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Oltre le parole - il jazz di Ulrich Drechsler

Dopo gli inizi alla tenera età di nove anni come clarinettista nella banda del suo paese, e gli studi classici a Stoccarda per essere ammesso al conservatorio, Ulrich Drechsler si fa affascinare dal suono del sax tenore, che inizia a studiare da autodidatta a 16 anni. Da quel momento l'interesse per l'improvvisazione e poi il jazz prevalgono. Seguirà il trasferimento in Austria, dove vive ancora, e poi una carriera di sempre maggiore successo.

Abbiamo quindi deciso d'incontrare uno dei musicisti europei più difficili da etichettare con una discografia che passa con disinvoltura dal Nu Jazz all'intimità nordica della sua collaborazione con Tord Gustavson, passando per Schubert, Monk, il jazz da camera del suo 'cello quartet' e colonne sonore per film per arrivare all'attuale Trio con cui ha registrato il recente Beyond Words (Enja Records) con la cantante Efrat Alony come ospite.

All About Jazz : Il tuo ultimo CD si intitola Beyond Words. Cosa possono esprimere le parole e cosa riesce a comunicare, al confronto, la musica?

Ulrich Drechsler: Nella vita quotidiana, nel contatto con gli altri, la lingua è indispensabile. Tuttavia le sue possibilità sono limitate in quanto in molte situazioni la parole riescono a al massimo a "scalfire" la superficie delle cose. Ad esempio, uno può cercare di descrivere il carattere di una persona con le parole ma ci vuole poco a capire che è impossibile farlo in modo preciso. Le piccole sfumature che sono alla base della nostra individualità sono al di là di qualunque possibilità di spiegazione verbale. Un altro esempio sarebbe la domanda che ognuno di noi si fa almeno una volta nella vita: cosa voglio, oppure cosa non voglio fare. Il nostro Io conosce la risposta fin dalla nascita ma non siamo in grado di esprimerla a parole, per noi o per altri, perchè è quasi impossibile. È questo il motivo principale per cui psicologi e psichiatri hanno molto lavoro. Quello che noi diciamo ha nella maggior parte dei casi poco o nulla a che fare con quello che siamo. La lingua è un mezzo di comunicazione rivolto all'esterno il cui effetto - verso l'interno e verso l'esterno - si orienta a quelle che sono le nostre esperienze e abitudini (il nostro concetto di vita).

Al contrario le possibilità della musica si basano sul sapere del nostro io cosciente, sul nostro istinto, che ci parla se noi gliene diamo la possibilità. Cantiamo le nostre ninne nanne senza capirne le parole. Ma le melodie e le emozioni che sono il loro vero contenuto le comprendiamo perché questo sapere ci è stato dato al momento della nascita. Purtroppo, col passare del tempo, perdiamo buona parte delle nostre capacità di comunicazione non verbale. La comprensione illimitata per la musica la portiamo dentro di noi. Le nostre tendenze abitudinarie, cioè quello che permettiamo, determinano quello che ascoltiamo. Ma che ci piaccia o meno, la comprensione per la musica ci unisce tutti.

AAJ: La musica, al contrario della lingua, è per te il mezzo di comunicazione migliore?

U.D.: La musica non è migliore, è ovvio. Non c'è niente di migliore o di peggiore. La differenza con la parola è semplice, la musica è più diretta, comprensibile e funziona in modo più forte perchè si rivolge al nostro inconscio. Tuttavia in una panetteria non potrei comprare panini facendo la mia richiesta con un clarinetto. Nella nostra civiltà che va così veloce e attraverso l'introduzione dei moderni sistemi di comunicazione le possibilità della lingua si sono ridotte sempre più: attraverso abbreviazioni, slang, mix di lingue diverse ecc. Con questo la chiarezza dell'espressione è diminuita. Molto ha un doppio significato e ci sono sempre facilmente delle cunfusioni. Anche se la musica negli ultimi due decenni, con poche eccezioni è diventata un mezzo di consumo o usa e getta le sue possibilità sono sempre presenti. Gli uomini in tutto il pianeta, senza differenza di razza, sesso, cultura e ovviamente lingua ascoltano la musica di band come Coldplay, U2 o i filarmonici di Vienna o Berlino, Miles Davis o Keith Jarrett. E questo per il solo motivo che questa musica gli piace e scatena qualcosa dentro. Tutti siamo legati da una riserva di coscienza. La musica è un mezzo perfetto per condividere questo sapere e viverlo. Forse hai visto il film Avatar di James Cameron in cui il popolo dei Na'vi con l'aiuto di un albero ha contatto con l'intero sapere, il loro modo di vita, i ricordi dei loro antenati. Con la musica è la stessa cosa. Ci unisce e fa sì che condividiamo il nostro sapere.

AAJ: Cosa vuol dire per te 'comunicare' con gli altri musicisti?

U.D.: Comunicazione in latino significa "trasmettere, fare partecipare ed unire". Soltanto così nasce la musica: quando la si condivide e la si costruisce insieme. E questo non vale solo per i musicisti tra di loro, ma anche fra musicisti ed ascoltatori e fra un ascoltatore e l'altro. Il più brutto nemico della comunicazione sono le continue valutazioni e le aspettative. In ciò siamo tutti molto bravi. Ma la comunicazione vera non è possibile quando siamo prevenuti nei confronti di qualcuno o di qualcosa. Così non c'è più posto per creare qualcosa o condividere un'esperienza.

Uno dei miei esercizi quotidiani più importanti sta nell'evitare aspettative. Per lo più mi riesce in maniera limitata, raramente ho successo al 100%. Quando mi esercito, durante le prove, in studio o durante i concerti cerco di svuotare la testa dalla mia "biblioteca" per avere cosí la possibilità di creare qualcosa. Sul palco ho fiducia che il mio conscio troverà le note giuste. Questo spazio che diventa libero mi dà la possibilità di ascoltare realmente chi è con me. In tale momento tutto è possibile. Se riesce all'intera band allora si tratta di musica che è assolutamente onesta e comprensibile per tutti. Un buon concerto è come un buon dialogo. Ci si ascolta a vicenda, si lascia spazio ad ognuno per esprimersi, si crea e si condivide con gli altri musicisti ed il pubblico.

AAJ: Cosa vuol dire per te bellezza nella musica?

U.D.: Posso rispondere soltanto in modo soggettivo. Anche se ho un debole personale per la bellezza del suono in sè, la musica per me non deve suonare bella per irradiare bellezza. Nel momento in cui un musicista "si lascia andare" esprime quello che ha dentro. È sè stesso ed ha finalmente accesso a tutto il suo potenziale. Questi sono per me i veri artisti, perchè in questi momenti creano qualcosa che tutti comprendono. Questa è per me la bellezza nella musica. Ho avuto esperienze di questo tipo come ascoltatore a contatto con ogni genere musicale. Ho un grande rispetto ed amore per la musica indiana e persiana. I musicisti spesso suonano soltanto per l'amore che hanno verso la musica, impiegano anni per imparare scale, brani, intonazione. Ogni tono fa quasi male perchè è così intenso ed onesto e preso da solo rappresenta un intero cosmo musicale. Ma anche musicisti come Pablo Casals, Thelonious Monk, Jaqueline du Pré, Freddie Mercury, Charles Lloyd, Joni Mitchell, Miles Davis, Luciano Pavarotti, David Bowie e molti altri hanno avuto/hanno questo dono e sono stati/sono sempre autentici. Questa è per me la vera bellezza.

AAJ: La tua musica ha una componente spirituale?

U.D.: Dipende dai punti di vista. Mi farebbe piacere se fosse così ed i miei ascoltatori la percepissero in tal modo. Ad essere sincero non riesco a dare la risposta da solo. Ovviamente ho in me - come altri - un sapere spirituale da esprimere con la musica. Ad essere sincero: mi sento di essere un dilettante che cerca di essere aperto all'esperienza musicale e di imparare dando il meglio di sè. Per lo più imparo dalla mia famiglia, dalle persone che mi sono vicine, che mi aiutano nelle mie attività e che mi accompagnano nella vita. Fino a che la mia musica dà sensazioni positive alle persone, è per me più che sufficiente per il mio ruolo di artista.

Foto di Dorit Winkler (la prima), Wolf-Dieter Grabner (tutte le altre).

Traduzione di Vittorio Lo Conte.

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