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Stefano Zenni: Che razza di musica

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Che razza di musica. Jazz, blues, soul e le trappole del colore
di Stefano Zenni
EDT. Pagine 183
Euro 11,50.


Il jazz è musica di incontro e contaminazione continua, fisiologica e addirittura irrinunciabile: questo è l'assunto da cui partire nell'approssimarsi a quest'ultima fatica di Stefano Zenni, il cui titolo e relativo sottotitolo ammettiamo che ci avevano per un attimo fuorviati: quel che razza di musica ci era parso un modo per affermare l'eccentricità della nostra musica, che del resto, come c'informa il sottotitolo, non è neppure l'unica protagonista del volume, mentre il colore che quello stesso sottotitolo cita ci sembrava, ahinoi, un fatto eminentemente musicale.

Nulla di più errato (e Zenni ci ha abilmente giocato): la razza è proprio quella che distingue (?) bianchi e neri (e rossi e gialli, ebrei e italoamericani, ispanici e latini in genere, e chi più ne ha più ne metta), appunto in base al suddetto colore (e non solo). È lungo questo binario che la trattazione, documentatissima, con la musica che ne è solo uno dei molti risvolti trattati (storia, politica, economia, e anche qui chi più ne ha più ne metta, sono gli altri campi su cui il testo, volta a volta, si snoda), procede, sviscerando la realtà statunitense (e non, fra le pieghe) nelle direzioni più composite.

Si dice a chiare lettere, per sintetizzare brutalmente, che la musica degli afroamericani è divenuta ben presto un ibrido multirazziale, e, senza sminuirne o peggio sconfessarne i cardini (e le differenze, perché no?), proprio dall'incontro fra etnie e culture diverse, da un certo punto in avanti messe a decantare assieme (pur senza perdere le rispettive identità), si è rafforzata via via, procedendo spedita su una linea evolutiva che, come ben sappiamo, ha bruciato letteralmente le tappe, al confronto, per esempio, con quanto accaduto su sponda classica.

Fa piacere leggere, nel finale, una stigmatizzazione di fumosità come la fantomatica BAM sbandierata da Nicholas Payton (ma qui si cita giustamente anche il Sommo Marsalis), sorta di "lega al contrario" (la definizione è nostra, a scanso di equivoci, ma Zenni parla comunque, sacrosantamente, di "neo-conservatorismo") che volendo (o no?) rivendicare (con falsi storici mastodontici, peraltro) finisce invece per ghettizzare una volta di più.

E qui mettiamo un punto: tutto il resto, tantissimo, lo trovate ovviamente in queste centottanta dense pagine a firma Stefano Zenni. Una sicurezza.

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