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Umbria Jazz 2013 – Parte II
ByJoe Legend, il giovane idolo del pop nero, ha profuso automatismi inoffensivi e ammiccanti, ma con grande professionalità. Inqualificabile sotto tutti i punti di vista invece lo spettacolo di Simona Molinari, al quale dispiace aver visto partecipare, a mo' di cammeo e di garante, il "senatore" Franco Cerri. Di tutt'altro livello, anche se un po' disomogeneo, il set successivo, che ha accostato due mostri sacri come Ramsey Lewis e Dee Dee Bridgewater. Nel contesto dell'Arena alcuni momenti del quintetto di Lewis hanno presentato movenze da musica da camera: bassa amplificazione, lente e rilassate cadenze ritmiche, un mood riflessivo e garbato. Con una straordinaria semplicità di mezzi si è raggiunta un'efficace identità musicale e comunicativa.
Si è cambiato tenore con l'ingresso di Dee Dee, genuina interprete della vocalità nera risultata in forma smagliante in questo gradito ritorno a Perugia. Che al piano rimanesse Lewis o che sedesse il suo pirotecnico pianista portoricano Edsel Gomez, la sessantatreenne cantante ha sprigionato una sensuale e dinamica vitalità: la densità e l'agilità della sua voce su tutti i registri si sono arricchite di vibrazioni ruvide e scure di indubbia suggestione.
Di ben altro spessore jazzistico sono stati gli appuntamenti pomeridiani o notturni al Teatro Morlacchi. È confortante notare a tale proposito che i protagonisti erano quasi tutti italiani; meno confortante il fatto che, in un bilancio fra Arena e Teatro, l'affluenza del pubblico è stata inversamente proporzionale alla caratura jazzistica della musica.
Corroborato da un tour in Brasile nel 2012, il duo Gabriele Mirabassi-Edmar Castaneda ha sviscerato tutte le possibilità di fusione fra due strumenti apparentemente distanti fra loro: il classico clarinetto, che sotto le dita di Mirabassi assume una gamma espressiva infinita, sia nelle sonorità ora affilate ora cave, che nel fraseggio funambolico, e l'arpa colombiana, dalle incredibili potenzialità armoniche, timbriche e dinamiche, esaltate dalla tecnica personalissima di Castaneda.
Il virtuosismo estremo comunque non è stato che il mezzo per dare sostanza e arguzia a un dialogo basato sul rispetto reciproco, anzi su una reale e istantanea partecipazione emotiva, e su un incrocio di culture trasfigurate: non solo quelle dei paesi d'origine dei due musicisti, ma spaziando anche fra Argentina, Brasile e Spagna. Ne è risultata una musica senza confini, sempre palpitante e tesa, di spessore assoluto, certo non relegabile all'ambito del folk e alla dimensione di plateale comunicativa.
Il dialogo pianistico fra Renato Sellani e Danilo Rea ha reso omaggio ad Armando Trovaioli muovendosi fra toni scanzonati, nostalgici, a tratti perfino solenni. I due non sono riusciti comunque a raggiungere la magia leggiadra e incantatoria del loro primo incontro, tenutosi alcuni anni fa ad Orvieto.
Particolarmente alta la qualità delle proposte pur diverse di Giovanni Tommaso e di Roberto Gatto. La concezione compositiva del contrabbassista toscano possiede peculiarità tipiche, una vena particolare, severa e antica, canonicamente jazzistica, sia sui tempi moderati, come in "Orizzonte" e "Girovagando," sia su quelli mossi, per esempio in "Euforia". Altrettanto semplice è la coesione e l'efficacia che Tommaso richiede e ottiene dal contributo dei partner del suo Consonanti Quartet, che infatti al Morlacchi hanno conferito schiettezza d'accenti alla performance: il drumming spumeggiante di Francesco Sotgiu, a fianco del drive rotondo e pieno del leader, e soprattutto gli audaci e possenti interventi di Danilo Rea e Mattia Cigalini.
Diversamente che in Piazza Walther a Bolzano, una settimana prima, a Perugia si è potuto apprezzare appieno il valore del Perfectrio di Roberto Gatto, che si è dimostrata una formazione veramente speciale. Ha colpito soprattutto la caratura dell'improvvisazione (a ben vedere quanto è difficile oggi ascoltarne di autentica); una concentrata ricerca di vari gradi di tensione e di diversi mood è stata espressa istantaneamente dai tre, tutti bravissimi: oltre al leader, Alfonso Santimone alle tastiere e Pierpaolo Ranieri al basso elettrico, tutti anche abili manovratori di effetti elettronici. Situazioni puntillistiche o rumoristiche sono cresciute gradualmente per sfociare nei temi di vari autori, esposti mai pedissequamente ma in modo obliquo e armonicamente deformato.
Al Morlacchi, infine, ha avuto modo di esprimersi al meglio anche il ventunenne romano Enrico Zanisi, uno dei talenti emergenti del jazz italiano, affiancato dai due altrettanto emergenti componenti del suo trio Life Variations: il contrabbassista Joe Rehmer, americano ma da anni residente a Foligno, e il batterista marchigiano Alessandro Paternesi.
Zanisi ha rivelato un pianismo aggiornato, dal tocco sgranato e pulito, allineato con quelle esperienze che prediligono distese linee melodiche, a volte di lontano sapore folk, i toni ora nostalgici e malinconici, ora di delicato intimismo, materializzando andamenti e atmosfere talvolta non dissimili da quelle di certi brani di Giovanni Guidi. Per il modo invece con cui ha saputo inoltrarsi con determinazione in cadenze decise e insistenti, il suo approccio ha richiamato quello di Ethan Iverson dei Bad Plus. In ciascuno di questi versanti egli è stato egregiamente assecondato dai suoi partner, che hanno dimostrato un affiatamento davvero lodevole.
Foto di Giancarlo Belfiore (Daniele/Biondi), Yasuhiro Fujioka (Mirabassi/Castaneda), Proietti (Tommaso/Cigalini) e Andrea Rotili (Lewis/Bridgewater e Zanisi).
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