A vent'anni dalla sua costituzione (1998, Università de la Plata, dove i tre musicisti erano studenti), il trio argentino Aca Seca esce con un nuovo album, come sempre infarcito di Latino-Americaper dirla con Gato Barbieridella più variegata acqua: la madre patria, ma anche Brasile e Uruguay, senza disdegnare climi più schiettamente montani (quindi andini), pur non particolarmente centrali, o la Spagna del tradizionale "La Cigüeña," fanno capolino in questo lavoro, fra temi originali e di altri (Sebastian Macchi in "Otro Atardecer" e "Ceibas," Edgardo Cardozo in "Ir Yendo," Jorge Fandermole in "Puerto Pirata" e Federico Parra in "A Mi Patrón," tutti argentini, nonché Hugo Fattoruso, uruguagio, in "Formas").
Tutto bene, dunque? Fino a un certo punto, visto che il tutto mantiene una patina di epidermicità molto marcata, magari anche fisiologica, visto il contesto, ma comunque penalizzante, in termini di qualità, alla lunga (e nemmeno troppo) anche un po' fastidiosa, nel suo perenne riprodursi. Fanno almeno parziale eccezione brani quali "Ceibas," di un certo pathos ed eleganza, "La Cigüeña," col suo fitto incedere percussivo, e lo strumentale "Hadas." Tutto il resto evidenzia un'esilità piuttosto scoperta, che non invoglia certo alla ripetizione dell'ascolto, nonostante una (fin troppo ricercata) gradevolezza complessiva.
Track Listing
Otro Atardecer; Paseo; Ir Yendo; Ceibas; Puerto Pirata; La Cigüeña; Hadas; Formas; Bandera; A Mi Patrón.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o