Kahil El’Zabar Ritual Trio: Live at the River East Art Center

Giovani pittori, artisti-installatori, autori di happenings informali, lavorano mentre il quartetto jazz si lancia in una performance di bell’effetto ipnotico-minimalista, chiaramente influenzato anche dall’ambiente circostante.

Il legame particolare con l’Africa che indirizza lo stile di El’Zabar • percussionista, vocalist, ideatore di situazioni letterarie e musicali • emerge tanto più qui, con un programma che riduce al minimo l’elaborazione armonica ed esalta invece una spontaneità primitiva che sta tra i cicli di ripetizione ritmica e il blues-feeling. Il leader traccia un disegno ritmico di base, a volte alla kalimba, altre alle congas o alla batteria; il contrabbassista (Yosef Ben Israel) punteggia i pedali e le loro variazioni, mentre sax tenore (Ari Brown) e violino (Billy Bang) si alternano nella narratività solista, quando non incrociano i loro suoni per serrate conversazioni a due voci.

La linearità, la semplicità dell’affabulazione, sono decorate dalle abilità strumentali di Brown e Bang (qui ospite del gruppo, ma in grande confidenza con una musica creata da un vecchio amico..): il sassofonista stretto all’identità dei temi e dunque sobrio nelle sequenze iniziali per poi espandere un eloquio rauco, slabbrato, spesso funky; il violinista fautore di una sonorità elettrica, smagliante, a volte volgarizzata da assoli autoindulgenti.

Il tutto sempre molto piacevole, carezzevole, spesso sensuale.

“Big M” e “Oof” sono i brani più toccanti, entrambi in memoria di Malachi Favors, che accanto a Kahil aveva realizzato exploits di tutto rispetto. “Return of the Lost Tribe” la sequenza più “africana” con El’Zabar impegnato alle congas, “Where Do You Want to Go?” è l’unico pezzo firmato da Ari Brown, mentre “Be Exciting” è uno spoken-word in cui Kahil stimola il pubblico presente a riflettere sui tempi amari che ci opprimono ma anche a credere in una prossima rinascita.

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