché spenti i riflettori la maggior parte di loro scompare. Non sono pronti.
"Con il Jazz è diverso... chi debutta nel Jazz a New York ha almeno una quindicina d'anni di gavetta alle spalle. E l'esperienza continua a crescere man mano che gli anni passano. Suono da quasi un quarto di secolo. Ho cominciato a suonare venticinque anni fa. Ci ho investito un sacco di tempo. E non voglio perderlo... voglio dire, se ora raggiungessi l'apice, dopo ci sarebbe solo il declino. Ma voglio crescere ancora. Suonare la verità, la mia verità. Qualunque essa sia. Trovare il miglior modo per esprimermi con la tromba, con la musica, con le mie composizioni. E più ci penso, più mi convinco che la notorietà sia solo una distrazione... Sto alla larga dalla mentalità che sta dietro a programmi come American Idol. Non fa per me. Purtroppo però è quello che molte, troppe persone vogliono vedere e sentire."
Aggiunge, "Non dico che non ci si debba divertire. Penso che un'artista debba anche essere un intrattenitore. L'altra sera ho assistito ad uno spettacolo di Hugh Masekela. Molto bello. Non so se ne comprerei il CD per ascoltarmelo a casa cinquanta volte. Ma è stato uno spettacolo incredibile, è stato un mattatore... Ci deve essere un modo di coniugare il Jazz e il divertimento. Lo credo davvero. Noi suoniamo per il pubblico, e voglio trovare la giusta combinazione tra arte e intrattenimento. È una questione di comunicazione. Intrattenimento e comunicazione. Perché voglio comunicare qualcosa. I miei sentimenti, ad esempio. Ma il pubblico va preso in un certo modo. Va considerato nel modo giusto."
I gusti musicali di Cohen non si limitano al Jazz. "Mi piace tutta la musica, se è buona musica... Mi piace la musica che vibra. Che mi dà un messaggio. Anche nel Jazz, mi piace la musica che mi comunica qualcosa. Quindi c'è Jazz che mi piace, e altro che non mi piace. Anzi, talvolta preferisco ascoltare una canzone Pop. O Bob Marley."
Uno dei suoi progetti più recenti si basa proprio sullo sconfinamento del Jazz nel Rock e nel Funk. Deve ancora dare un nome alla band, che oltre a lui vede protagonisti Yuval Lion e Mark Guiliana alle percussioni; Nir Felder alla chitarra, Jason Lindner alle tastiere, sua sorella Anat al clarinetto basso e Shanir Blumenkranz al contrabbasso. La band si è già esibita molte volte al Nublu, nell'East Village. "È tutto elettrico," dice. "Persino la tromba. E suoniamo altri tipi di classici: i Led Zeppelin, Sean Paul. Suoniamo sia cover che composizioni originali, ovviamente."
"E cosa più importante," dice Cohen, saggiamente, "mi ricorda ogni giorno che sono vivo. Che la mia famiglia sta bene. Questa è la cosa più importante. Una cosa che mi sforzo di ricordarmi ogni giorno. Perché la vita è breve... Devo ancora crescere un sacco, professionalmente. Ogni cosa a suo tempo."
Discografia selezionata
Avishai Cohen, Introducing Triveni (Anzic, 2010)
SFJAZZ Collective, Live 2010: 7th Annual Concert Tour (SFJAZZ, 2010)
Avishai Cohen, Flood (Anzic, 2008)
Third World Love, New Blues (Anzic, 2008)
3 Cohens, Braid (Anzic, 2007)
Jason Linder Big Band, Live at the Jazz Gallery (Anzic, 2007)
Avishai Cohen, After the Big Rain (Anzic, 2007)
Keren Ann, Keren Ann (EMI France, 2007)
Omer Avital, Arrival (Fresh Sound, 2007)
Third World Love, Sketches of Tel Aviv (Smalls Records, 2006)
Anat Cohen, Noir (Anzic, 2006)
Yuval Cohen, Freedom (Anzic, 2006)
Avishai Cohen, The Trumpet Player (Fresh Sound/New Talent, 2003)
Lemon Juice Quartet, Peasant Songs (Piadrum, 2002)
Lemon Juice Quartet, Republic (Chant, 2000)
Assaf Amdursky, Quiet Engines (NMC Music LTD, 1999)
Traduzione di Stefano Commodaro
Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA
Foto di Roberto Cifarelli (la terza, quinta e sesta)
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