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Black Host: Life in the Sugar Candle Mines

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Black Host: Life in the Sugar Candle Mines
Gerald Cleaver è tra i musicisti più versatili della scena odierna. Molto apprezzato dai colleghi, lo si può incontrare in contesti molto diversi, da quello di carattere libero ed esplorativo al più strutturato e perfino mainstream, e sempre la sua percussione si rivela adeguata, ricettiva, ricca di autorevole personalità. Sono così numerose le occasioni in cui si incontra la sua batteria, che potrebbero rappresentare una eloquente e ampia mappa del jazz contemporaneo, con ben poche lacune.

Anche i suoi lavori come titolare denotano tale duttilità e audacia stilistica. Ma senza dubbio questa formazione, Black Host, rappresenta il momento più intenso, ben focalizzato e più convincente della sua attività di leader. Tutte sue le composizioni di Life in the Sugar Candle Mines, ma il gruppo si muove come un'unità di creazione organica e paritaria, in un contrasto spesso e stridente di strumenti elettrici e acustici, di suoni densi e pesanti, stridenti e martellanti. L'aria che si respira è di temeraria e autentica complicità.

Nella musica dell'Ospite Nero spicca fin dall'esordio di ascolto l'aspetto espressionista, di forza magmatica, ad accesi contrasti, dissonante, ipnotica. Basterebbero i primi due brani, "Hover" e "Ayler's Children," la cui somma si dipana lungo più di ventisette minuti, per tributare al lavoro un'attenzione privilegiata. Due lunghe tenzoni, tumultuose e magmatiche, a loro volta tra loro contrastanti. Ma poi l'ascolto si inoltra in altre dimensioni, le facce differenti di un unico prisma: quella sospesa e paludosa di "Citizen Rose," quella enigmatica di "Amsterdam/Frames," il Bartók dei Mikrokosmos lavorato con il ferro incandescente in "Wrestling," dove si avvicendano differenti metri dispari.

Si passa da episodi elettrici a momenti acustici, dal free alla reiterazione incalzante e martellante, dall'urlo al sussurro. Musica fatta di pedali ostinati e martellanti, come in Test-Sunday, sui quali si librano temi spigolosi, forgiati nel metallo incandescente.

"Gromek" è, insieme a "Hover" e "Ayler Children" il brano che più colpisce: tappeto cupo insistente nel pedale di basso, sul quale il tumulto del piano si mescola alle campiture ampie di chitarra e sax all'unisono.

Il sax alto magistrale di Darius Jones procede spesso in unisono con la chitarra lacerante di Brandonb Seabroock, il piano di Cooper Moore troneggia e brilla spesso sul magma sonoro. La batteria del leader si mimetizza spinosa nella scansione attorno al tempo, o martella cupa sul tempo. Sempre puntuale, drammatica, opportuna.

Track Listing

01. Hover; 02. Ayler's Children; 03. Citizen Rose; 04. Test- Sunday; 05. Amsterdam/Frames; 06. Gromek; 07. Wrestling; 08 May Be Home. Tutti i brani sono di Gerald Cleaver, tranne "Frames", di Dairus Jones, Brandon Seabrook, Gene Ashton, Pascal Niggenkemper, Gerald Cleaver. "Wrestling" tratto da Mikrokosmos No. 108, di Béla Bartók.

Personnel

Darius Jones
saxophone, alto

Darius Jones (sax alto), Brandon Seabrock (chitarra elettrica), Cooper-Moore (piano, synth), Pascal Niggenkemper (basso elettrico), Gerald Cleaver (batteria).

Album information

Title: Life in the Sugar Candle Mines | Year Released: 2013 | Record Label: National Arts Center


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