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Andrew Hill: Point of (Re)Departure

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A volte trascorrono anni, o decenni, prima che venga pienamente compresa, ed apprezzata, l'opera di quegli artisti che decidono di innovare il jazz lavorando in maniera radicale dall'interno delle sue tradizioni, piuttosto che magari porsi in una posizione di rottura ideologica, e politicamente sbandierata - è stato il caso di pianisti come Thelonious Monk o Herbie Nichols.

In genere, in questi casi passa diverso tempo prima che altri musicisti decidano di includere nel proprio repertorio composizioni che sono fortemente caratterizzate dalla personalità di chi l'ha creata. Infatti, proprio quelle innovazioni che distingono e rendono interessanti tali composizioni rischiano di fagocitare l'interprete di turno. Si pensi ai lavori del periodo elettrico di Miles, a quelli di Elmo Hope, o - per rimanere tra i contemporanei - di un Paul Bley, Bill Frisell o Steve Coleman. Troppo chiara nella mente degli appassionati la connessione tra un certo tipo di suono, o di atmosfera, e i suoi autori. E troppo poco il tempo a disposizione degli altri musicisti per digerirne la lezione. Per trovare una maniera per interagire con essa mantenendo intatta la propria personalità - caratteristica fondamentale per ogni jazzista che vuole essere tanto creativo quanto i modelli a cui si relaziona.

La figura di Andrew Hill (30 giugno 1931 - 20 aprile 2007) s'inserisce senza dubbio in questo limitato novero di jazzisti. Hill fu un innovatore che ha forgiato un linguaggio così personale e innovativo da rimanere spesso sottovalutato durante buona parte della propria carriera. La stessa Blue Note che l'aveva lanciato e valorizzato ha tenuto nei propri archivi un grande numero di sedute di registrazione fino a poco tempo fa. Il pianista di Chicago, come Monk, ha comunque avuto la fortuna di ottenere le soddisfazioni e i riconoscimenti che meritava mentre era ancora in vita. In particolare, a partire dalla seconda metà degli anni '90. E una generazione di nuovi musicisti è stata influenzata dal suo lavoro ed ha iniziato a reinterpretarlo (come nel caso, oltre che di Anthony Braxton, di Nels Cline nel recente New Monastery).

All About Jazz Italia ha deciso di dedicare ad Hill l'ultima copertina del 2007, per ricordarlo - nell'anno della sua dipartita - non solo per il suo passato, ma sopprattutto per l'influenza che la sua musica avrà in futuro. A circa otto mesi dalla sua morte, difatti, abbiamo voluto celebrare il suo spirito - che rappresenta la quintessenza di quello che amiamo del jazz - piuttosto che farci prendere dalla tendenza agiografica, inevitabile nelle retrospettive scritte immediatamente dopo la scomparsa di un grande artista.

Oltre ad un completo profilo e ad una discografia delle session da leader, che illustrano il contributo innovativo di Hill in ogni momento della sua carriera, i lettori potranno leggere una intervista rimasta inedita fino ad oggi.

Anche tre dei musicisti che sono stati più vicini a Hill negli ultimi anni hanno voluto ricordarlo nelle pagine virtuali di questo speciale: Frank Kimbrough, Ron Horton e John Hebert.

Infine, abbiamo recensito la recente ristampa di uno dei suoi dischi Blue Note rimasti troppo a lungo inediti: Compulsion!!!!! e due cofanetti della Mosaic che gettano ulteriore luce sul genio di Hill: Mosaic Select 16 dedicato al materiale inedito inciso tra il '67 e il '70 per la Blue Note e Mosaic Select 23 dedicato a suoi lavori in solo.

La speranza è che la more di Hill non sia altro che un 'Point of (Re)departure' nell'apprezzamento della sua opera.

Buona lettura! E buone feste!!

Foto di Roberto Cifarelli e Claudio Casanova (rispettivamente)

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