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10 opere d’arte

Nel '68, valori squisitamente estetici e - parafrasando Schopenhauer - "volontà di rappresentazione" di una realtà globale in quintessenziale fermento, marciano di pari passo. E così pure la nostra selezione/zoomata, dalla quale rimangono purtroppo esclusi artisti molto amati (Vedova, de Kooning, Shiraga, Bacon, Sam Francis, su tutti) di cui non è stato possibile reperire opere adeguate per datazione e/o rappresentatività. Seguendo il doppio binario di cui sopra, ecco comunque che cosa ne è venuto fuori.

Alberto Burri

Combustione

Plastica, acrilico, vinavil e combustione su tela, 88x102

Il Burri del '68 ci viene incontro etereo ed essenziale. Mancano la matericità, violenta quanto equilibrata, dei catrami, la grumosità cromatica giocata fra neri e rossi (dialettica timbrica per eccellenza, non solo in lui) come lungo il declivio dei bruni bronzati, l'impatto scabro dei sacchi di juta. La pratica della combustione è d'altra parte tratto altrettanto schiettamente burriano. Questa in particolare è tanto elegante quanto ricca di pathos, nel rispetto dell'equilibrio di cui sopra.

Marc Chagall

In Front of the Picture

Olio su tela, 72x48

Creativamente longevo come un Picasso (o quasi), però lungo coordinate più univoche e omogenee (quella che si definisce cifra stilistica, in lui quanto mai riconoscibile), un ottantenne Chagall (era nato a Vitebsk, attuale Bielorussia, nel 1887, per morire nel buen retiro di St. Paul de Vence nel 1985) ci regala un magistrale esempio di metapittura (un po' come il metateatro di Pirandello). Con tutte le stimmate del lui-même DOC.

Lucio Fontana

Concetto spaziale. Attese

Idropittura su tela, 50x61

Il 1968, il grande padre dello Spazialismo l'ha vissuto solo in parte (è morto il 7 settembre di quell'anno), con una produzione per forza di cose più circoscritta del solito. La sua presenza in questa carrellata - anche proprio "filosoficamente," ideologicamente - era peraltro indispensabile: sette tagli su rosso, del resto, come dire un Fontana che più Fontana di così...

Joan Mirò

Oiseau entre deux astres

Acquatinta a colori, 70x56

Pochi come il catalano sono riusciti a essere interamente se stessi anche attraverso l'incisone e, più in generale, la carta e il multiplo. Ciò in primo luogo per la forza - e pulizia - cromatica (di cui del resto lo "scheletro" grafico-segnico è corollario imprescindibile), dei rossi e dei neri in primis, magistralmente incuneati nel bianco che è sinonimo di assoluto, di tutto e di nulla, di pieno e di vuoto. L'acquatinta prescelta sta qui a ribadirlo oltre ogni (ir)ragionevole dubbio.

Pablo Picasso

Cavaliere con pipa

Olio su tela, s.i.m.

La longevità creativa si addice al pictor novecentesco per eccellenza (e non solo, del resto: scultore, incisore, ceramista, ecc.), qui colto ultraottuagenario (sarebbe morto a novantadue anni nel '73) in uno dei suoi tipici ritratti, dai cromatismi quanto mai accesi, vividi, e comunque incasellati entro forme che ci fanno risalire fino alle Demoiselles d'Avignon e alla stagione cubista di sessant'anni prima. Il tutto in un'opera incontestabilmente "contemporanea".

Robert Rauschenberg

Engagement

Transfer a solvente, gouache e matita su carta, 57x76

Costantemente in bilico fra espressionismo astratto e pop art, di cui incarna l'anima più umana, brada, antiscolastica, Rauschenberg rimane, come essenza, un cane sciolto (nel senso migliore del termine), non a caso grande amico di John Cage, di cui rappresenta per più versi una sorta di pendant pittorico. La molteplicità delle sue fonti/divagazioni ispirative (qui ne vediamo una delle tante) lo testimonia eloquentemente.

Marc Rothko

Untitled (Gray, Gray on Red)

Acrilico su carta montata su pannello, 65x50

Due masse grigie (una quasi nera) su fondo rosso vermiglio (tendente all'arancio) disposte secondo il classico ordine rothkiano: è quanto ci offre questo lavoro dell'artista lettone-americano, alle cui opere anni fa Pierre Favre dedicò una suggestiva solo performance. Partito da un figurativo stilizzato e antiaccademico, passando per un post-surrealismo un po' fra Matta e Sutherland, nei tardi anni Quaranta Rothko approda alle forme che lo segneranno sino alla fine (giunta di sua mano nel 1970): la forza incruenta e l'incisività scabra, anticonsolatoria, di un universo del tutto a sé.

Mario Schifano

Futurismo rivisitato a colori

Serigrafia a smalto, 70x100

Molto sensibile, specie all'epoca, a una "mitologia" iconografica di stampo warholiano, uno degli artisti più controversi del secondo Novecento, onnivoro e (non di rado) mistificatore, nonché manierista (di se stesso, delle sue svariate "maniere"), si è rivolto a più riprese, negli anni, a questa celebre foto del gruppo futurista, rigenerandola in più versioni (è anche questo manierismo? o semplice "maniera"?). Del '68 di uno Schifano poco oltre la trentina, andrà ricordata anche la serie dei vari Compagni, compagni, non fosse altro che per l'emblematicità "di steccato".

Shozo Shimamoto

Esquisse Olio su carta, 38x53

Pur non possedendo la forza dirompente e la magmatica gestualità di uno Shiraga, sommo sacerdote del Gruppo Gutai, Shimamoto, oggi ottantatreenne, fa leva su un "segno" cromatico più liquido e netto, per quanto anche in lui l'aspetto gestuale sia elemento fondante di un modus operandi che - bottle crash in testa - da esso trae spunto imprescindibile. Della sua fisionomia artistica più tipica, l'opera in questione non condivide certo le dimensioni, di regola decisamente più corpose.

Andy Warhhol

Marilyn Monroe Serigrafia su carta, 92x92

Inevitabile: fra le icone warholiane, e quindi della Pop Art, e quindi dell'immaginario sessantottino, Marilyn occupa indiscutibilmente la vetta. Warhol (all'epoca quarantenne) ne ha sciorinate diverse varianti (celeberrima quella multipla, del '67), tra cui questa nell'anno domini di nostra pertinenza. Aggiungere altro sarebbe del tutto pleonastico.

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