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The Thing
ByA una settimana dal concerto di Snakeoil, quello di The Thing è sembrato, quasi a farlo apposta, la sua immagine speculare, il negativo della stessa fotografia: opposto o, se vogliamo, complementare.
Se la musica di Snakeoil è incentrata sulla costruzione, sull'elaborazione formale e sulla struttura, oltre che sulla raffinatezza dei fraseggi, quella di The Thing è imperniata sulla potenza viscerale, sull'espressione immediata, sul suono come veicolo di energia istintiva e fisica, senza alcun interesse per la forma, l'elaborazione e la sofisticazione.
In realtà quello di The Thing, per lo meno in questo concerto, potrebbe essere definito rock vestito coi panni del free jazz. Il suono è quello del jazz, ma l'approccio è decisamente rock, per l'enfasi sulla potenza, sull'impeto, sull'energia fisica, sul suono, sui riff, e molto poco sul fraseggio. E le citazioni, o le vere e proprie cover, come "Psycho" dei Sonics, lo hanno esplicitato chiaramente.
D'altronde, i The Thing hanno collaborazioni abituali nel mondo del rock tanto quanto in quello del jazz, e in particolare i due dischi assieme ai Cato Salsa Experience e Joe McPhee (il CD Two Bands and a Legend documenta la esplosiva miscela di free jazz e garage-punk di quel progetto) evidentemente hanno lasciato qualche traccia.
Nonostante il ruolo di frontman di Mats Gustafsson, il vero propulsore del gruppo è sembrato Paal Nilssen-Love alla batteria: lui pilotava la macchina, decideva l'andatura, le accelerazioni e i rallentamenti, lui guidava gli assalti e ordinava le ritirate oltre a sembrare il musicista più attrezzato per fraseggio, precisione e ricchezza dello stile.
A dispetto del fatto che Mats Gustafsson sia la voce solista del gruppo, curiosamente è sembrato assumere spesso le vesti di una sorta di bassista: questo per il timbro grave del suo sax baritono, ma anche per il suo modo di suonare, che appunto non era incentrato sul fraseggio ma sui riff oltre che sull'espressionismo e le intemperanze sonore, in particolare con l'uso degli armonici. Quello che usciva dal suo sax era spesso più vicino ai riff del blues, del punk o del metal che non a un assolo jazz.
Neanche Ingebrigt Håker Flaten al contrabbasso fa dell'elaborazione del fraseggio o della precisione il suo forte, ma sa bene come sostenere un groove, con una forte enfasi su una corposa pulsazione terrigna messa in evidenza nei suoi momenti solistici.
Insomma, per tutti e tre e per il gruppo come unità, domina la pancia, l'istinto, la potenza grezza e non mediata da raffinatezze estetiche o formali. Appunto per questo il gruppo dà il meglio di sé ed è veramente trascinante nei momenti d'insieme in cui agisce come una macchina ritmica furiosa, una testuggine che si lancia a tutta velocità contro il pubblico in un assalto di potenza sonora.
Meno convincenti i momenti di free improv più tradizionali, del resto sporadici nel concerto, in cui una certa povertà nel fraseggio si faceva sentire, in particolare con Gustafsson al sax soprano.
Foto di Claudio Casanova.
Ulteriori foto di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini
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