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Alexander von Schlippenbach

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Di Bill Shoemaker

All About Jazz: Albert Mangelsdorff e' morto da poco. Qual'e' il suo lascito artistico?

Alexander von Schlippenbach: Mangelsdorff e' stato un grande, forse il jazzista tedesco piu' famoso. Era apprezzato da tantissimi musicisti. Ha fatto parte della Globe Unity Orchestra per circa vent'anni e durante quella fase e' stato sempre interessato alla libera improvvisazione. Ha suonato anche in altri contesti ovviamente, ma ha sempre avuto un forte interesse nei confronti della libera improvvisazione. E' una cosa che voglio sottolineare.

AAJ: Mangelsdorff aveva 10 anni piu' di te ed era gia' affermato all'epoca in cui hai dato vita alla Globe Unity Orchestra negli anni '60. Che cosa rappresentava per te a quell'epoca?

AVS: Quanto di meglio ci fosse in circolazione. Era un eccellente interprete del bebop. Essendo di Francoforte aveva avuto modo di suonare con molti musicisti stranieri, ed americani in particolare, e spesso suonava alla radio. Quindi, a quell'epoca, era uno dei pochi tedechi ad essere venuto a contatto con jazzisti di alto livello. Successivamente inizio' a dar vita a suoi gruppi e ad allontanarsi progressivamente dal bebop preferendo comporre brani originali. E' a quel punto che il suo quintetto acquisto' fama e il Goethe Institute rese possibili diversi tour internazionali. Una delle ragioni di quella fama era il fatto che non si limitavano a suonare brani di jazz, ma composizioni che avevano radici nella musica folkloristica tedesca: il disco Now Jazz Ramwong ebbe grande successo proprio perche' includeva la reinterpretazione di una canzone tedesca tradizionale. Albert era il numero uno in Germania.

Passo' diverso tempo prima che potessi suonare con lui. Sono certo che, all'inizio, qualcuno rimase sorpreso, o addirittura shockato, dal fatto che Albert suonasse nella Globe Unity perche' lui era Mangelsdorff e l'orchestra faceva free jazz. Ma sono convinto che era proprio il suo interesse verso il free che lo ha reso grande.

AAJ: E' interessante che tu stesso consideri la Globe Unity fome una orchestra di free jazz. Il primo ad averla definita cosi' fu Joachim-Ernst Berendt. Credo che questa caratterizzazione sia significativa dei tempi in cui la Globe Unity ha operato. Dopo tutto la Globe Unity ha iniziato come una orchestra che suonava brani scritti; le vostre prime performance avevano molti piu' elementi predeterminati rispetto ai concerti degli ultimi venti anni. Ma rispetto alle altre orchestre del periodo la Globe Unity era decisamente lontana dalla norma.

AVS: Si. Lo era. E hai ragione quando dici che all'inizio i brani erano piu' scritti ed organizzati. Ma erano altri tempi. In Germania, cosi' come in Inghilterra ed Olanda, eravamo appena all'inizio di un movimento che intendeva esplorare nuove forme di improvvisazione e composizione. Ero anche attivo nel campo della musica contemporanea. Avevo studiato con Bernd Alois Zimmerman ed ero molto attratto dalla seconda scuola viennese, in particolare da Schoenberg e Webern. Quindi per me quello era un periodo in cui esisteva la possibilita' di creare nuovi suoni senza ricorrere a forme tradizionali, o alla sequenza di accordi che esistevano nel jazz della tradizione. Ad esempio, iniziai a sperimentare con l'uso di forme dodecafoniche. Il primo pezzo per la Globe Unity era cosi'. Da li' ho cercato di derivare altre formule improvvisative, ad esempio scegliendo una serie sulla quale usare delle variazioni, o di sviluppare dei riff basati su ritmi tipicamente jazz pur essendo derivati da scale dodecafoniche. In altre parole, le composizioni avevano delle sezioni dodecafoniche ma queste avevano sempre e comunque lo scopo di dare spazio all'improvvisatore, che poteva creare cose nuove sulla base degli elementi scritti.

AAJ: La Globe Unity inizialmente genero' non poche controversie in Germania. Come ci si sente quando si scopre che da un giorno all'altro ci si trova al centro di una controversia?

AVS: Fu un'esperienza piuttosto interessante. Non dimenticare che il nostro primo concerto fu organizzato dal Festival Jazz di Berlino nel 1966, che ci aveva appositamente commissionato la performance. Le reazioni furono molto forti. I critici furono molti, ma molti altri la considerarono una cosa sensazionale, un punto d'incontro tra il jazz e la tradizione classica europea. Mi sentii al centro di qualcosa che stava per iniziare, e che e' ancora in vita oggi.

AAJ: Secondo te i critici che mostrarono di apprezzare il vostro lavoro l'avevano veramente capito?

AVS: Non tanto. Secondo me considerare il nostro lavoro come il punto d'incontro tra il jazz e la tradizione classica europea non era corretto. Secondo me era una evoluzione del jazz stesso, il suo sviluppo logico. Si trattava di una evoluzione comparabile a quella subita che la musica classica europea aveva avuto all'inizio del secolo. Le trasformazioni emersero dal suo interno, erano uno sviluppo dei semi che gia' esistevano all'interno del materiale musicale. Alla fine dei conti, comunque, quello che veniva scritto non mi interessava troppo. Per me la cosa importante era l'approccio dei musicisti. Non aveva molto a che fare con qualla che viene chiamata composizione contemporanea.

AAJ: La decisione di creare degli ensemble internazionali fu legata al tuo interesse verso quello che stava succedendo in altri paesi, Inghilterra e Olanda in particolare?

AVS: Senz'altro. Gia' prima della Globe Unity, avevamo suonato molto con Han Bennink e William Breuker, ed eravamo stati contattati da musicisti come Evan Parker e Derek Bailey. Non c'erano molte differenze tra quelle scene nazionali. Eravamo ben coscenti delle tradizioni, e di dove la musica si trovava in quel momento. E tutti volevamo cercare nuove direzioni. Quindi ci stavamo muovendo tutti, in un modo o nell'altro, in maniera simile. Condividevamo gli stessi interessi e quindi era molto facile suonare insieme. Fu solo successivamente che si vennero a creare delle correnti stilistiche ben identificabili. Ma all'inizio avevamo molto in comune.

AAJ: Si tratta di una cosa che non viene sottolineata abbastanza nelle ricostruzioni storiche di quel periodo. Forse perche' la documentazione discografica di questa musica inizio' solo dopo che gli olandesi avevano consolidato uno stile particolare, e gli inglesi uno stile differente. In un certo senso il cerchio si e' chiuso, visto che oggi parliamo di musica improvvisata 'europea', ma - verso gli inizi degli anni '70 - erano emerse delle chiare linee distintive tra gli approcci delle varie scuole europee.

AVS: Forse hai ragione. Ma io ho avuto modo di ascoltare questi musicisti quando avevano piu' cose in comune che non differenze. Quindi probabilmente li ho poi continuati ad ascoltare nello stesso modo, anche per capire come potevano integrarsi nelle linee di sviluppo dell'orchestra. Dal '66 al '70 abbiamo suonato solo composizioni mie. Poi iniziammo a suonare spesso a Wuppertal, dove organizzavamo dei workshop, e fu li' che le cose cambiarono un po', e iniziammo a suonare composizioni di altri musicisti. In quel periodo suonavamo pure pessi di Hans Eisler, che venivano fuori in maniera piuttosto divertente. Avevamo arrangiamenti di Breuker, brani di Anthony Braxton, Kenny Wheeler, Manfred Schoof... quindi lavoravamo su molti concetti e compositori allo stesso tempo. Dagli anni '80 in poi, l'attenzione e' passata sulla improvvisazione libera, senza composizioni o concetti pre-esistenti.

AAJ: Secondo te, questo passaggio verso l'improvvisazione libera avvenuto negli anni '80 riflette la raggiunta maturita' degli improvvisatori europei, che ha reso possibile che 12-15 musicisti potessero suonare insieme in maniera piu' articolata e sofisticata rispetto agli anni '60?

AVS: Certo. Perche' questa era una musica che abbiamo creato noi, invece che aver ereditato dai nostri predecessori, come il bebop. Quindi c'e' voluto molto tempo per svilupparla. Ma ora abbiamo una lunga esperienza relativa alle possibilita' a nostra disposizione su come suonare insieme in questa maniera. Se ci pensi, si tratta di una sequenza in cui improvvisazioni collettive si alternano agli assoli. Gli assoli sono importanti in quanto, per la mia generazione, l'improvvisazione jazzistica era gli assoli erano la stessa cosa. Quando suonavi in un gruppo ti attenevi agli arrangiamenti, magari limitandoti ad aggiungere qualcosa qui e li, poi c'erano gli assoli dei vari musicisti. Noi pero' abbiamo anche improvvisazioni collettive. E' comunque importante che nelle nostre performance ogni musicista abbia la possibilita' di suonare assolo.

Portando avanti queste idee abbiamo notato che ci sono degli aspetti della musica che emergono ogni volta, e che man mano vengono chiariti. Forse questo costituisce in se' una 'forma'. Ma il fatto e' che ogni concerto e' diverso, quindi non sono in grado di dire se quello che facciamo e' in conflitto con l'idea di libera improvvisazione.

AAJ: Spesso ti descrivi come un musicista di jazz. Ascoltando la Globe Unity noto spesso che hai un approccio jazzistico nel modo in cui suoni, in particolare in come credi un centro di gravita', non necessariamente dal punto di vista armonico ma piuttosto da quello ritmico e dei clusters.

AVS: E' ovvio. L'approccio ritmico e' cio' che abbiamo imparato dal jazz. Cerco di assicurare che la batteria fornisca la spinta in avanti che e' necessaria, in quanto per me questo e' cio' che caratterizza il jazz: ci deve essere una forza che spinge in avanti la musica. Questo e' quello che distingue il jazz dalle altre musiche. Il mio approccio personale, poi, ha un suo swing. Non uno swing nel senso tradizionale. Intendo dire che cerco di far crescere l'intensita' ritmica col mio modo di suonare. Gli altri componenti dell'orchestra poi fanno lo stesso.

AAJ: Quando sei intervistato spesso citi tra le tue influenze Thelonious Monk e Cecil Taylor. Ma mi sembra di ravvisare anche echi di un jazzista che non ti ho mai visto menzionare, Mal Waldron.

AVS: Lo conosco bene e la sua musica mi piace molto. Pero' non credo di ricollegarmi a lui in maniera conscia. Ma forse hai ragione. Dovendo parlare di influenze, comunque, dovrei iniziare col primo pianista che ho visto dal vivo: Oscar Peterson. Fui completamente travolto dallo swing che aveva, una cosa che volevo imparare. Poi c'e' stato Horace Silver, le cui composizioni ho suonato spesso in un quintetto che avevo con Manfred Schoof. Le copiavamo direttamente dai suoi dischi. E poi ovviamente Monk. Soprattutto come compositore.

AAJ: E' raro che un musicista continui a lavorare su un progetto per decenni, come nel caso della Globe Unity. Ma tu hai anche un altro gruppo che ha una vita quasi uguale: i trii e quartetti con Evan Parker e Paul Lovens.

AVS: Si. Il trio e' iniziato nel 1970.

AAJ: I due progetti sono andati avanti in parallelo. Ascoltando il tuo lavoro in questi contesti moldo diversi e' possibile notare una serie di similitudini e di differenze. Fai delle scelte precise su come suonare in questi due progetti?

AVS: Per la verita', secondo me non c'e' molta differenza. Ovviamente ho piu' spazio a disposizione quando suono in trio. Nell'orchestra quando uno dei musicisti e' in primo piano cerco di stargli dietro, ma quando ci troviamo in un momento di improvvisazione collettiva naturalmente non posso interagire con uno specifico musicista, quindi cerco di suonare in maniera da inserirmi nel contesto generale di quello che sta succedendo.

AAJ: Prima hai parlato delle varie fasi evolutive della Globe Unity. C'e' stata una evoluzione simile pure nel trio?

AVS: Il trio e' un gruppo che suona per lo piu' in piccoli club. In passato andavamo in tour e cercavamo di suonare il piu' possibile. Ora ci limitiamo ad un tour ogni anno, a dicembre. Il nostro stile si e' sviluppato in quel contesto. Non facciamo mai prove, ma avendo suonato insieme per 30 anni abbiamo sviluppato una nostra maniera di suonare, che si e' sviluppata di fronte al nostro pubblico. Non abbiamo mai avuto una particolare idea o teoria da sviluppare. Ci siamo limitati a suonare e poi suonare e suonare ancora, finche' abbiamo trovato quello che si adatta meglio a noi.

AAJ: 35 anni sono un sacco di tempo. Evidentemente Parker e Lovens suonano bene...

AVS: [ride]. Si! La cosa che dico sempre di Evan e' che e' stato il migliore allievo di Coltrane. Ha lo stesso atteggiamento, molto serio e dedicato alle cose che fa. Ha dato un ulteriore impeto a quel modo di suonare. E' differente, ma il desiderio di andare in profondita' all'interno della musica e' lo stesso. E' molto vicino al mio modo di sentire. Lovens mi piace molto per la sua rapidita' di reazione e la sua capacita' di sorprendermi in continuazione. Riesce sempre a creare una tensione creativa e allo stesso tempo assicurare continuita' alla musica.

AAJ: Ha uno swing non convenzionale...

AVS: Si. Ha familiarita' con molte forme di jazz ed ha suonato 'straight' per tanti anni. Era come Tony Williams.

AAJ: Ci sono diversi altri musicisti nella Globe Unity con cui hai avuto collaborazioni durature, come Manfred Schoof e Gerd Dudek. Secondo me danno un contributo importante proprio per il fatto che per lo piu' suonano jazz.

AVS: Sono i miei amici musicali di piu' lunga data. Abbiamo iniziato a collaborare verso la fine degli anni '50. Incontrai Manfred al mio arrivo a Colonia, dove andai a studiare. C'era il primo dipartimento di Jazz d'Europa. Suonavamo insieme in jam session quasi ogni sera. Tutti i pezzi di Horace Silver e quelli dei Jazz Messengers. All'inizio degli anni '60 il jazz proveniente dagli Stati Uniti aveva una grande influenza. Scoprivamo Ornette Coleman e Cecil Taylor, man mano che i loro dischi raggiungevano l'Europa. Ornette Coleman ci diede una grande voglia di scrivere composizioni non convenzionali, non basate sulle sequenze degli accordi. Coleman ci fece capire che potevamo basare i nostri pezzi sulle melodie e i temi. Schoof, Dudek ed io vivemmo insieme questo periodo che ci porto' a suonare in maniera nuova. Anche se oggi suonano in contesti convenzionalie, per noi non e' un problema suonare insieme in maniera progressiva.

AAJ: L'idea di un jazz 'progressivo' mi piace, ma sembra che stia diventando un concetto del passato.

AVS: Non sono d'accordo. E' ancora molto forte. Quante volte il jazz e' stato dichiarato fuori moda, o addirittura morto, e poi qualcosa e' accaduto che gli ha consentito di continuare ad essere sempre nuovo? C'e' una nuova generazione di musicisti a Berlino. Rudi Mahall, e' un buon esempio. Lo spirito del bebop e' presente nel suo modo di suonare, ma in una maniera nuova. In un certo senso in maniera simile a come lo stile di Coltrane riemerge nel modo in cui suona Evan Parker. Questo e' quello che trovo interessante. Lo spirito del jazz non muore. Continua a rinascere ed assumere nuove forme. Continuera' ad essere sempre cosi'.

AAJ: Assumo che questo modo di intendere le cose sia stato all'origine della tua decisione di formare la Berlin Contemporary Jazz Orchestra.

AVS: Si. Verso la fine degli anni '80 la Globe Unity non suonava molto. Quindi abbiamo deciso di prendere una pausa. Ho sempre avuto un grande interesse nei confronti della composizione e volevo suonare i lavori di compositori e musicisti di jazz contemporaneo. Ma c'e' voluto un grande lavoro organizzativo e una quantita' di denaro offerto dalle autorita' culturali di Berlino. La situazione si e' complicata man mano che i fondi per la cultura sono venuti a mancare e sono riuscito a metterla su ogni due anni solo grazie all'aiuto di Radio Berlino, che ci dava gli spazi per le prove e i concerti. Credo che i nostri 3 CD riflettano bene le nostre intenzioni.

AAJ: Come paragoneresti le tue sensibilita' compositive del primo periodo della Globe Unity con quelle della Berlin Contemporary Jazz Orchestra?

AVS: Credo che l'esperienza ed i contatti avuti nei venti anni che dividono le due orchestre mi hanno arricchito e le mie capacita' compositive si siano allargate. I musicisti con cui suono hanno un grosso impatto. Ho fatto tante cose diverse e il mio approccio e' cambiato tante volte. Al momento sto riesplorando l'idea di usare materiale dodecafonico. Ho registrato da poco un disco per la Intakt intitolato Twelve-Tone Tales. Ho avuto la fortuna di avere tre giorni a disposizione per registrare negli studi radiofonici di Baden-Baden. Posso immaginare che questo materiale, se il tempo e le opportunita' lo consentiranno, puo' essere in un gruppo con altri musicisti. C'e' ancora molto da scoprire all'interno di quest'approccio!

AAJ: Esso sembra implicare una interessante dinamica tra liberta' e disciplina, finendo per dar vita a qualcosa che non sarebbe possibile creare in nessun'altro modo.

AVS: E' vero. La liberta' ha una natura dialettica. All'inizio il materiale e' abbastanza restrittivo e mi limito a suonare all'interno della struttura dodecafonica. Poi inizio a fare delle variazioni, ma non le scrivo. Le improvviso. Queste variazioni sono prima minori e lente. Richiedono tempo. Dopo un po', ho materiale che posso mettere insieme e che si adatta alle mie capacita' tecniche. La dodecafonia ti da' un nuovo approccio in quanto devi rimandere nel suo contesto, ma ti consente di avere una libera atonalita'. Come molti jazzisti penso alla mia tecnica e come mantenerla o migliorarla. Se mi esercito posso migliorare la mia tecnica, ma puo' capitare anche l'esatto contrario. A volte e' necessario prendere una pausa per poi tornare ed essere freschi. Ma e' necessario essere regolari.

AAJ: Immagino che sia indispensabile mantere una buona tecnica per poter suonare Monk in generale, in particolare per il tuo progetto Monk's Casino.

AVS: Le sue compositioni sono capolavori. Ci sono pezzi di Ellington che non sono riusciti, ma ogni brano di Monk e' una perla. Anche quando si stratta di una breve sequenza di 4 misure come "Friday the 13th". Sono brani cosi' definiti e rigorosi che mi hanno sempre affascinato. Tecnicamente, alcuni sono facili da suonare. "Locomotive" potrebbe suonarla un bambino. Ma alcuni sono piuttosto complicati, tipo "?Four in One" o "Who Knows" che non viene suonata quasi mai. La difficolta' principale, comunque, non e' di tipo tecnico. Nella musica di Monk uno deve prima di tutto capire la melodia. E' una cosa che ho capito da Steve Lacy. Per capire la melodia devi averla nella tua testa. Non puoi leggerla dallo spartito. Devi aver presente tutti i punti della melodia sui quali mettere enfasi. E per fare questo devi per forza ascoltare i dischi in cui Monk suona quei brani.

AAJ: Un ultimo pensiero prima di chiudere?

AVS: Sono molto felice che la Globe Unity sia stata rianimata. Uso il termine 'rianimata' anche se e' una parola buffa. Quando suonammo un concerto nel 2002 erano passati circa 10 anni dalla volta precedente. Ma quando ci siamo re-incontrati fu come se non avessimo mai smesso di suonare insieme. Il risultato fu ottimo ed e' documentato su un CD della Intakt Globe Unity Orchestra 2002. Da quella volta abbiamo suonato in diverse altre occasioni, e l'anno prossimo celebreremo il 40esimo anniversario. Credo che questa nuova fase puo' andare avanti per qualche tempo...

Traduzione di Luigi Santosuosso.

Intervista riprodotta per gentile concessione dell'autore e del suo webmagazine: Point of Departure.

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