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Verona Jazz 2013

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In un periodo di crisi economica, dove la contrazione per i consumi di cultura e spettacoli è evidente e gli investimenti degli assessorati ridotti all'osso (con Verona Jazz che ha perso lo sponsor), l'edizione 2013 del festival ha ottenuto un bilancio lusinghiero in termini d'affluenza, puntando esclusivamente sul jazz italiano (e dintorni) con alcuni dei suoi nomi più importanti e/o popolari.

Scelte comprensibili ma uno sforzo (piccolo in termini economici, grande dal punto di vista artistico) si poteva fare. Bastava affiancare ai nomi di cassetta qualche progetto artisticamente innovativo, magari prendendo dal formidabile bacino di giovani jazzmen italiani. Un contentino c'è stato facendo precedere il concerto di Rava dal duo Gianluca Petrella-Giovanni Guidi, che sono però musicisti ampiamente affermati.

Anche dal lato artistico il bilancio è stato in media positivo: la punta massima si è avuta col progetto di Enrico Rava su Michael Jackson e col duo Guidi-Petrella, quella minima col set della cantante Simona Molinari, nonostante la preziosa - quanto limitata - presenza di Franco Cerri.

Ma andiamo per ordine.

Il festival è iniziato il 22 giugno con il Danish Trio di Stefano Bollani, comprendente il contrabbassista Jesper Bodilsen e il batterista Morten Lund. Tutto esauriti i 1.800 posti del Teatro Romano e musica variopinta in buon equilibrio tra ricchezza espressiva e qualche episodio disimpegnato. Non è facile conciliare rigore artistico e spettacolo ma Bollani ci riesce, concedendo alla platea solo quello che viene dalla sua naturale esuberanza di mattatore. Il concerto è iniziato con una lirica versione di "Retrato em branco e preto" a cui è seguita una lunga e tumultuosa improvvisazione da cui emergevano sprazzi di melodie note, come "Le foglie morte". Un set sviluppatosi sul filo della creatività, alternando canzoni ("Come prima," "La Tieta") a noti standard ("Honeysucle Rose," "All The Things You Are"), più libere improvvisazioni farcite di citazioni ("Caravan," "Rosemary's Baby").

Bollani ha privilegiato la relazione con Morten Lund, con cui ha condiviso sia aspetti musicali che ludici. La grande tecnica del batterista, condita con aspetti funambolici, ricordava un po' Han Bennink ed è stata molto applaudita.

La sera successiva è iniziata con il duo Petrella-Guidi, una collaborazione iniziata di recente che s'è fatta apprezzare per profondità d'esplorazione e intenso interplay. In quest'occasione Guidi ha lasciato spazio all'abbagliante virtuosismo del trombonista, assicurandogli un sostegno tumultuoso, con lunghi momenti iterativi. Un'ora di libera e pregnante improvvisazione free dove l'unico tema noto è stato l'ellingtoniano "Prelude to a Kiss," disegnato con avvincente intensità.

È seguito il progetto On the Dance Floor di Rava, con l'identica formazione che ha inciso l'omonimo disco per l'ECM.

Ascoltata dal vivo la musica è davvero coinvolgente per gli azzeccati arrangiamenti di Mauro Ottolini, gli interventi dei solisti e l'incalzante sostegno ritmico affidato in primis al basso elettrico di Dario Deidda e alla batteria di Zeno DeRossi. Sui brani di Michael Jackson la band ha costruito un percorso fantasioso e variopinto, con momenti di forte impatto e alcuni episodi lirici (come "Speechless" e "Smile" con Rava protagonista). Tra i brani di maggior presa ricordiamo il percussivo e tumultuoso "Thriller" e "Blood on the Dance Floor". Sarebbero molti gli interventi da segnalare. Ci limitiamo a quelli dell'entusiasmante Ottolini al trombone e basso tuba, di Marcello Giannini alla chitarra, Tittarelli al contralto e dei due ottimi trombettisti che affiancavano Rava: Andrea Tofanelli e Claudio Corvini.

Tutto molto diverso il concerto successivo di Simona Molinari che ospitava Franco Cerri.

Non vorremmo essere fraintesi. Da anni nei jazz festival italiani passa di tutto e c'è spazio anche per la musica leggera. Anche quest'ultima ha dignità se esprime sentimenti, senza appiattirsi in una logica industriale. La performance della simpatica Simona - che ha mezzi vocali apprezzabili - è purtroppo espressione di questo mondo: cerca di trovare la formula giusta per occupare una nicchia di mercato. Oggi si rievoca la canzone italiana profumata di jazz, domani sarà qualcos'altro.

La distanza tra questo mondo e quello di Franco Cerri - che è intervenuto come ospite accompagnando la cantante in mediocri versioni di "Bewitched, Bothered and Bewildered" e "Tua" di Jula de Palma - è siderale.

Cerri è un artista autentico che esprime se stesso, tanto quanto faceva Jula de Palma dalla sua prospettiva: era una cantante leggera ma era capace di emozionare. Comunicava passione non formule. Per questa ragione la sua versione di "Tua" suscitò scandalo.

In un mondo dominato dal marketing e dalla plastica si può replicare tutto: per i sentimenti umani non è possibile.

Diverso, da questo punto di vista, il concerto di Mario Biondi che ha concluso il festival con un altro esaurito. Il cantante catanese resta fedele alla sua estetica intrisa di soul (Barry White) e acid jazz (Incognito, Working Week). A Verona ha presentato brani dal suo ultimo album Sun e successi passati come "Close to You" e "This Is What You Are" con apprezzabili risultati. Biondi ha buon gusto e si circonda di musicisti di prima grandezza come Daniele Scannapieco al sax tenore o Lorenzo Tucci alla batteria; si esprime con autenticità, sul palco ha acquisito sicurezza e padronanza scenica. Tra i brani più efficaci ricordiamo "Come to Me" con un infuocato intervento di Scannapieco e l'omaggio ad Al Jarreau in "Light to the World".

Sempre impeccabili l'organizzazione di EVENTI e l'amplificazione audio di BH Audio.

Foto di Antonella Anti.


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