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Pensare latino: intervista a Mauro Perigozzo

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La melodia è imprescindibile. Devo anche dire che spesso costruisco la melodia su un'idea prettamente armonica. Non per ultimo dò molta importanza al titolo di un brano. L'idea è: titolo, immagini, musica.
Mauro Perigozzo è nato in una famiglia di musicisti ed è stata una performance di Mal Waldron in piano solo a portarlo sulla via del jazz. Insieme a Matteo Scarpettini ha da poco dato alla luce l'interessante Through the Looking Glass, e in questa intervista ci racconta il suo cammino, la partecipazione ad altri progetti in ambito latin (Cubaconnection) e la voglia di realizzare dei lavori in simbiosi con il mondo delle immagini.

All About Jazz Italia: L'album Through the Looking Glass è pervaso da un'idea di sottofondo che ha il sapore della bossa. Da dove nasce questa caratteristica?

Mauro Perigozzo: Molti dei brani di questo CD potevano tranquillamente essere suonati even eight. Credo che il ritmo vicino a quello della bossa sia dovuto alla profonda conoscenza di Matteo Scarpettini della musica brasiliana. È anche vero però che io mi sento un musicista che pensa prevalentemente in modo 'latino.'

AAJ: Quasi tutti i brani sono firmati da te. Qual è l'elemento compositivo al quale presti maggior attenzione in fase di scrittura?

M.P. Potrei, come sembra, rispondere la melodia. Per me questo elemento è imprescindibile. Devo anche dire che spesso costruisco la melodia su un'idea prettamente armonica (vedi "Glance in the Dark"). Non per ultimo dò molta importanza al titolo di un brano. L'idea è: titolo, immagini, musica.

AAJ: In che modo hai interagito con Matteo Scarpettini?

M.P. Siamo arrivati in sala di incisione con molte prove alle spalle. In quel momento avevamo un'affiatamento tale da capirci con uno sguardo.

AAJ: Qual è il vostro punto d'incontro a livello artistico?

M.P. Il nostro punto d'incontro è il ritmo, prevalentemente latino. Ed è anche l'improvvisazione sul niente. Il brano "Il mare dell'ultima sera" è una completa improvvisazione mia su una idea ritmica di Matteo. Solo in un secondo momento l'ho messo sulla carta.

AAJ: Come nasce l'idea di utilizzare gli archi?

M.P. Credo che in un disco così gli archi rafforzino il concetto di certi brani. Poi ho un debole per l'armonia creata dagli archi su un tappeto ritmico.

AAJ: Il sax di Stefano Cantini è spesso l'elemento di primo piano. Come avete sviluppato questa sorta di triangolo espressivo?

M.P. Quando hai a disposizione un musicista come Stefano Cocco Cantini che suona e improvvisa con tanto entusiasmo sulla tua musica, non puoi rinunciare a dargli tutto lo spazio che si prende. Stefano si è dimostrato prima di tutto una persona di grande livello e quindi il triangolo espressivo è stato una conseguenza.

AAJ: Per un musicista poco conosciuto, quanto è difficile rimanere lontano dalle consuetudini?

M.P. Molto difficile. Il prezzo da pagare, come minimo, è un certo isolamento e spesso la precarietà economica. Di contro sei consapevole di avere un'onestà musicale e di offrire un prodotto artistico sincero. Se poi aggiungi, come nel mio caso, l'assoluta mancanza di imprenditorialità... Questo disco ha visto la luce grazie a Paolo Piangiarelli che ha creduto subito nel progetto, immediatamente. A lui va il mio ringraziamento.

AAJ: Dal violino, studiato in conservatorio, al pianoforte. I motivi di un cambiamento.

M.P. Vengo da una famiglia di sei figli di cui cinque musicisti. Ho cominciato a studiare violino a sei anni. A quell'età credo tu debba essere molto fortunato o avere un certo carattere per fare in modo che quello che hanno scelto per te sia la strada della tua vita. Io mi sento, molto umilmente, prevalentemente un compositore e il pianoforte è lo strumento indispensabile per questa pratica musicale.

AAJ: Sei arrivato al jazz in maniera graduale. Ci racconti la tua gavetta?

M.P. Ho incontrato il jazz durante un concerto in piano solo di Mal Waldron. "Song for Mal" è dedicata a lui. Fino ad allora suonavo pianobar. Waldron mi aveva impressionato per il suo uso di un'armonia così scura suonata sui registri bassi del pianoforte. Ho così deciso di prendere lezioni e mi sono rivolto a Mauro Grossi. Quello che so lo devo a lui che, oltre a essere uno straordinario pianista, è un grande insegnante di musica.

AAJ: Stai incidendo un altro disco con il tuo trio Cubaconnection. Di che si tratta?

M.P. Il trio Cubaconnection è nato all'inizio del 2010. Ho avuto la fortuna di incontrare due musicisti - il batterista Francesco Bucchioni e il contrabbassista Mirco Capecchi - e due persone con cui mi trovo musicalmente e umanamente bene. Quest'ultimo aspetto per me è irrinunciabile. Il trio si è esibito continuativamente fino a adesso. Abbiamo così deciso di fissare su disco, di brani miei, il nostro lavoro. Il nome Cubaconnection sta a indicare tutto ciò che gira intorno a una certa musica latin-jazz.

AAJ: Di recente hai musicato un film muto. Come hai affrontato e cosa ti ha insegnato questo tipo di esperienza?

M.P. L'associazione culturale Centro Studi Commedia all'italiana di Castiglioncello mi ha proposto di musicare un film muto durante una rassegna. Ho scelto il film Aurora di Friedrich Wilhelm Murnau. Ho così trovato il modo di lavorare su un terreno che ho sempre amato: musica e immagini. È stata un'esperienza meravigliosa, perchè il film che ho scelto dà spazio a qualsiasi interpretazione musicale. Spero tanto di continuare a scrivere musica associata a immagini e un mio progetto sarebbe musicare una serie di foto in sequenza sul tema dell'aqua. Ho già il titolo: "Note d'acqua".

Foto di Biancamaria Monticelli.


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