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Supergruppi e avant jazz tra Roma e New York. La "nuova vita" dI Lorenzo Feliciati

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Difficile classificare i Naked Truth che si muovono in un territorio musicale che confina con lo speed-trash metal dei Metallica, il prog dei King Crimson e l'universo elettrico di Miles Davis.
Lorenzo Feliciati, bassista elettrico e compositore, è uno che oggi, dopo una lunga gavetta spesa tra jazz club romani, docenze, clinics, dischi e sessioni di studio con nomi altisonanti del pop tricolore, può dirsi finalmente arrivato. È lui, infatti, l'anima dei Naked Truth, gruppo di calibro internazionale che incrocia senza soluzione di continuità i generi più diversi - avant jazz, noise, prog, metal - e che allinea nomi che non hanno bisogno di presentazioni per chi mastica le nuove musiche. Parliamo, del trombettista Cuong Vu, del tastierista elettrico Roy Powell e del batterista Pat Mastellotto.

Un superquartetto, una volta si sarebbe detto un supergruppo, che ha licenziato nel 2011 per i tipi della RareNoiseRecords di Londra Shizaru, album accolto positivamente dalla critica americana ed europea e diventato subito un piccolo classico del crossover contemporaneo.

Nel frattempo Feliciati non è stato con le mani in mano e non solo ha registrato un altro album sotto l'ombrello Naked Truth - con una formazione rinnovata che vede Graham Haynes al posto di Cuong Vu (il CD vedrà la luce sempre per la RareNoiseRecords nella seconda metà del 2012) - ma anche concretizzato un nuovo progetto discografico in cooperazione con il chitarrista-compositore Joel Harrison. Si tratta di Holy Abyss che appena uscito con la benedizione di Steve Feigenbaum della Cuneiform. Insomma, moltissima carne al fuoco per il musicista romano, classe 1965, che intercettiamo prima dell'ennesima trasferta a New York.

All About Jazz: Parliamo prima di tutto di Shizaru, progetto che ti ha portato alla ribalta dell'avant jazz internazionale.

Lorenzo Feliciati: Diciamo subito che il progetto è nato per gradi. Il punto di inizio del processo creativo è cambiato di volta in volta, spesso sono partito da una improvvisazione con Roy Powell a cui progressivamente ho aggiunto in studio le parti degli altri membri del collettivo. In pratica, ho editato in fase di post produzione le registrazioni di Vu, Powell e Mastellotto senza ovviamente stravolgere il significato e il contesto. Un processo che mi ha appassionato molto, avendo in un certo senso la possibilità di manipolare a posteriori le improvvisazioni dei miei colleghi. Mi sentivo alla fine di una catena creativa e ciò mi ha galvanizzato moltissimo. È stata un'esperienza speciale e ho impiegato circa un anno e mezzo per completare l'opera e consegnare i file definitivi alla RareNoiseRecords.

AAJ: Un processo che immagino sia stato democratico dove tutti i musicisti hanno comunque avuto l'ultima parola sul risultato finale.

L.F.: Certamente. La mia idea era quella di evitare assolutamente una concezione verticale delle composizioni e dell'opera nel suo insieme: ogni membro del gruppo ha avuto la possibilità di esprimersi in una specie di rincorsa creativa e, nonostante fossimo in location diverse, c'è stato un dialogo e un confronto continuo. D'altronde credo che i dischi con i musicisti riuniti tutti insieme in una sala di registrazione diventeranno sempre più rari per motivi legati alla crisi del mercato discografico e alla conseguente scomparsa di budget che permettano di affrontare la spesa di uno studio di registrazione per molti giorni. Ad esempio, noi quattro vivendo tutti in posti diversi avremmo dovuto fare i conti con una mole insostenibile di costi.

AAJ: Come definiresti la musica dei Naked Truth?

L.F.: Difficile classificare i Naked Truth utilizzando l'alfabeto dei generi tradizionali. Ci muoviamo in un territorio che confina con lo speed/trash metal dei Metallica, il rock progressivo dei King Crimson e l'universo elettrico di Miles Davis, in particolare quello di Bitches Brew. Devo dire che Davis è stato una continua ispirazione per tutti, in particolare per il nostro tastierista Roy Powell che è proprio un fissato del periodo '70 del grande compositore e trombettista statunitense.

AAJ: E tu, musicalmente parlando, come ti definiresti?

L.F.: Musicalmente sono cresciuto negli anni Settanta, sono un autodidatta e ho imparato subito a suonare il basso elettrico e, solo in un secondo tempo, sono passato al contrabbasso. Quindi, in un certo senso, ho fatto un percorso contrario a quello di molti miei colleghi bassisti. Devo dire, inoltre, che non mi sono mai sentito un jazzista puro. Ma questo è pure l'identikit degli altri membri dei Naked Truth: a parte Roy Powell, che ha suonato anche con Anthony Braxton, Cuong Vu e Pat Mastellotto non sono certo definibili come musicisti jazz in senso tradizionale.

AAJ: A proposito di formazione questa estate a Genova avete suonato con il celebre trombettista norvegese Nils Petter Molvær al posto di Cuong Vu.

L.F.: Esatto. In effetti siamo un collettivo aperto e non una struttura rigida. Ora alla tromba abbiano Graham Haynes. Quello che in fondo conta è il peso e, soprattutto, la qualità del contributo creativo che ognuno può dare alle composizioni e al processo creativo. Spesso si parte da una microscopica cellula sonora o da un loop ritmico per poi imbastire un intero brano. E, quindi alla fine, le idee e la voglia di suonare fanno la differenza.

AAJ: Non vorrei essere provocatorio ma come sei riuscito a entrare nel salotto buono dell'avanguardia internazionale?

L.F.: Semplice. Con una e-mail. Non vorrei io adesso apparire presuntuoso, ma è andata proprio così. Ho scritto al manager di Cuong Vu inviandogli un file con la descrizione del mio progetto musicale e allegando alcune composizioni. Ebbene, nel giro di poche settimane, ho avuto la risposta di Vu. E lo stesso è successo con Pat Mastellotto. Cercavamo un batterista che fosse in grado di tessere ritmiche inusuali e il contatto è stato quasi immediato. Devo dire che è stato fondamentale il supporto della RareNoiseRecords, label di musiche di confine con quartier generale a Londra nata dalla passione di Giacomo Bruzzo e di Eraldo Bernocchi.

AAJ: A parte queste ultime imprese, stai portando avanti progetti musicali più squisitamente jazzistiche e in ambito italiano?

L.F.: Certo, con il trio Wasabi che mi vede insieme ad Alessandro Gwis alle tastiere e a Emanuele Smimmo alla batteria. Il nostro ultimo album Closer, pubblicato nel 2011 dalla Via Veneto Jazz, ha visto come special guest proprio Cuong Vu. È un progetto a cui tengo molto e dove mostro un approccio più "tradizionale" alla composizione.

AAJ: Inoltre a tutto questo associ l'intensa attività come turnista o musicista di studio. Nella tua carriera hai suonato con importanti musicisti della musica popolare e d'autore italiana. Facciamo qualche nome?

L.F.: Sono, in effetti, tantissimi. Niccolò Fabi, Tiromancino, Fiorella Mannoia, Neri Per Caso, Luca Barbarossa, Marina Rei, Mietta, Gerardina Trovato, Roberto Ciotti e molti altri. Devo dire che con Niccolò Fabi ho un rapporto speciale: ho praticamente suonato in tutti i suoi dischi, tranne il primo ed è un vero amico. Vorrei inoltre citare l'attività a cui tengo di più e che è quella di docente: insegno al Saint Louis Music College di Roma e devo dire che traggo enormi soddisfazioni dal contatto diretto con i giovani e con le nuove generazioni di musicisti. A loro insegno non solo la tecnica, ma a dominare lo strumento e, dunque, a conquistare un propria identità come artista: in altre parole, a diventare unici. Insegno anche a dire qualche volta dei no. E a scegliere tra suonare cose oneste e coerenti con la propria personalità musicali e altre non degne o false.

AAJ: I tuoi punti di riferimento in senso artistico e come bassista?

L.F.: Non essendo, come dicevo prima, un jazzista della prima ora i miei riferimenti sono i più diversi e disparati anche se ovviamente amo Charlie Haden, Jaco Pastorious, Bill Laswell, Jack Bruce e, soprattutto, Jimmy Haslip, fondatore dei mitici Yellowjackets. Mi ricordo, ad esempio, che da ragazzo rimasi folgorato dai Weather Report e da allora sono un appassionato di fusion e seguo con molta attenzione anche la scena avant jazz di New York. Anche se il mio sogno nel cassetto, e qui sconvolgerò gli appassionati di mainstream, è suonare un giorno con Peter Gabriel.

AAJ: Tu fai spesso la spola tra Roma, dove abiti, e New York. Che idea ti sei fatto del mercato musicale d'oltreoceano? Ad esempio, ci sono laggiù maggiori possibilità per un giovane jazzista di emergere e diventare un nome conosciuto?

L.F.: Rispondo in base alla mia esperienza diretta e devo dire che New York ma in genere tutto il mercato musicale americano è molto più organizzato e trasparente di quello italiano. Negli USA, la musica e in genere tutto ciò che fa rima con spettacolo è strutturato come una vera industria e, dunque, tutto funziona in base a criteri meritocratici. Chi ha studiato e ha un po' di talento non ha problemi a trovarsi un posto. A New York, in particolare, ci sono molte audizioni dove non è necessario essere amico di qualcuno per essere invitati: se sei bravo ti prendono. Punto. E poi esiste un livello di specializzazione professionale molto alto: il fonico fa il fonico e basta. Lo specialista delle luci cura giustamente l'impianto di illuminazione. In Italia, anche in ragione dei cronici problemi di budget, succede che tutti fanno tutto.

AAJ: Infine, tornando alle tue prossime uscite discografiche, ci puoi anticipare qualche cosa?

L.F.: Il CD Holy Abyss che condivido con il chitarrista Joel Harrison uscirà a gennaio 2012 per la Cuneiform Records ed è un progetto registrato un anno fa a New York, ci sono composizioni mie e di Joel e due brani di Cuong Vu.

È un disco molto importante per me: esser volato a New York ed aver registrato con musicisti con i quali, a parte Cuong Vu e Roy Powell, non avevo mai suonato e con un batterista come Dan Weiss, che ha sempre un approccio particolare allo strumento con un uso di poliritmi di matrice indiana, è stata una prova importante. Dover spiegare la propria musica a musicisti così interessanti e particolari mi ha portato ad essere io stesso più analitico e profondo nell'analisi delle mie composizioni. Sono molto soddisfatto del risultato e non vedo l'ora di portare la musica ed il gruppo in giro per concerti.

Il "secondo capitolo" dei Naked Truth è stato già registrato nello studio di Bill Laswell a New York, questa volta grazie all'impegno e allo sforzo della RareNoise Records eravamo tuuti insieme nello stesso momento in studio. Sono impegnato proprio adesso nella fase della post produzione: editing, overdubs, e in generale nella "costruzione" di una struttura nel brano.

A febbraio 2012 uscirà sempre con la RareNoise il mio terzo CD solista Frequent Flyer, un lavoro dove il filo conduttore tra i brani, che sono anche molto diversi stilisticamente tra loro, è la presenza in ogni brano di ospiti diversi scelti tra i musicisti che ho incontrato e con i quali ho lavorato negli anni e che hanno seguito il mio secondo lavoro solista, un live registrato all'European BassDay tedesco. Hanno aderito con entusiasmo al progetto Bob Mintzer degli Yellowjackets, Cuong Vu, Pat Mastelotto e Roy Powell, Daniele Gottardo e molti altri compagni d'avventura degli ultimi cinque anni della mia vita.

Intanto continuo le mie collaborazioni con i prestigiosi marchi MarkBass ed Ibanez per clinics e fiere di settore e, proprio durante una di queste occasioni, ho incontrato il chitarrista Marco Sfogli (collaboratore in studio e live del cantante dei Dream Theater James Labrie) con il quale stiamo registrando il primo lavoro di un trio con Roberto Gualdi alla batteria. Si tratta di un prog metal molto impegnativo ma di grande impatto.

Foto di Simone Ceccetti (quelle a colori) e Anya Roz (quella in b/n).

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