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Satoko Fujii: un anno di celebrazioni

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La pianista e bandleader giapponese Satoko Fujii è una delle protagoniste della musica improvvisata internazionale: in veste di leader o co-leader ha pubblicato più di 80 album spaziando da lavori in solo, piccoli organici e sontuosi progetti orchestrali. In questi evidenzia una personale e avvincente sintesi tra avanguardia post-free, sperimentazione accademica ed aspetti della tradizione culturale giapponese.
Per celebrare il sessantesimo compleanno (che avverrà esattamente il prossimo 9 ottobre) Satoko Fujii ha pensato di pubblicare un nuovo disco per ogni mese del 2018. Un ricco evento per tutti noi e un'occasione per far rievocare alla pianista le tappe centrali del suo percorso artistico, le sue fonti d'ispirazione e gli obiettivi futuri.

All About Jazz Italia: Il tuo sessantesimo compleanno viene festeggiato in modo splendido, con la pubblicazione di un disco al mese per l'intero 2018. Quali sono i primi dischi in programma?

Satoko Fujii: Una parte del programma è già messa a punto. Nel mese di gennaio è stato pubblicato il mio album Solo da un concerto giapponese; in febbraio esce Atody Man, quarto album del gruppo KAZE con i trombettisti Natsuki Tamura e Christian Pruvost e il batterista Peter Orins; in marzo uscirà Ninety-Nine Years della Fujii Orchestra Berlin; in aprile il CD Kira Kira Japan ancora da un concerto in Giappone; in maggio un disco in trio con Gianni Mimmo e Joe Fonda; in Giugno This Is It! un trio con Natsuki Tamura alla tromba e Takashi Itani alle percussioni.
Per i sei mesi successivi non è ancora del tutto definito. Mi piacerebbe pubblicare un duo pianoforte-Rhodes tra me ed Alister Spence e ancora una nuova incisione con la formula pianoforte-basso-batteria, la Fujii Orchestra Tokyo eccetera.

AAJ: Ho visto che tra i dischi in programma ce n'è uno con il sassofonista italiano Gianni Mimmo e il bassista Joe Fonda. Con quest'ultimo hai da poco pubblicato l'album Duet che ha ricevuto superlativi giudizi dalla critica. Com'è nata l'idea di aggiungere Mimmo?

SF: Nel mese di ottobre 2017 ho effettuato con Joe un tour in Europa ed abbiamo suonato con Gianni a Milano in una splendida situazione, registrando con lui il giorno successivo. Entrambi amiamo suonare con Mimmo.

AAJ: Uno dei tuoi ultimi dischi, Kisaragi, è un duo con il trombettista Natsuki Tamura dove, dall'inizio alla fine, evitate i consueti suoni strumentali. Qualcosa di splendidamente insolito. Ci puoi chiarire le motivazioni che stanno alla base di questa ricerca?

SF: Volevamo provare qualcosa di nuovo. Per la maggior pare del tempo uniamo nella nostra musica suoni strumentali inconsueti ma eravamo curiosi di verificare fino a che punto potevamo spingerci in questo territorio. Quando ci siamo messi a registrare non eravamo certi di poter realizzare un CD ma ora siamo soddisfatti di ciò che abbiamo fatto.

AAJ: Tu hai iniziato lo studio del pianoforte nella prima infanzia, suonando musica classica per circa quindici anni. Poi hai interrotto per qualche anno e hai ripreso come pianista jazz. Puoi ricordare i tuoi inizi nel mondo della musica e l'influenza di Fumio Ibatashi in quel percorso educativo?

SF: Quand'ero piccola ero molto timida e non volevo andare fuori a giocare con gli altri bambini. Nella nostra casa c'era un pianoforte perchè la mia sorella maggiore aveva già iniziato a suonarlo e presto divenne l'unico amico con cui dialogare. Per me improvvisare al pianoforte era come parlare coi miei amici. Avevo chiesto ai miei genitori di non mandarmi alla scuola materna ma loro pensavano che fosse meglio farmi uscire di casa perchè avessi un qualche tipo di vita sociale. Così iniziai a prendere lezioni di pianoforte classico. Amavo molto quelle lezioni ma dopo quindici anni di quello studio mi trovai che non sapevo più improvvisare. Fu una scoperta improvvisa e stetti molto male perchè ricordavo quanto mi piacesse improvvisare quand'ero piccola. Però potevo improvvisare con la voce, così decisi di lasciare il pianoforte per il canto e iniziai ad ascoltare jazz nei locali di Tokyo. Il pianismo di Fumio Itabashi era qualcosa di commovente e quella musica mi fece ricordare il grande amore che avevo avuto per il pianoforte. Così ritornai allo strumento.

AAJ: Cosa ricordi della scena musicale di Tokyo degli anni settanta?

SF: In quegli anni ero molto giovane ma ricordo ancora l'energia della scena musicale giapponese. C'erano parecchie attività culturali underground come la «Butoh Dance».

AAJ: Cosa ti ha spinto a trasferirti negli Stati Uniti per studiare alla Berklee?

SF: Dopo quindici anni di pianoforte classico e due di piano jazz con Fumio Itabashi iniziai a suonare professionalmente in una big band di Tokyo che si esibiva in un cabaret. L'orchestra spaziava da brani latini a Count Basie e c'era uno show ogni sera con un cantante ospite. Io non ero particolarmente brava ma molti musicisti mi assicuravano che sarei migliorata grazie all'esperienza di ogni notte. Bene... a me non accadeva. Io sentivo di non essere quel tipo di persona e avevo bisogno di studiare in qualche scuola. Cercai di trovare buone scuole di jazz in Giappone ma allora non ne esistevano così decisi di studiare negli Stati Uniti.

AAJ: Dopo la Berklee hai studiato con Paul Bley al New England Conservatory, che fu presente in uno dei tuoi primi dischi, Something About Water del 1994. Cosa hai appreso da Bley e qual'era il suo approccio didattico?

SF: Dopo il diploma alla Berklee tornai per un periodo in Giappone trovando lavori di vario genere: suonavo nei jazz club o in show televisivi, scrivevo articoli per riviste di jazz eccetera. Tutta una varietà di cose che mi fecero accantonare le ambizioni musicali che avevo avuto. Per questo motivo decisi di tornare nuovamente a Boston e studiare al New England Conservatory. Quando iniziai a studiare con Paul Bley non avevo alcuna fiducia sulla mia musica e sulle mie doti in generale, non ero neppure sicura di aver fatto la scelta giusta. Studiare con Paul Bley fu qualcosa di rivoluzionario. Non passavamo molto tempo di fronte al pianoforte ma parlavamo, parlavamo, parlavamo seduti al caffè vicino a scuola. Fino allora volevo suonare come qualsiasi altro ma iniziai a capire che potevo suonare cose che non avrei potuto fare, prima di quelle conversazioni al caffé. Iniziai ad accettare la mia musica e me stessa.

AAJ: Ci sono stati altri musicisti che hanno esercitato un'influenza sulla tua scrittura orchestrale? Cosa pensi di Butch Morris e del suo del metodo di conduction?

SF: Quand'ero al New England Conservatory ho studiato con George Russell, Joe Maneri e Charlie Banacos e tutti mi hanno influenzato parecchio. In particolare i concetti di George Russell mi hanno aiutato nella composizione. Per quanto riguarda Butch Morris l'ho amato molto ma non abbiamo suonato assieme e non mi ha influenzato direttamente.

AAJ: Quali sono i musicisti con cui preferisci lavorare?

SF: Sono fortunatissima d'avere vicino grandi partner con cui suonare e li apprezzo sempre tutti. Ricordo ancora i momenti trascorsi con quel grande bassista che era Norikatsu Koreyasu, purtroppo scomparso nel 2011.

AAJ: Che influenze hai avuto dalla musica tradizionale giapponese?

SF: L'influenza più consistente che ho avuto dalla musica giapponese potrebbe essere il concetto di «MA», che rappresenta lo spazio tra i suoni. Questo perchè la cultura giapponese dà grande significato allo spazio. Talvolta lo «spazio» esprime moltissimo.

AAJ: Hai differenti sensazioni quando suoni in Europa rispetto ai concerti negli Stati Uniti o in Giappone?

SF: Ho percepito che il pubblico europeo ha una lunga tradizione nell'apprezzare l'ascolto musicale e penso che in Europa si frequentino i concerti maggiormente rispetto agli Stati Uniti o al Giappone.

AAJ: Trovi che ci siano differenze significative tra le tue orchestre di New York e quelle che dirigi in Giappone? Il tuo modo di comporre subisce dei cambiamenti?

SF: Ho iniziato a dirigere la New York Orchestra nel 1996 e l'anno successivo sono tornata in Giappone iniziando a suonare con la mia Tokyo Orchestra. All'inizio ho portato esattamente lo stesso repertorio e sono rimasta particolarmente sorpresa da come suonassero diversamente. Non è una questione di valore, di bene o male, ma solo di diversità. Ho realizzato un doppio album chiamato Double Take comprendente sia l'Orchestra West che l'Orchestra East che suonano esattamente lo stesso repertorio. Ora cerco di comporre brani diversi per ognuna delle due big band. Sono consapevole che sia il sound complessivo che il lavoro dei musicisti e la mia stessa scrittura subiscono un'influenza reciproca.

AAJ: Tra i dischi che hai inciso ce ne sono alcuni che preferisci?

SF: Gli album che ho inciso sono come miei figli. Li amo tutti.

AAJ: Molte copertine della tua etichetta discografica hanno splendide illustrazioni di Ichiji Tamura. Chi è quel pittore?

SF: Io e Natsuki abbiamo deciso di creare un'etichetta perchè era il miglior modo per pubblicare la nostra musica e non volevamo perdere troppo tempo per andare a caccia di case discografiche disponibili. Ichiji Tamura è il padre di Natsuki, ed è scomparso nel 1995. La sua opera è pubblicata in alcuni libri ed è ricordato come un pioniere nell'assistenza alle persone disabili in Giappone.

AAJ: Concludo con una domanda un po' particolare. Credi nel potere terapeutico della musica?

SF: Ero a New York nel tragico giorno dell'11 settembre. Non c'era musica in radio, televisione, caffé o ristoranti per più di 24 ore. Io e Natsuki dovevamo recarci a Boston il giorno successivo e andammo alla stazione per vedere se il trasporto ferroviario era attivo. Nella stazione era trasmessa della musica e mi colpì profondamente fino al cuore, tanto quanto —penso—accadesse alle altre persone. Era una sorta di "musica da ascensore," niente di speciale ma ne percepii chiaramente il potere terapeutico.

Foto : Mau Zorzi.

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