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Vertigine creativa: intervista a Walter Beltrami

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Ho avuto la possibilità di mettere insieme il gruppo dei miei sogni, sono i miei musicisti preferiti nel loro strumento.
La Benign Paroxysmal Postural Vertigo è un disturbo del sistema uditivo che provoca alla persona vertigini improvvise e una totale destabilizzazione. Il chitarrista Walter Beltrami ne ha sofferto, ma ha trovato il modo di trasformare questo fastidio in uno spunto creativo per un album dove scrittura, improvvisazione e deragliamenti stilistici contribuiscono a creare un flusso sonoro d'innegabile appeal. Lo abbiamo intervistato per indagare l'intenzione di un lavoro complesso e strutturato con fantasia, che sembra il punto di partenza per nuove avventure sonore di un percorso artistico che non conosce passaggi a vuoto.

All About Jazz Italia: Per un album con un titolo come Paroxysmal Postural Vertigo la domanda, spesso scontata, sul suo significato diventa inevitabile.

Walter Beltrami: Il titolo si riferisce ad un disturbo della percezione visiva che provoca delle fortissime vertigini di cui ho sofferto personalmente per circa sei mesi. Inizialmente si è trattato di una situazione totalmente invalidante, però poi è diventata - in un certo senso - una chiave attraverso la quale potevo leggere tantissime cose della vita, ma anche della musica. Avevo in testa delle melodie che si accavallavano una con l'altra, che si rincorrevano, e dopo un po' di tempo mi sono accorto che tutto quello che avevo scritto era influenzato dalle mie vertigini. Mi era piaciuto il nome della sindrome, che in inglese suona un po' rocambolesco, e dunque l'ho scelto come nome per un progetto. Anche perché da lì ho preso spunto per l'idea grafica, con un chitarrista che cade nella spirale, che tra l'altro si ricollega al film "Vertigo" di Alfred Hitchcock.

AAJ: Qual è il concetto musicale che lega i brani in scaletta?

W.B.: Tutti i brani sono influenzati dalla vertigine, sia reale che compositiva, e sicuramente un altro filo conduttore è l'impatto che volevo che il gruppo avesse. Proprio perché queste vertigini sono degli attacchi molto rapidi, molto violenti, volevo che questa irruenza fosse ricondotta a livello sonoro; ho voluto delle sonorità, tra virgolette, più rock, più aggressive. Volevo un disco che fosse violento, molto d'impatto e che fosse imprevedibile. Mi servivono musicisti molto creativi, un po' folli, come Francesco (Bearzatti, N.d.R) e Stomu (Takeishi, N.d.R.). Allo stesso tempo volevo anche un elemento "normalizzante," per questo ho scelto il violoncellista Vincent Courtois.

AAJ: C'è anche una parte improvvisata. Che rapporto hai con la musica non scritta?

W.B.: Sicuramente è un aspetto molto importante della mia musica, e direi che cerco sempre di creare un'armonia, una coesionie migliore possibile tra l'improvvisazione e la composizione. In questa fase del mio percorso non mi piace più di tanto quando sento un tema e poi dei momenti solistici separati, vorrei che ci fosse un flusso omogeneo composto da parti scritte e da parti completamente improvvisate, quindi l'improvvisazione ha un ruolo centrale.

AAJ: Nelle tracce c'è molta presenza del sax di Francesco Bearzatti. Cosa vi lega dal punto di vista musicale?

W.B.: Lavoriamo insieme da diversi anni, ci siamo conosciuti in un gruppo di Emanuele Maniscalco e da lì è nato un sodalizio che dura da un po.' Ho registrato con lui anche il mio disco precedente Timoka. Francesco è un musicista straordinario e quello che amo di lui è la sua creatività, assoluta, e la capacità di essere aggressivo quando suona, così d'impatto. Questa è una qualità che difficilmente si trova in un musicista e in un saxofonista. Lui è il polo chiave dei miei progetti, il suo suono e il suo linguaggio sono molto vicini al mio, quindi si sposa molto bene con quello che scrivo; è il musicista che ha saputo più di tutti interpretare subito la mia musica.

AAJ: Sei molto influenzato dalla tecnica dei saxofonisti?

W.B.: Sì (ride, N.d.R.). Nel senso che da sempre ho ascoltato più saxofonisti e pianisti che chitarristi al punto che sono in difficoltà quando mi chiedono quale sia il mio chitarrista preferito. Del sax amo la capacità di poter essere così fluido e mi piace il fatto che con uno strumento a fiato a volte si può essere vaghi e ambigui sulle note. Ho cercato di riprodurre con la chitarra questa fluidità e, a volte, questa ambiguità, cercando di creare dei suoni meno definibili.

AAJ: Quanto lavoro c'è stato in studio di registrazione?

W.B.: Abbiamo fatto due giorni di prove e due concerti prima delle session. In studio abbiamo collaudato il tutto; il disco l'abbiamo registrato in un giorno, avevavmo già le idee chiare e in studio c'è stata la messa a punto. Per questo scelgo dei musicisti che, al di là della loro bravura, sapranno andare subito nella direzione dei miei pezzi, grazie alla loro musicalità.

AAJ: Dalle session è passato circa un anno. In questo periodo in cosa ti senti migliorato?

W.B.: Grazie a questa esperienza tantissimo, perché ho avuto la possibilità di mettere insieme il gruppo dei miei sogni; sono i miei musicisti preferiti nel loro strumento. Quindi è stata una grande esperienza, ho imparato molto da loro, dalla loro totale messa a disposizione che hanno mostrato nei confronti del progetto. Hanno dato il cento per cento, è stato un onore e quando questo accade è una magia.

AAJ: Questa è la musica che vuoi suonare?

W.B.: Ho semrpe cercato di fare quello che in quel momento era veramente importante per me, quindi sicuramente questo è il disco dove sono riuscito più che in altri a realizzare completante quello che avevo in mente. Da questo punto di vista quest'album è l'inizio di qualcosa di nuovo nel mio percorso.

AAJ: Qual è a tuo avviso l'aspetto meno riuscito del disco?

W.B.: Difficile rispondere. Di solito non ascolto i miei lavori, perché poi se ci si affeziona anche troppo e si rischia di vedere il lavoro svolto come una cosa irripetibile, oppure di trovare delle cose che non vanno. Sicuramente ci sono cose che farei diversamente adesso, infatti più che analizzare a ritroso il disco sto già lavorando su cose nuove per un nuovo album che spero vedrà la luce questa estate. Vorrei entrare di nuovo in studio con Francesco e Stomu per registrare il nuovo progetto.

AAJ: Sarà molto diverso o seguirà la stessa linea?

W.B.: Diciamo che è un'ideale continuazione dell'ultimo disco, anche se ho pensato di coinvolgere Giovanni Falzone, che ho incontrato a Firenze dove eravamo in concerto. Sarebbe il nuovo musicista al posto di Courtois. La sonorità sarà dunque diversa. Però da un certo punto di vista riprendo da dove ho lasciato con Paroxysmal Postural Vertigo. Al momento non ho che idee embrionali che in questo anno sto sviluppando.

AAJ: A chi è rivolto un album del genere?

W.B.: Spero a tanti, perché il mio sogno è di poter ascoltare e suonare una musica che non ha generi e non ha confini, quindi a mio avviso in questo disco c'è tanto per un'ampia fascia di ascoltatori, nel senso che ci sono sonorità jazz, ma anche rock. Mi piace la fusione di generi, di una musica totale che spero sia per molti.

AAJ: Hai un obiettivo da raggiungere come musicista?

W.B.: Il mio obiettivo è quello di fare qualcosa che sia urgente per me. Cerco sempre di ottenere quello che più o meno vorrei sentire. Cerco di fare un qualcosa di originale, che faccio fatica a trovare, o almeno ci provo; è un tentativo che a volte va meglio altre va peggio. Credo che fare quello che ho in testa sarà sempre il mio obiettivo. Non mi va di fare musica tanto per fare.

Foto di Roberto Cifarelli (la prima), Alessandra Freguja (la seconda)


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