David Wildi Guitar Poetry: The Inner Star

Ciò che maggiormente colpisce, sin dal primo ascolto, è però la straordinaria cura del suono di cui il gruppo ed il fonico Martin Pearson sono stati capaci: pianoforte, chitarra e basso elettrico risaltano d'un timbro pieno e profondo. Davvero Notevole.

The Inner Star non è un disco nel quale si possano ricercare azzardi compositivi o ardite sperimentazioni espressive: la musica di Wildi si muove nel più consolidato mainstream, strizzando l'occhio al latin e al pop, più che al jazz vero e proprio.

Le composizioni danno l'impressione di volersi richiamare a qualcosa di già sentito, di immediatamente riconoscibile. È una tendenza che si ritrova tanto nelle scelte armoniche e tematiche, quanto in quelle solistiche: i soli - sia quelli del leader che quelli del giovane pianista e tastierista Andreas Renggli (classe '87) - vivono anzi di cliché e continue citazioni che, a furia di iterazioni, finiscono col risultare scolastiche.

Altro tratto distintivo della scrittura di Wildi è l'impiego sistematico di unisoni ritmici: un poco prevedibili, in vero.

In questa ricerca di riconoscibilità immediata spiccano però alcuni brani freschi e godibili, come la gioiosa "There Will Be Something," che apre il disco. Altre composizioni, invece, paiono irrimediabilmente datate stilisticamente e piuttosto pacchiane nell'arrangiamento:"Arrows" e "Bird Call," soprattutto. I pezzi più jazzistici, come i due in 3/4 ("Le capre di Porchesio" e "The Inner Star"), mancano di uno swing genuino e si trascinano forzati ed artificiali.

In prospettiva futura, non sembra illegittimo chiedere a David Wildi sforzi maggiori sul piano della creatività, così che i suoi lavori non corrano il rischio di trasformarsi in semplice musica di sottofondo a qualche altra attività: rischio in cui incappa, a tratti, questo The Inner Star.

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