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Merano Jazz 2018
Kursaal, Teatro Kimm
Merano
10-15.07.2018
Il primo che soffia sulle ventidue candeline di Merano Jazz è Pat Metheny, che con il suo quartetto apre la sezione concertistica di un festival caratterizzato pure da una prestigiosa sezione didattica: l'Accademia Mitteleuropea, diretta da Franco D'Andrea ed Ewald Kontschieder, giunta quest'anno alla diciassettesima edizione con docenti dell'area italiana e germanica che ruotano in frequenza biennale, tra i quali troviamo nel 2018 il sassofonista Pietro Tonolo, il trombettista Matthias Schriefl, il pianista Luca Mannutza, il percussionista José Antonio Molina. Kurt Rosenwinkel era titolare della masterclass che ogni anno vede avvicendarsi all'Accademia meranese grossi nomi della scena internazionale, in qualità di Artist in Residence.
Lo stesso D'Andrea focalizza il proprio apporto didattico in una masterclass che tocca ogni volta tematiche dove gli aspetti teorici si legano strettamente alla pratica dell'improvvisazione. Tema di quest'anno era «In Trio Il suono degli anni 20», in cui era sviluppato il parametro legato al timbro strumentale, al suono personale di un musicista: aspetto ritenuto basilare agli albori del jazz, negli anni Venti del Novecento, ma poi un po' dimenticato a favore di altri parametri, come il fraseggio e la preparazione armonica. Una tematica affrontata con il consueto acume dal pianista, come ha dimostrato la conclusiva esibizione del trio di allievi da lui diretto, dove si spiccava l'elaborazione dell'ellingtoniano «Half The Fun».
Metheny con il suo quartetto apriva dunque la serie dei quattro concerti, nella sala gremita del Kursaal meranese. Il chitarrista ha ripercorso con brio la strada tracciata trent'anni orsono e da allora aggiustata, plasmata, però mai smentita o spiazzata: piuttosto consolidata in un proprio mainstream personale, dove il fluido fraseggiare delle sue chitarre tiene ben saldo il centro di gravità. Antonio Sanchez e il pianista britannico Gwilym Symcock assecondano il gioco, senza osare gesti che possano scardinare il fluido al quale il pubblico si incanta. Solo il temperamento della contrabbassista Linda May Han Oh mostra nei soli e in certi episodi un carattere proprio, autonomo, di pregio notevole.
Il concerto del quartetto pianoless New Jawn, guidato dal contrabbassista Christian McBride si muove su un canovaccio ben più aderente allo spirito del jazz. Ci si aspetterebbe anzi un mainstream nero, sulla traccia che evolve dai Jazz Messengers e attraverso l'estetica Blue Note degli anni Sessanta approdi al Wynton Marsalis del neoclassicismo nero. Ma il concerto riesce a imboccare altre direzioni, affondando le radici in un terreno più autentico e sanguigno, per merito del leader, ma pure del sagace sax tenore (e soprano) di Marcus Strickland e della fresca tromba di Josh Evans. Il batterista Justin Faulkner, che sostituisce il titolare Nasheet Waits, spinge la musica con impeto muscolare a scioltezza poliritmica. Le composizioni sono in buona parte originali, ma spicca una bella versione del monkiano «Misterioso».
Il lungo, generoso concerto del quartetto Viaggiando di Rosario Bonaccorso, con Fulvio Sigurta alla tromba, Stefano di Battista al sax alto e soprano, Roberto Taufic alla chitarra presenta un proprio itinerario tra canzone italiana e brasiliana. Musica fresca, che cerca un elegante contatto diretto con il pubblico, ma forse insiste troppo sulle parti cantate e sfrutta poco le potenzialità di musicisti eccellenti.
Le note accattivanti del quintetto Qantar, guidato da Omer Avital, chiude una trilogia meranese dedicata ai contrabbassisti-leader, dove risalta anche all'orecchio distratto la differenza di stile e di impostazione dei tre musicisti. Quello di Avital è un approccio danzante, propulsivo, talvolta insistito su modalità e colori medio-orientali, ma che si rivolge pure a suoni urbani e all'Africa, con ammiccamenti al Coltrane di «Africa/Brass» (in «Daber Elay Africa»). La band allinea solisti giovani e giovanissimi ben affiatati, tra cui spiccano la coesione e i contrasti espressivi dei due sassofonisti, Alexander Levin al tenore e Asaf Yuria, in prevalenza al soprano.
Foto (di repertorio): Roberto Cifarelli.
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