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I Poeti del Piano Solo, alla Sala Vanni di Firenze

I Poeti del Piano Solo, alla Sala Vanni di Firenze

Courtesy Eleonora Birardi

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I Poeti del Piano Solo
Musicus Concentus
Sala Vanni
Firenze
1-3.10.2020

Ci vuole un certo coraggio per inaugurare una nuova rassegna subito dopo la pandemia, con tutte le limitazioni poste agli eventi culturali e di spettacolo, per giunta proprio mentre l'autunno sembra portare un incremento dei contagi. Un coraggio che non è mancato al Musicus Concentus e a Stefano Maurizi, pianista fiorentino che per anni ha lavorato a Parigi, che hanno rispettivamente organizzato e curato come direttore artistico la prima edizione de "I Poeti del Piano Solo," manifestazione che in tre giorni ha proposto sul palco della Sala Vanni altrettanti pianisti, valentissimi e decisamente non facili da vedere dal vivo in Italia.

L'ultima affermazione può sembrar strana, visto che due su tre erano italiani; ma uno, Giovanni Mirabassi, ormai da trent'anni vive in Francia e raramente compare sui palcoscenici nostrani e l'altro, Glauco Venier, ben difficilmente suona a sud del suo Friuli Venezia Giulia, a dispetto dell'essere un apprezzato artista del prestigioso catalogo ECM. Il terzo, il francese François Couturier, anch'egli artista ECM, è in generale raro che si esibisca in solo, come ha fatto in questo caso.

Proprio Couturier ha aperto la rassegna, giovedì 1 ottobre, con un concerto di grande fascino. Cifra stilistica fondamentalmente di derivazione classica, programma piuttosto vario, con prevalenza di composizioni originali—comunque assai diverse l'una dall'altra—affiancate da un brano di Mompou, uno di Anouar Brahem (con cui ha spesso collaborato) e dalla splendida "Alfonsina y el mar," il settantenne artista di Orleans ha rappresentato assai bene il titolo della rassegna, distillando poesia dalla tastiera. Scenari lunari e sospesi si sono alternati a passaggi ritmicamente assai più marcati; Debussy ha dialogato con Satie; momenti di totale libertà si sono scambiati con reiterazioni quasi minimaliste. Tutto questo perfettamente integrato dal tocco e dalla sensibilità del pianista, il cui modo di reinterpretate l'evergreen di Ariel Ramirez ha sintetizzato l'intero concerto: le articolatissime variazioni del tema, che ne esaltavano la dolente dolcezza, hanno fatto da pretesto per una ricerca che da esse ha preso spunto per poi allontanarsene, improvvisando con libertà, prima di tornare a ricordare la melodia; il tutto in modo molto personale, cameristico più che jazzistico, ma anche per questo straordinariamente originale e toccante. Un concerto che ha offerto all'ascolto un Couturier ben diverso da quello del Tarkovsky Quartet e anche del duo con Anja Lechner: un artista originalissimo e di enorme suggestione.

Il giorno successivo è stata la volta di Giovanni Mirabassi, autore di registrazioni molto interessanti in trio e in piano solo. In quest'occasione ha proposto—"in prima universale," come ha scherzosamente affermato—un repertorio composto nel periodo del confinamento e che vedrà presto la luce in un album con il titolo emblematico di Pensieri isolati. Il pianista ha sfoggiato una tecnica sopraffina, che gli ha permesso di muoversi sulla tastiera a velocità supersonica, ma anche di giocare con i tempi—frequenti i rallentamenti e le accelerazioni—e le dinamiche, con passaggi di vorticosi suoni roboanti seguiti da atmosfere sospese e meditative. Un virtuosismo non fine a se stesso, che ha prodotto momenti di entusiasmante coinvolgimento, ma che si è un po' ripetuto nelle modalità: alla fine è sembrato che, di brano in brano, le forme espressive e gli stilemi fossero ogni volta gli stessi, ancorché belli e ben eseguiti. Questione di gusti, certo, visto che il pubblico ha mostrato di apprezzare molto, chiamando Mirabassi ripetutamente a offrire dei bis. Concerto comunque più che interessante di un artista che è stato un piacere poter vedere finalmente dal vivo.

La rassegna si è chiusa il sabato con il recital di Glauco Venier, autore quattro anni fa di un lavoro proprio in piano solo per ECM, Miniatures. Ma il pianista friulano ha spiazzato chi si aspettasse un concerto sulla falsariga di quel disco e anche chi, come lo scrivente, ne conosca bene la produzione in trio o con la formazione di Norma Winstone: Venier ha infatti non solo proposto un programma estremamente vario, entro il quale le atmosfere sospese del disco sono state rappresentate da un solo brano, ma soprattutto ha suonato con una verve, un dinamismo e un entusiasmo davvero sorprendenti. Merito, ha spiegato, della suggestione del luogo (la Sala Vanni è il Cenacolo della Chiesa del Carmine, una delle meraviglie di Firenze, che ospita tra l'altro la Cappella Brancacci, cui misero mano Masaccio, Masolino, Filippino Lippi e Michelangelo), dell'eccellente Steinway messogli a disposizione e del calore offertogli dal pubblico—non numerosissimo, come le sere precedenti, ma effettivamente entusiasta. Così, iniziando da un ballo del cinquecentesco Giorgio Mainerio (al quale l'artista ha dedicato in passato più di un disco, rielaborandolo in più modi e con formazioni diverse), passando per brani propri, canzoni popolari balcaniche, uno splendido pezzo della conterranea Alessandra Franco, "Gunam," e toccando anche "Mission" di Morricone e la reinterpretazione di una canzone di Hendrix, il pianista ha realmente incantato e stupito il pubblico, che—dopo averlo applaudito a lungo e richiesto sul palco—lo ha atteso anche fuori dal camerino sfidando il Covid per complimentarsi e farsi firmare i dischi.

Sfida quindi vinta quella di inventare una rassegna per solo piano proprio in questo difficile momento: il pubblico non era copioso—faceva del resto parte del gioco—ma c'era e ha apprezzato moltissimo la possibilità di ascoltare artisti non consuetudinari, assai diversi tra loro e tutti di grande qualità. Quanto al virus, va elogiata l'organizzazione attentissima del Musicus: oltre al distanziamento del pubblico con l'alternanza delle poltroncine, va segnalata la rigorosa presenza di inservienti che prendevano nota dei numeri di nomi e telefono degli spettatori, misuravano la febbre, verificavano la corretta disposizione del pubblico e persino sanificavano i bagni a ogni loro uso. Se si vuol riprendere a organizzare e frequentare concerti, senza timori né rischi, questi sono la strada da intraprendere e il rigore con cui percorrerla.

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