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Louis Moholo-Moholo Unit "Special Edition"
ByTeatro Manzoni - Milano - 04.03.2012
The Blue Notes furono un formidabile ensemble di musicisti sudafricani, fuorilegge in patria, che approfittando di un ingaggio al festival di Antibes nel 1964, si auto-esiliarono per brevissimo tempo a Zurigo e poi stabilmente a Londra. Nella capitale inglese non faticarono ad integrarsi nella comunità jazzistica locale fino a diventarne punti di riferimento imprescindibile. Di questo leggendario gruppo il batterista Louis Moholo-Moholo (il raddoppiamento del cognome sembra dovuto al desiderio di mantenere vivo il ricordo delle proprie radici) è stato il co-fondatore e si ritrova ora ad esserne l'unico superstite. Ebbene, in prima assoluta, Moholo-Moholo rende omaggio ai suoi vecchi amici e compagni di viaggio presentandosi sul palco del Teatro Manzoni di Milano con una Unit "Special Edition" formata da alcuni dei più rappresentativi esponenti della scena londinese e da uno storico trombettista come Henry Lowther.
Diciamo subito che l'esibizione, piacevole, a tratti divertente ma raramente coinvolgente o entusiasmante non è stata, per chi scrive, all'altezza dell'aspettative. L'inizio, per la verità, è folgorante: su di una cadenza innodica, lenta e avvolgente, con i piedi ben saldi nella tradizione e nel folklore sudafricano, si scatena improvviso un uragano sonoro, una fanfara impazzita che conserva sorprendentemente una marcata vena melodica anche nei momenti di improvvisazione più selvaggia. Molto più di un ricordo di The Blue Notes, quasi una loro emozionante reincarnazione. Poi dopo una sorta di spiritual attraversato da fremiti, improvvise deviazioni, slittamenti metrici l'esibizione perde tono e coerenza.
Perché si sbilancia eccessivamente sul versante della forma canzone nella quale la ripetitività tipica dei traditionals manca di quei guizzi e colpi di scena che li espande in altra materia sonica. Perché la voce di Francine Luce (apprezzata interprete già a fianco di Evan Parker, Lester Bowie, Joelle Leandre) non incide e non graffia, penalizzata anche dall'amplificazione. Già, l'amplificazione, solitamente ineccepibile, sembrava fuori fase, la voce per l'appunto spesso impercettibile, il pianoforte sommerso dal volume dei fiati, e i fiati stessi, quando all'unisono, molto compressi. Così che le parti d'insieme, forza e tratto distintivo della musica di Moholo-Moholo, sono state penalizzate a favore degli interventi solistici, pochi per la verità, ma rivelatori comunque di alcuni fulgidi talenti.
Come il pianista Alexander Hawkins, trentenne di Oxford dalla tecnica scintillante che mette al servizio di un'inesauribile creatività dispensata sia in fase di accompagnamento (ma sono vere e proprie improvvisazioni nell'improvvisazione) che nelle sortite solistiche dove dimostra anche una sensibilità di stampo accademico. O come il formidabile contrabbassista John Edwards (noto per la sua militanza nei gruppi di Evan Parker, Veryan Weston, Aki Takase, Lol Coxhill, con oltre un centinaio di registrazioni alle spalle) vero motore dell'ensemble, infaticabile nel pizzicato fantasioso ed originale con l'archetto.
Louis Moholo-Moholo, da parte sua, sembra divertirsi un mondo dietro una spartana batteria, dirige con cenni e ammiccamenti la sua piccola orchestra, suggerisce svolte nella direzione musicale non sempre prontamente recepite dal resto del gruppo. Ma quella di Milano è stata una prima assoluta e la Special Edition del batterista sudafricano avrà tempo per mettere maggiormente a fuoco l'ambizioso progetto.
Foto di Roberto Cifarelli.
Altre foto di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.
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