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Manlio Maresca: L'imprevedibile gioco delle parti.

Manlio Maresca: L'imprevedibile gioco delle parti.
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Accettare gli errori, metabolizzarli, significa non aver paura dei propri lati negativi, trasformandoli di conseguenza in virtù. Un vero e proprio fattore estetico diventato centrale nella mia musica
La musica di Manlio Maresca è una centrifuga di elementi musicali dei più svariati uniti, nella loro essenza, dallo spirito di rottura di schemi prefissati: punk, rock alternativo, jazz tradizionale ed elettronica miscelati in un vertiginoso gioco senza soluzione di continuità tra musicista ed ascoltatore. Chitarrista e compositore, sin dalla prima formazione dei Neo, fondata nel 2001, fonde il jazz con il punk-hardcore collaborando in seguito con un figure di culto come Steve Albini e Steve Piccolo e con l'Orchestra Operaia di Massimo Nunzi. Nel 2016 registra insieme al quintetto Manual for Errors-formato da Francesco Lento, Daniele Tittarelli, Matteo Bortone, Ivan Liuzzo e Fabio Recchia- l'album Hardcore Chamber Music a cui segue, a quattro anni di distanza, il nuovo lavoro Noisy Games uscito, come il precedente, per l'etichetta Auand. L'abbiamo intervistato per parlare del suo vissuto artistico tra Roma, Berlino e Chicago in un'altalena di momenti ed incontri imprevisti sintetizzata nell'emblematico titolo della traccia conclusiva di Noisy Games "A volte la vita è brutta ma prima o poi arriva sempre il momento peggiore."

All About Jazz: Berlino, dove vivi ormai da quattro anni, è una città che esercita un forte fascino su musicisti di ogni genere per il suo essere centro di sperimentazione e innovazione: un ambiente artistico che immagino abbia avuto un'influenza determinante anche sulle tue produzioni.

Manlio Maresca : Sicuramente. Essendo un musicista curioso, e per di più senza un orientamento musicale specifico, Berlino rappresenta la città ideale dove avere la possibilità di collaborare con musicisti che affiancano al jazz tradizione progetti di elettronica. Da queste parti l'estremismo, applicato alla forma musicale, è considerato semplicemente Arte. Una visione generatrice di fenomeni musicali molto interessanti ed innovativi.

AAJ: L'ultimo disco, Noisy Games, ricalca alla perfezione la tua voglia di arrivare alle estreme conseguenze di una personale ricerca musicale.

MM: In effetti nel disco il jazz è solamente un travestimento, la superficie sotto la quale è possibile ritrovare riferimenti a suoni e timbri tipici degli anni '90, il mio periodo adolescenziale, di gruppi come Primus o Sonic Youth. Ho voluto riportare nel disco elementi musicali e concettuali presenti nei Neo, band degli miei esordi, che prevedevano dissonanze, saturazioni o brani senza un finale definito nello stile di gruppi grunge come i Nirvana.

AAJ: Proprio durante il periodo degli esordi hai avuto l'opportunità di incontrare e collaborare, insieme agli altri componenti dei Neo, col musicista e produttore discografico Steve Albini, guru della musica alternativa americana.

MM: Avevo ascoltato per anni i dischi prodotti da Steve Albini senza mai prendere in considerazione la possibilità di incontrarlo e tanto meno di poter collaborare con lui. L'opportunità è arrivata a seguito del tour organizzato dall'etichetta dei Neo, la Megasound, negli Stati Uniti durante il quale abbiamo registrato il nostro disco Neoclassico nello studio Electrical Audio di proprietà di Albini a Chicago. Fu la realizzazione inaspettata di un desiderio che avevo avuto da sempre. Registrammo velocemente in soli quattro giorni in analogico su bobine da un pollice e mezzo, imprimendo ai brani l'inconfondibile sound delle produzione di Albini. Lui è un vero perfezionista nel controllare ogni particolare delle fasi di produzione dei dischi. Recentemente dopo la morte del sassofonista dei Neo Carlo Conti abbiano ripreso a suonare dopo un periodo di fermo di quasi otto anni. Abbiamo eseguito dei brani nel giorno dell'anniversario della sua nascita insieme al sassofonista Federico Pascucci a cui sono seguiti due concerti nei mesi di luglio e Settembre del 2020.

AAJ: A che punto del tuo percorso, legato alla scena punk-hardcore e rock, ti sei avvicinato all'ambito jazz?

MM: Il mio percorso nasce con l'ascolto dei dischi di Jimi Hendrix e Led Zeppelin passando per il punk attraverso cui successivamente ho scoperto una realtà che andava al di là del solo fatto tecnico o strumentale avvicinandosi ad un approccio più "sporco" e anticonvenzionale. La scintilla che ha accesso il mio interesse per il jazz è stato l'ascolto, tra gli anni '80 e '90, dei lavori discografici di John Zorn. Ho fatto un viaggio a ritroso nella scoperta del jazz tradizionale che mi ha spinto a dedicarmi a un personale studio della musica.

AAJ: In tutti i tuoi lavori è rintracciabile un'ironia di fondo, quasi a voler alleggerire una forma musicale densa costruita su una varietà di stili e riferimenti musicali.

MM: L'ironia è alla base della mia personalità. Cercare di non prendere mai troppo sul serio le cose intorno a me. È un po' come vivere all'interno di un cartone animato o di un videogame nel quale il musicista, e di riflesso l'ascoltatore che sta al gioco, si trova in percorsi verso livelli diversi, per poi alla fine trovarsi in circostanze impreviste.

AAJ: Parlando di ironia al limite del paradossale come caratteristica evidente nell'esecuzione e scrittura dei tuoi brani non si può fare a meno di pensare a Frank Zappa. Quanto è stata importante per te l'eredità musicale del grande compositore americano?

MM: Mi sento spiritualmente e concettualmente vicino a Zappa nel suo modo unico di percepire e concepire la musica, il sapere scrivere e suonare le cose più assurde e folli senza preoccuparsi troppo di ciò che sta accadendo. Naturalmente facendo sempre affidamento su una solida preparazione alla base della consapevolezza di riuscire a fare quello che si vuole. Nella sua musica quando sei sicuro che arriverà qualcosa di prevedibile avviene un ribaltamento di tutto ciò che fino a quel momento hai ascoltato. Si ritrova in questo il gioco di cui ti parlavo prima, il doppio senso o il non senso nella parola come nella musica. Come lui cerco di non dare mai all' ascoltatore quello che si aspetta.

AAJ: Altra collaborazione di rilievo è stata quella scaturita dall'incontro con Steve Piccolo?

MM: Con Steve Piccolo ebbi un contatto nel 2001 mentre suonavo a un festival organizzato al Teatro Comunale di Latina con i Neo, nella formazione originale senza Carlo Conti. In quella circostanza non ci incontrammo personalmente ma gli organizzatori gli diedero un nostro CD. Dopo poco, con nostra sorpresa, ci invitò a un Festival a Milano. Nacque così un'amicizia che portò alla sua partecipazione, nella veste di cantante, in un nostro disco dedicato al chitarrista Philip "Snakefinger" dei Residents, scomparso prematuramente all'età di 38 anni. Disco che purtroppo non è stato mai pubblicato.

AAJ: Tra l'ultimo disco e il precedente Hardcore Chamber Music è intercorso un periodo di quattro anni: una scelta o una necessità data dall'esigenza di trovare nuove strade musicali?

MM: È stato un periodo necessario per completare il disco durante il quale mi sono interessato, e successivamente appassionato, alla musica elettronica che, fino a quel momento, avevo conosciuto in maniera periferica, senza mai approfondirla del tutto. Ho strutturato nell'arco del tempo un set di elettronica utilizzabile in solo e all'interno del quintetto. Di conseguenza, ho avuto la possibilità di aprirmi a nuove soluzioni espressive aggiungendo a tale approccio le mie conoscenze ritmico—armoniche applicate alla chitarra. I brani del disco sono usciti in maniera quasi casuale, attraverso l'interazione con le macchine elettroniche a mia disposizione.

AAJ: Che tipo di apporto hanno dato i componenti del quintetto alla realizzazione del disco?

MM: Nella fase di registrazione con il gruppo si attiva un meccanismo che mi consente di affidarmi ad ognuno di loro per avere un particolare suono o timbro per bilanciare i vari elementi all'interno del disco. Tutto ciò richiede da ogni componente del quintetto una partecipazione attiva e diverse prove prima della registrazione finale delle mie composizioni.

AAJ: L'errore può trasformarsi in veicolo per trovare nuove ed inaspettate soluzioni musicali?

MM: Assolutamente sì. Durante i miei studi ho capito che gli errori sono un fattore importante nella fase di ideazione dei brani. Incappare in uno sbaglio, per esempio un movimento sbagliato della mano sulla chitarra, per me diventa un segnale di cui prendere nota. È da questi errori imprevisti che sono nate le cose migliori che ho fatto, come in quest'ultimo disco. Accettare gli errori, metabolizzarli, significa non aver paura dei propri lati negativi trasformandoli di conseguenza in virtù. Un vero e proprio fattore estetico diventato centrale nella mia musica.

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