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The Wrong Object: The Unbelievable Truth / Soft Machine Legacy: Steam / Hugh Hopper: Numero D'Vol
The Wrong Object
The Unbelievable Truth
Moonjune Records
(2007)
Andiamo con ordine e partiamo dal bell’album live The Unbelievable Truth attribuito al gruppo belga The Wrong Object e registrato a Parigi nel mese di ottobre del 2005, pochissimi mesi prima della prematura scomparsa di Elton. Per quel che se ne sa questa è l’ultima sua testimonianza discografica, almeno in ordine cronologico. Il saxofonista inglese è ospite della band e il suo ruolo sul palco è evidentemente quello del protagonista, da ospite che non cerca un ruolo da star ma si mette con passione a disposizione del progetto e si incarica di tenere ben alta la bandiera di un suono ormai classico che prende il via dalle strambe sperimentazioni in quel di Canterbury di un manipolo di giovani virgulti in cerca di esotismi e sensazioni diverse per poi approdare a Londra e cercare di mettere su famiglia con i fuorusciti del jazz e del rock.
Fra l’altro Elton si unì a quel manipolo di temerari proprio nella capitale inglese e quindi non può fregiarsi del titolo di elemento fondatore del Canterbury Sound, ma seppe velocemente recuperare il terreno perduto e ne divenne certamente una delle bandiere più pronte a sventolare in alto, incurante dei venti e delle tempeste, disponibile a farsi sfilacciare e scolorire dalla pioggia e dal vento, senza mai pensare di lasciarsi ammainare.
La serata con il gruppo The Wrong Object (piuttosto noto in patria per le loro escursioni in territorio zappiano e per il lavoro appassionato nei meandri del jazz-rock d’autore) doveva essere preceduta da seduta di prove ma un inconveniente legato ad un guasto meccanico del pulmino che trasportava i musicisti dal Belgio a Parigi fece saltare questa possibilità e, se non si tiene conto di un brevissimo soundcheck, i cinque ragazzi del continente incontrarono praticamente il loro eroe d’oltre Manica direttamente sul palco al momento del concerto.
L’adrenalina contribuì certamente a tenere altissima la tensione e i risultati sono di prim'ordine. La salute di Elton dava già chiari segnali di preoccupazione ma il saxofonista non si tirò certo indietro per un’occasione che nei progetti suoi e in quelli del gruppo doveva essere la prima di una serie non si sa quanto lunga. Se poi il destino ha voluto che invece fosse l’unica occasione di incontro non possiamo, ahimè, farci nulla.
Conviene gustarsi questi sette brani equamente divisi, a livello compositivo, fra il saxofonista inglese e il chitarrista Michel Delville che si accredita come vero leader della band belga. Il brano “Millenium Jumble” porta la firma collettiva del gruppo e si muove senza paure a partire da un bel riff che funge da spina dorsale per le improvvisazioni che si spingono in territori ampi e variegati.
Già dall’apertura dell’album, con il 7/4 ben noto di “Seven For Lee”, una delle composizioni più note di Elton Dean, si era capito che la serata era memorabile e fortunatamente la registrazione qui pubblicata la rende disponibile per i numerosi fans di Elton Dean e dei Soft Machine.
Soft Machine Legacy
Steam
Moonjune Records
(2007)
A proposito di questo gruppo va segnalata la pubblicazione dell’album Steam che viene accreditato alla Soft Machine Legacy, la recente reincarnazione del celebre gruppo inglese che può contare sulla presenza determinate di membri storici come Hugh Hopper e John Marshall e di un buon chitarrista come John Etheridge che nei Soft Machine aveva lasciato una traccia meno decisiva, sia per il periodo in cui era arrivato, sia per la durata molto breve del suo coinvolgimento.
Fino al 2005 il quarto membro di questo gruppo, ricostituitosi grazie all’incessante lavoro del super-fan convertitosi manager Leonardo Pavkovic, era per l’appunto Elton Dean e la sua inattesa scomparsa ha costretto la band a inventarsi un rimpiazzo adeguato. La scelta è caduta sul saxofonista inglese Theo Travis, un musicista capace e decisamente attuale, pronto ad utilizzare un serie di arnesi elettronici che gli consentono di campionare il suo stesso suono in tempo reale e di riutilizzarlo per creare layers che allargano la dimensione timbrica del gruppo che per la prima volta si presenta in studio di registrazione senza tastiere.
Una scelta decisamente peculiare per una band che aveva fatto proprio dell’uso anomalo e straniante delle tastiere da parte di Mike Ratledge, il suo marchio di fabbrica più riconoscibile.
Il sax di Travis è più aggressivo e muscolare di quello chiaroscurato e angolare di Elton e un pochino ci mancano le magie arabescate del saxello e i voli alla ricerca del 'profondo nulla' che caratterizzavano da sempre l’arte di Elton. In cambio otteniamo un suono che è più spostato verso il jazz-rock e la fusion e qualche preziosa sottigliezza in meno. E sentiamo scorrere una lacrimuccia nostalgica che lascerà una lieve traccia indelebile che non dimenticheremo mai. L’album è stato registrato nel verde Surrey, a sud di Londra, negli ultimi giorni del 2006 ed è ovviamente dedicato a Elton. Comprende 10 brani fra i quali spicca una bella rilettura di “Chloe & The Pirates” che trentacinque anni fa era stata pubblicata per la prima volta sull’album Six.
Hugh Hopper
Numero D’Vol
Moonjune Records
(2007)
Per completare il trittico segnaliamo l’album Numero D’Vol di Hugh Hopper, un bel progetto in quartetto che affronta con frizzante energia il tema della improvvisazione in area free senza però negarsi il groove e i ritmi circolari che da sempre affascinano il lavoro del bassista. Sono con Hopper il saxofonista Simon Picard, il tastierista Steve Franklin e il batterista Charles Hayward. Ottimi musicisti che sanno entrare a dovere in queste trame aperte che sembrano vagare nell’aria per poi muoversi all’improvviso verso la direzione che meno ti aspetti.
Abbiamo l’impressione che il lavoro del saxofonista Simon Picard sia molto in sintonia con la lezione di Elton Dean e siamo certi che la sua prova in questo lavoro al fianco del bassista storico dei Soft Machine sarebbe molto piaciuta allo stesso Elton, un musicista sempre attento al lavoro delle nuove generazioni.
Le composizioni di Hugh Hopper sono come sempre dei piccoli calembour ritmici e melodici che servono come spunto per divagare e dialogare, per correre dietro al tempo e farsene beffe quando serve. Esercizi di memoria e nella memoria, lezioni di stile preciso e mai invadente. Abbiamo l’ennesima conferma che Hopper è un eccellente artista che ha saputo ritagliarsi un suo spazio vitale e che sa stare al passo coi tempi, giovane dentro e saggio fuori. Cerchiamo di tenere il passo.
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