Parte subito lancia in resta questa lunga (almeno quanto a durate dei singoli episodi, svarianti dagli 11 ai 25 minuti e rotti) impro session, che coinvolge musicisti rodati senza peraltro ascendere, se non a sprazzi, a risultati pari alle attese. Come fin troppo spesso accade in frangenti del genere, infatti, sembra mancare una reale linea-guida, cosicché gli esiti appaiono troppo strettamente connessi ad accadimenti tutto sommato contingenti.
I momenti migliori, per quanto sopra, sembrano di conseguenza arrivare nella seconda parte dell'iniziale (e più ampio) "Our Earth," in particolare attorno all'assolo di sax baritono (cui poi si unisce l'alto), e nel conclusivo "It Matters," aperto dal solo contrabbasso (archettato), cui poi si uniscono i compagni, che in lenta progressione macinano free senza esasperazioni (altrove, in particolare nell'episodio centrale, non manca per contro una certa enfasi, una certa tendenza all'iperbole).
Alla fine quello che ci rimane dentro è un senso di sostanziale inappagamento, anche un po' di confusione e incertezza, verso qualcosa che avrebbe potuto essere e in buona parte, invece, non è stato.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o