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Alla scoperta di Michael Jefry Stevens

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Se c'è un compositore e pianista che resta ancora oggi ampiamente sottovalutato, questo è Michael Jefry Stevens.

Condivide col bassista Joe Fonda la guida dell'omonima formazione (The Fonda-Stevens Group), è membro fondatore del gruppo Conference Call ed ha animato, sempre con Fonda, Feldman, Rabinowitz, Sorgen e Dave Douglas il Mosaic Sextet, una delle più migliori formazioni degli anni Ottanta/Novanta. Questo solo per citare gli organici più noti.

Nonostante il significativo ruolo svolto come strumentista e compositore (più di 400 temi per ensemble di vario tipo, dal quartetto d'archi alle big band) non troverete il suo nome nelle principali enciclopedie, guide e nei dizionari dedicati al jazz. Anche interviste e monografie sulla sua figura artistica sono rare. Questa è la prima monografia pubblicata su di lui in lingua italiana.

Nato a New York il 13 marzo 1951, Michael iniziò a suonare il pianoforte a cinque anni ma interruppe gli studi alla fine del decennio, quando la famiglia si trasferì in Florida. Non riuscendo a trovare un buon insegnante, continuò da autodidatta. Nella metà degli anni sessanta lo troviamo coinvolto nelle stesse esperienze musicali della sua generazione: suonava l'organo Farfisa nei gruppi rock studenteschi. Il jazz entrò nella sua vita a 17 anni con l'ascolto di Kind of Blue, dei dischi di John Coltrane e del trio di Mose Allison.

"Fui letteralmente sconvolto - ha ricordato il pianista nelle note del disco Haiku - non potevo credere che esistesse una musica di tale bellezza e potenza". Negli anni successivi l'ascolto e la pratica musicale s'indirizzarono decisamente verso il jazz, al punto che a 20 anni Stevens lasciò il college con l'intenzione di dedicarsi a tempo pieno a questa musica. Anche se più tardi otterrà un Master Degree in Jazz Performance al Queens College, in quegli anni la sua formazione si svolse in lunghe ore di studio a casa - fino a 12 al giorno - e in occasionali performance con formazioni locali. Oltre a Davis e Coltrane, le principali influenze formative vennero da Bill Evans, Cecil Taylor, Thelonious Monk, Horace Silver, Andrew Hill, Herbie Hancock, Chick Corea. Un peso crescente acquisirà nella sua formazione artistica (soprattutto compositiva) l'ascolto di musicisti classici come Mahler, Bartok, Stravinsky, Satie, Debussy, Ravel e Berg.

Dell'attività di Stevens svolta fino a trent'anni non si sa molto. "La mia prima registrazione in studio ebbe luogo a Boston attorno al 1977 - ha detto il pianista a Cadence nel giugno 2000 - Non so se ho ancora una copia di quel disco ma già allora eseguivo principalmente mie composizioni originali". Le sue formazioni bostoniane si chiamavano Z Real Band e Convergence ed erano co-dirette col batterista Art Lillard. Non esiste pubblica documentazione della loro musica che resta nei personali archivi del pianista.

Nel 1980 il pianista decise di tornare a vivere a New York e per alcuni anni ebbe una parte significative nella scena musicale metropolitana. La sua attività si svolse principalmente nei locali. "Nel 1980 c'era ancora una consistente attività musicale nei club - ricorda Stevens - con jam sessions e molte opportunità notturne. C'erano locali chiamati Jazz Forum, Jazzmania ed un posto sulla 23ma strada in cui si tenevano jam session notturne. Trascorsi molto tempo a suonare nei locali con differenti musicisti. La mia prima scrittura stabile a NYC fu in un ristorante del Village chiamato Star and Garter: lì suonai per circa due anni in duo (piano e basso). Ebbi così modo di collaborare con alcuni grandi bassisti e fui costretto a imparare centinaia di standards. Per me fu proprio una lezione. Una volta che suonavo con Ben Brown si aggiunse alla batteria Philly Joe Jones. Un'altra volta venne ad ascoltarci Ron Carter".

Un importante momento di crescita venne dall'intensa, quasi frenetica, attività di composizione e collaborazione dietro le quinte. "Scrissi molta musica in quel periodo ed ebbi modo di poterla eseguire nelle continue prove, quasi quotidiane, che si svolgevano nel mio appartamento di Brooklyn. Tra i musicisti che intervenivano ricordo John Goldsby, Jeff Andrews, Phil Haynes, Ralph Hamperian, Tim Whalen, Bob Kenmotsu, Tim Ouimette, Jim Van Dyke, David Meer, Tim Horner, Billy Drewes, Mark Whitecage, Joe Fonda, Dave Douglas e molti altri".

Nella metà degli anni Ottanta, Stevens incontrò il bassista Dominic Duval con cui strinse un significativo sodalizio sia in trio col batterista Tony Lupo che in quintetto (il nome era Artist Colony) con David Bromberg, Mark Whitecage e Dave Douglas. Una formazione che non ha pubblicato dischi e che è documentata da un master inedito conservato dallo stesso Stevens. Da quel periodo alla metà degli anni Novanta molte altre cose sono rimaste (o restano ancora) inedite. Se recentemente l'etichetta Cadence ha pubblicato For the Children, un significativo quartetto col sassofonista David Schnitter, Duval al basso e Rosen alla batteria, ricordiamo un master del 1996 (For Andrew) inciso per la Konnex e mai uscito. Consta di sette composizioni originali del pianista eseguite assieme a Peter Herbert al basso e Jeff Siegel alla batteria.

Il Mosaic Sextet

La prima registrazione disponibile di Michael Jefry Stevens è del 19 gennaio 1988 con il Mosaic Sextet. La formazione era nata l'anno precedente come gruppo cooperativo strutturatosi sull'esistente collaborazione tra Stevens e il bassista Joe Fonda già attiva dal 1984. "Avevo incontrato Dave Douglas nello stesso periodo e ci trovammo anche a suonare assieme - ci ha detto il pianista - In qualche modo decidemmo di formare una band. Mi sembra di ricordare che io invitai Mark Feldman, Joe introdusse Michael Rabinowitz e Dave invitò Harvey Sorgen. La band provò settimanalmente per qualche anno, principalmente su musica mia e di Dave. Ad un certo punto questi decise di voler suonare senza pianoforte e varò la sua New and Used Band. Fu un periodo davvero speciale per me; tutti noi eravano eccitati dalla musica che eseguivamo e dal particolare sound creato dalla relazione tra violino, tromba e fagotto più sezione ritmica".

Nonostante i due anni e mezzo di vita, nel panorama musicale di quegli anni la formazione fu una meteora: dette pochi concerti, in luoghi decentrati come gallerie d'arte e college dell'area di New York. In più riprese i musicisti incisero un master, che venne pubblicato nel 1994 in un singolo compact (Today This Moment) dall'etichetta tedesca Konnex. Il disco passò inosservato e andò presto fuori catalogo. Il gruppo s'era già sciolto da tre anni. Grazie alla riedizione del 2001, che ha aggiunto degli inediti, possiamo valutare le doti pianistiche e compositive di Stevens in quegli anni. Uno stile capace di un'ampia sintesi espressiva (dal bop al free), armonicamente sofisticato e ritmicamente danzante, con chiare influenze di McCoy Tyner e Cecil Taylor. Una scrittura propensa a formulare temi d'ampio respiro, con melodie crepuscolari, dove suggestive iterazioni convivono in una chiara visione concertistica. Tra le composizioni più interessanti ricordiamo la variopinta "Afternoon", la struggente ballad "Mr. Phinney", l'originale "Drum Song", l'astratta e cameristica "Trio For Sextet".

Nello stesso periodo, con Joe Fonda e Dave Douglas, il pianista fece parte del quintetto Liquid Time diretto dal sottovalutato sassofonista Mark Whitecage. Nell'aprile 1990 la formazione incise per l'Acoustic Records il compact Mark Whitecage and Liquid Time giudicato da Cadence Magazine uno dei migliori dell'anno. In un repertorio di composizioni del leader, unica eccezione è l'estesa "Ode To Jay" di Stevens. Dopo la morte del batterista Peter LeMaitre, la formazione continuò con alcuni concerti ospitando due grandi maestri latini: il percussionista Carlos "Patato" Valdez e il trombettista Manny Duran. Negli anni successivi Mark venne in Europa come membro del Fonda-Stevens Group.

Gli anni Novanta: il Fonda-Stevens Group e altre cose

La formazione nacque all'inizio degli anni Novanta, come naturale conseguenza della solida collaborazione tra il pianista e il bassista. È tutt'ora attiva ed è stata giudicata da molti una delle realtà più significative del jazz contemporaneo. In quindici anni di vita ha prodotto dieci dischi evidenziando una prospettiva quanto mai ampia e articolata, spaziando dalla libera improvvisazione a revisitazioni creative del free e del bop, fino a prospettive cameristiche. Un approccio avvincente, armonicamente sofisticato e ricco di sorprese ritmiche, che ricorda la forza espressiva dei gruppi di Charles Mingus. Caratteristica centrale del gruppo è l'intenso interplay collettivo che amplia gli spazi di libertà entro un condiviso ordine formale.

Il primo album fu registrato tra il 1993 e il '95 e pubblicato nel 1996 dall'etichetta Music And Arts col titolo The Wish: vedeva accanto ai due leader, Herb Robertson alla tromba e flicorno, Mark Whitecage al sax contralto e soprano, Harvey Sorgen alla batteria, più la cantante Laura Arbuckle, ospite nel brano d'apertura. Le composizioni di Stevens si caratterizzano per l'impronta intima ed evocativa, che assume connotati cameristici nel brano "Song For Rich" dedicato alla memoria del chitarrista Rich Williams.

Pubblicato nel 1997 dalla stessa etichetta, ma inciso nel 1994/95, Parallel Lines confermava l'organico (eccetto la cantante) e la cifra stilistica della formazione in equilibrio tra brani accesi ed altri melodicamente accattivanti, costruiti su strutture semplici che lasciano respirare la musica. Grazie anche alle positive accoglienze in Europa, negli anni successivi vennero Live from Brugge (ripreso in Belgio nel 1997) ed Evolution, che si confronta creativamente con la tradizione, come evidenziano il boppistico "Birdtalk", il dolente "Song for My Mother" e l'avvincente ed evocativo "Strayhorn" di Stevens.

Altro disco live della formazione (registrato a Bielefeld, Germania nel 2000 e pubblicato due anni dopo dalla Leo) è Live at the Bunker, certo uno dei più riusciti. L'organico diventava un quartetto con l'uscita di Whitecage e l'ingresso del trombettista Paul Smoker al posto di Robertson. L'introduzione di Stevens nella sua ballad "For Us" è un chiaro esempio della sua maturità strumentale, in rapporto alla tradizione del piano jazz. Altri suoi interventi significativi li troviamo in "Circle" (pregnante duo piano-contrabbasso) e nell'avvio dell'altro suo tema, "Haiku".

Lasciamo per il momento il lavoro del pianista con quest'organico per ricordare altre sue esperienze degli anni Novanta.

Uno dei momenti più significativi (certamente il più noto) è stato il duo col violinista Mark Feldman pubblicato dalla Leo; ampiamente sconosciuto è invece il suo primo disco in solo, Portrait In Red. Inciso il 13 aprile 1995 ed uscito col nome Haiku, il duo documenta la lunga partnership tra il pianista e il violinista, iniziata già alla fin degli anni ottanta. Il lavoro si snoda attraverso pagine d'astratto camerismo, dove momenti di alta ricercatezza formale si alternano ad altri veementi, in libera improvvisazione free. Stevens svolge un ruolo principalmente ritmico-armonico lasciando quasi sempre al violino di Feldman il ruolo melodico e solo in pochi momenti ("Sunset Park", "Kerney") interviene in solo. Ma i suoi accordi scuri, le dissonanti e leggere armonizzazioni o le preziose linee cameristiche conferiscono al percorso musicale un pathos unico.

È rimasto a lungo ignorato (almeno fino alla ristampa in compact del 2001) il citato solo piano di Stevens, registrato nel 1991 all'età di 40 anni per la Cactus Records.

Eccetto due composizioni scritte alla fine degli anni settanta ("Hommage à Debussy" e "Children's Prelude") tutti gli altri brani erano improvvisazioni istantanee legate tra loro in forma di due suite ("Reflections On War" e "Little E's Dance"). Influenzato da Cecil Taylor e Paul Bley, il lavoro del pianista accentua talmente la costruzione formale che risulta difficile credere ad un percorso liberamente improvvisato.

Stilisticamente più tradizionale ma comunque coinvolgente - inspiegabilmente circoscritto al pubblico dei club di New York - è il piano trio con il bassista Tim Ferguson e il batterista Jeff Siegel (Stevens, Siegel & Ferguson). Un sodalizio in linea con la migliore tradizione mainstream ma legato da un intenso interplay dove il pianista evidenzia raffinato senso ritmico, eleganza costruttiva e fluidità di fraseggio. A tutt'oggi il trio ha pubblicato cinque album tutti per l'etichetta Imaginary Jazz: One of a Kind del 1993, Points of View del 1996, Panorama del 1998 (con ospite il trombettista Valery Ponomarev), Triologue del 2000 e il recente Get Out of Town pubblicato nel 2006.

Altre incisioni da ricordare di quel decennio sono Elements, registrato nel 1994 in un quintetto co-diretto con Dominic Duval (un lungo percorso liberamente improvvisato: "Dominic ed io abbiamo deciso di riunire questi grandi musicisti in studio - scrisse Michael nelle note del disco - Non tanto per produrre un CD ma per suonare delle bella musica e divertirci" ). I partner erano Mark Whitecage al contralto e soprano, Dom Minasi alla chitarra e Jay Rosen alla batteria. Le uniche due composizioni scritte appartengono a Stevens ed evidenziano una chiara identità cameristica: "Air/Water" ed "Epilogue".

Uno splendido disco del 1996 passato purtroppo inosservato in Italia è l'album Novella inciso per l'etichetta Leo con Harvey Sorgen e Steve Rust. Altro lavoro in libera improvvisazione, di grande intensità e ricercatezza; una bella sintesi tra momenti jazzisticamente codificati (lo swingante "Over Lunch With Ra" con Stevens all'hammond) e avvincenti invenzioni collettive. Altro esempio della versatilità di Michael nel coniugare le influenze di Cecil Taylor e Andrew Hill con i modelli del piano jazz anni cinquanta e quello d'estrazione cameristica.

Sempre in quegli anni, troviamo Stevens in due incisioni della sassofonista Lily White: No Pork Long Line del 1996 e Big Blue Line del 1999. Opere di taglio contemporaneo, pubblicate dalla Jazz Focus che riunivano significativi jazzmen dell'area di New York. C'erano tra gli altri il trombonista Conrad Herwig e il bassista Chris Dahlgren per il primo lavoro ed il violinista Mark Feldman, ancora Herwig, il bassista Chris Wood e il batterista Mike Sarin per il secondo.

Lavori semisconosciuti del decennio, incisi con piccole etichette e di ardua reperibilità, sono stati Short Stories, in duo con Whitecage (Red Toucan, 1993), Freedom of Choice col Jazzic Trio (NCB label, 1998) e lo splendido Great Unknown col Jeff Marx Quartet (Naugual Music, 1999), primo lavoro da leader del significativo sassofonista di Detroit.

Dal Duemila a oggi

Il nuovo secolo sembra riservare maggiori soddisfazioni a Stevens, anche grazie al supporto di vari impresari europei. Il belga Jos Demol, co-editore della rivista Jazz'halo e dell'omonima etichetta, ha prodotto il suo secondo disco in solo, documentando un recital dato a Bruges il 10 novembre 2001, ultima di otto date europee, date per festeggiare i suoi 50 anni. Un progetto che Stevens definisce nelle note "il culmine del mio lavoro come musicista jazz degli ultimi 31 anni". Il disco, che s'intitola The Survivor's Suite ed è reperibile sul sito dell'etichetta, è un'opera particolarmente ricercata, il più rappresentativo manifesto dello stile strumentale di Stevens. La solenne apertura di "For Galo" ed i due intensi omaggi seguenti (uno a Monk con l'esecuzione di "Ask Me Now" ed un altro al compositore catalano Federico Mompou con una lirica versione di "Musica Callada #1") sono emblematici dei riferimenti espressivi entro cui si muove la sua musica. Un'arte dalla ricca carica visionaria, in equilibrio tra atmosfere cameristiche sospese ("Quiet"), momenti jazzisticamente pregnanti ("The Search") e controllata sperimentazione, che s'impone nella lunga "Survivor's Suite", segnata da magnetiche relazioni timbriche e intense iterazioni percussive.

Nella prima metà del decennio s'incrementa anche l'attività dei due gruppi più significativi in cui s'esplica l'attività del pianista: il citato Fonda-Stevens Group e il nuovo quartetto Conference Call.

La prima formazione (ancora con Robertson, Fonda e Sorgen) inaugura il decennio con due bei dischi pubblicati dalla Leo: The Healing e Twelve Improvisations. Il primo in equilibrio tra brani di fattura tradizionale (anche liriche ballad scritte dal pianista come "Tania's Dream" e "Lei's Song") ed altri più sperimentali; il secondo per la prima volta interamente improvvisato e registrato in Francia, che vede aggiungersi il sassofonista Daunik Lazro per un percorso interamente improvvisato.

Il 7 dicembre 2003 ancora in Europa (precisamente a Rottweil, Germania) viene registrato Live at Alte Paketpost (FSG Productions) mentre l'anno successivo a New York nasce Forever Real (482 Music) con l'aggiunta del rapper e beatboxer Napoleon Maddox. Il lavoro compositivo di Stevens si caratterizza ancora per l'intima vena melodica in "The Stalker" e in "A Question of Love".

La stretta relazione con l'Europa di Joe Fonda e Jefry Stevens è ben evidenziata dal nuovo gruppo Conference Call, un organico cooperativo nato alla fine degli anni Novanta dalla collaborazione con il sassofonista tedesco Gebhard Ullman. Negli anni successivi solo il batterista cambierà volto, passando da Matt Wilson, Han Bennink e Gerry Hemingway, fino all'attuale George Schuller.

La formazione mostra, dal debutto del 2002 (The Final Answer, Soul Note), i suoi notevoli tratti espressivi: un jazz contemporaneo debitore delle avanguardie storiche e aperto a nuovi percorsi. I temi, spesso reiterati in riff, si snodano in equilibrio tra concitazioni ritmiche e piena libertà d'interazione improvvisata.

Le strutture formali restano comunque solide e le due composizioni di Stevens confermano la sua ricca vena lirica ed i solidi rapporti con la tradizione (accanto al notturno "Liquid Cage" composto per Mark Whitecage, troviamo l'anomalo valzer "Could This Be A Polka?").

Tutti incisi tra il 2001 e il 2003, ma pubblicati in anni diversi, sono i nuovi dischi del quartetto che evidenziano l'alta creatività raggiunta in percorsi anche visionari e magnetici ma sempre solidamente strutturati: Variations on a Master Plan (Leo Records), Spirals (482 Music), Live at the Outpost Performance Space (482 Music).

Tra le nuove composizioni del pianista spicca "Circle Dance", altro momento di lucido lirismo, con note e silenzi carichi di palpabile tensione. Ultimo CD della formazione è Poetry in Motion del 2008.

Tra i recenti lavori di Stevens acquistano rilevanza il duo del 2004 con Michael Rabinowitz al fagotto ed il trio con Fonda e Sorgen ripreso a Cracovia nell'aprile 2006. Pubblicato dall'etichetta Drimala col titolo Play, il primo disco è un maestoso dialogo tra due artisti che tornano a incidere dopo un quarto di secolo in piena sintonia: le coordinate di riferimento si collocano tra camerismo accademico e libera improvvisazione post free, dove alto senso della forma e cantabilità melodica non offuscano tensione emotiva e ricerca di soluzioni nuove.

Il secondo album, pubblicato dalla polacca Not Two col titolo Trio, vede il Fonda-Stevens Group nell'anomala formazione senza Herb Robertson. Scambiandosi continuamente con il bassista il ruolo melodico e quello ritmico, il pianoforte di Stevens ha modo di farsi apprezzare sia nei preziosi interventi lirici che nei magnetici accordi iterati, dov'è evidente la relazione con lo stile di Andrew Hill. L'altro polo espressivo (Sorgen) è una continua fonte di suggerimenti ritmici.

Il presente e i progetti futuri

Nel 2003 Michael Jefry Stevens s'è sposato e da allora risiede a Memphis con la moglie. "All'inizio temevo che quella scelta avrebbe potuto limitare il mio percorso artistico - dice il pianista - ma è accaduto proprio l'opposto. Sto lavorando molto di più all'estero in differenti contesti e ho anche varato numerosi progetti "sudisti", che sono dovuti alla mia presenza a Memphis. Molti includono la relazione col musicista di New Orleans Brian "Breeze" Cayolle ed il suo quartetto. Ho poi partecipato alla fondazione di un nuovo gruppo chiamato Southern Excursion Quartet composto dal bassista di Memphis Jonathan Wires, il batterista di Nashville Tom Giampietro e il sassofonista Don Aliquo. Abbiamo appena realizzato un CD con nostre composizioni". Altre formazioni musicali del presente sono il duo col chitarrista/armonicista Pat Bergeson, un allievo di Chet Atkin ed uno dei più richiesti musicisti di Nashville.

La lunga relazione con Joe Fonda continua nel Fonda-Stevens Group e nel Conference Call ma i due artisti hanno varato un nuovo ensemble con gli ungheresi Mihaly Borbely e Balasz Bagyi. Il quartetto si chiama Eastern Boundary ed ha pubblicato un disco in Ungheria nel 2007. Altri quartetti "misti" sono lo svizzero In Transit (comprendente il sassofonista Juerg Solothurnmann, il bassista Daniel Studer e il batterista Dieter Ulrich) e il Griffith-Stevens Quartet, con la cantante Miles Griffith. "Dieter ed io abbiamo altri progetti insieme - continua Stevens - incluso quello con Ewald Huegle, uno dei pù sottovalutati musicisti del pianeta!!".

Tra i nuovi progetti del pianista ricordiamo il Brass Tactics Ensemble con i trombonisti Steve Swell e Dave Taylor, i trombettisti Ed Sarath e Dave Ballou più Emy Kohn direttore musicale. Ed ancora il duo col violinista Szilard Mezei (con cui ha appena registrato un disco a Budapest) e varie relazioni con musicisti argentini.

"Sto pianificando in tour di concerti in solo e in duo per festeggiare nel 2011 il mio 60° compleanno - conclude il pianista - Credo che non sia così negativo essere fondamentalmente "sconosciuti" al pubblico. Cerco solo di portar la mia musica nell'ambiente. La vedo come un'energia salutare e sento che il mio compito è quello di continuare a diffondere musica di grande integrità e bellezza nel pianeta".

Foto di Bartek Winiarski (le prime due) e Angelo Leonardi (la sesta e la ottava).

Per la puntata della rubrica "I 10 CD nel lettore di..." dedicata a Michael Jefry Stevens clicca qui.

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