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Techno e afrofuturismo. Intervista con Claudia Attimonelli.

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Non è facile, nel variopinto universo dell'editoria musicale in Italia, che escano testi che sanno unire il rigore della ricerca, la fantasia dell'approccio e la capacità di stimolare il lettore a affrontare un tema secondo nuove prospettive.

Una felice eccezione è costituita da Techno: Ritmi Afrofuturisti che Claudia Attimonelli - è dottore di ricerca in Teoria del linguaggio e Scienze dei segni oltre che docente di cinema, fotografia e televisione nel Corso di laurea in Scienze e tecnologia della moda dell’Università di Bari - ha recentemente pubblicato per una casa editrice sempre lungimirante come Meltemi [il libro è di 240 pagine e costa 20 euro].

L'autrice, i cui campi di ricerca spaziano dalla sociosemiotica della musica, ai media studies, dai gender studies alle fashion theories, ripercorre in questo lavoro la storia della techno, rintracciandone le radici addirittura nel jazz clandestino parigino durante la Seconda Guerra Mondiale, passando poi attraverso i fenomeni del Northern Soul e della Disco per approdare a quegli anni Ottanta che hanno visto la nascita dell'house e della techno.

Le tante contraddizioni che emergono dal quadro che l'autrice descrive con il giusto equilibrio tra riflessione e narrazione, diventano presto elementi con cui il lettore impara a fare i conti, specialmente quelle che riguardano il mondo "underground" e quello "mainstream". Nell'ultima parte del libro poi, in due capitoli ricchi di spunti, nei quali emergono un'analisi deleuziana del fenomeno e una conclusione dedicata a uno dei progetti più significativi, quello dei Drexciya.

Abbiamo incontrato l'autrice per capire meglio questo interessante percorso:

All About Jazz: Come nasce il tuo interesse per la musica techno? E come nasce questo libro?

Claudia Attimonelli: Questo libro nasce da uno studio per la mia tesi di dottorato in sociosemiotica che, a sua volta, era il frutto di una passione coltivata per tanti anni frequentando club e rave. Nel 2002 trascorsi il mio secondo anno di dottorato a Berlino e lì pensai che se una città poteva definirsi techno, allora questo significava che la techno era qualcosa di più che un genere musicale: un’attitudine, uno stile, un’architettura; così decisi che avrei approfondito il mio amore per queste sonorità provando a scoprirne matrici, segreti e sonorità.

AAJ: Mi è capitato spesso di avere amici e amiche [appassionati di musiche e sonorità anche molto varie] cui quando parlavo di techno ne erano respinti, spesso associando i concetti di techno e house a della pessima musica europea. Mi è capitato altresì di vedere cambiare la loro opinione semplicemente facendogli ascoltare i colori di un Carl Craig. Com'è che un ascoltatore che viene da altri generi e che magari, generazionalmente o culturalmente, non è avvezzo al dancefloor, può accostarsi alla techno?

C.A.: Liberando la mente dagli stereotipi convogliati dai media. Una volta fatto ciò consiglio di mettersi le cuffie e uscire ascoltando, per esempio, un vecchio album della Warp, scoprendo nelle pieghe del paesaggio urbano, nei suoi vicoli oscuri o negli spazi delle zone industriali, così come nello stesso ritmo del passo che teniamo mentre camminiamo la colonna sonora perfetta. Parafrasando Juan Atkins (il musicista afroamericano, pioniere della techno di Detroit), che a sua volta citava ironicamente Star Trek, "la Techno è andare dove nessuno mai è ancora andato", dunque è ricerca che si affida alle esplorazioni della tecnologia nelle sue potenzialità più robotiche (à la Kraftwerk e risalendo fino all’Intonarumori del futurista Russolo) e in quelle più funk (à la James Brown).

AAJ: Ma ha senso una musica da ballo senza il ballo?

C.A.: Certo, se si attiva la pratica dell’ascolto, la musica è tutta nell’attualità superficiale dell’ascolto. Ascoltando, anche senza ballare, si comprende che il senso della musica è racchiuso nella sua volontà di non esprimere nient’altro se non se stessa. Citando Jankèlèvich, un filosofo francese che si occupò di musica in un saggio molto lirico dal titolo "La musica e l’ineffabile": tempo perduto, pensieri perduti, pene perdute e persino vita perduta - troviamo qui lo stesso paradosso della poesia: questo tempo perduto, come quello del passeggiare e del gironzolare, diventa un tempo guadagnato, un tempo immediatamente ritrovato. Lo scopo della musica che sia preludio, improvviso o anche sonata - in effetti non è quello di andare da qualche parte nel minor tempo possibile o di arrivare a destinazione il più presto possibile (quasi si trattasse di un impiegato che ha fretta e perciò traccia il suo itinerario in funzione del principio di economia): a queste condizioni tanto varrebbe non cominciare neppure a cantare!

AAJ: Sun Ra, George Clinton, Drexciya… un fil rouge [o black per meglio dire] tra sonorità afroamericane e fantascienza, tra la necessità di un "altro mondo" e sopravvivenza in terreni ostili: quali percorsi nascono da questa riflessione?

C.A.: Nell’epopea raccontata da Drexciya, così come in quella descritta nel film Space is the Place di Sun Ra, si delineano degli scenari di fantascienza black (Black Sci Fi), i quali, per il solo fatto di sembrare un ossimoro come il termine "afrofuturista", gettano una luce obliqua e rivendicatoria sugli stereotipi xenofobi che segnano tutt’oggi l’immaginario comune. Chi conosce racconti di fantascienza scritti da autori neri e che hanno protagonisti black? I neri, a partire dall’episodio tragico e irriducibile della deportazione come schiavi dall’Africa alle Americhe, continuano ad essere oggetto di banali discriminazioni e ciechi incasellamenti ("sono dei bravi atleti", "hanno il senso del ritmo nel sangue", il nero-rasta-ex-stregone-ora-hacker nei film e così via). Sonorità come quelle legate al jazz, a certo hip-hop e alla techno invece, sono portatrici di segni di resistenza e al contempo, mirano a traghettare i neri fuori dal banale quotidiano in cui vengono sottorappresentati, per gettarli nello spazio sonoro. Dj Spooky aka Paul Miller aka the Subliminal Kid descrive questo concetto perfettamente nei suoi djset.

AAJ: La musica nera di consumo è oggi appiattita sull'r'n'b: quali scenari per l'immaginario afroamericano?

C.A.: Beh, naturalmente la techno, il revival dell’electro stile Africa Bambaataa, il techno-dub e il techno-rap, alcune produzioni dub-step. Insomma ce n’è di musica per il futuro!

AAJ: Nella tua analisi fai spesso ricorso a Deleuze, pensatore molto citato dai musicisti e omaggiato, ma forse alla fine non del tutto capito dai musicisti stessi, che cosa ne pensi?

C.A.: Credo che Deleuze sia frainteso più dalla critica che dai musicisti. Spesso il suo pensiero viene lavato, asciugato e ripiegato in termini troppi astratti, quando, invece, una ricchezza delle sue riflessioni è data dalla possibilità di adottarle come metodo analitico delle tracce elettroniche: provare ad analizzare, ad esempio, una traccia di Artifakts di Plastikman secondo Deleuze…

AAJ: Alla fine del libro c'è una discografia selezionata, ma se ai lettori di Allaboutjazz [molti dei quali non sono addento alla techno] dovessi consigliare 5 dischi imperdibili o da cui partire per addentrarsi in questi mondi sonori, cosa consiglieresti?

C.A.: 1) Sun Ra and the Arkestra, Space is the place del 1974 (ma l’intera discografia è un viaggio nell’afrofuturismo fra jazz e elettronica), 2) Model 500, No UFO’s del 1985, 3) Drexciya, Bubble Metropolis del 1993, 4) Magda, i suoi djset, ad esempio Minimize to Maximize Tour Djset del 2005, 5) Richard D. James aka Aphex Twin, Selected Ambient Works Vol. II del 1994.

AAJ: Sei membro del collettivo lab080, ce ne parli?

C.A.: Lab080 è un collettivo audiovisuale che opera e ricerca nell’ambito delle pratiche elettroniche, dunque fra di noi ci sono dj, vj, grafici, studiosi della comunicazione e ingegneri elettronici. L’intento è quello di operare scegliendo la strada della condivisione e contaminazione dei saperi affinché questi possano essere manipolati, remiscelati e piegati a nuovi usi. Pertanto ci capita di fare dj/vjset performance in club, come anche sound design e installazioni in gallerie o workshop supportati da cornici sinestetiche dove la parole si mescola con l’immagine e il suono. Myspace/lab080.

AAJ: Quali sono i tuoi prossimi progetti?

C.A.: Attualmente sto lavorando sull’iconografia del "nero" di genere evocata dai videoclip e di come questa abbia condizionato e corroborato la formazione di stereotipi culturali: dal dark alla blackness; per fare un esempio, nella cultura hip-hop e in certa house music la rappresentazione del corpo femminile e di quello maschile segue stilemi molto antichi e che conferiscono all’immagine della donna svestita e dell’uomo in completi smart una patina di "verità" che difficilmente viene messa in discussione al di fuori di meri moralismi.


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