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La sacralità di Annette

...Perfetto momento di illusione morbida per chiudere una serata densa di profonde e sottili seduzioni artistiche che rimarranno attaccate alla nostra anima per sempre...
Teatro Rasi, Ravenna

19 maggio 2006

Ritrovare nuovamente Annette Peacock in Italia, dopo la bella tournée di fine gennaio 2005 che segnava il suo ritorno alle scene dopo anni di silenzio, è stato davvero piacevole.

Va detto che nei 15 mesi che sono trascorsi da quel primo assaggio carico di significati e promesse, Annette è tornata a nascondersi, come al solito, nella sua casa immersa nei boschi di Woodstock, impegnata a mettere a punto quel lavoro di profonda passione e attenzione che è 31:31, l’album da poco pubblicato dalla sua etichetta Ironic Records US, distribuito secondo la poco commerciale logica dell’uno ad uno, come prezioso oggetto d’arte.

In pratica, se dobbiamo tenere conto di quello che è successo negli ultimi anni, possiamo trarre la conclusione che Annette ormai si esibisce dal vivo solo in Italia, con al massimo piccole digressioni nei paesi limitrofi (quest’anno il tour si è concluso a Zurigo dopo sei date italiane che hanno messo in fila Roma, Ravenna, Vicenza, Mestre, Treviso, Corsico alle porte di Milano). E se permettete la cosa fa molto onore al nostro paese, in un settore dove i grandi riconoscimenti sono piuttosto rari.

Annette è arrivata a Roma il 17 maggio in tarda mattinata e si è immediatamente trasferita in via Asiago per una intervista con mini concerto negli studi della Rai. Il tutto è stato messo in onda il giorno successivo all’interno del programma di RadioTre ‘Il Terzo Anello’ condotto da Arturo Stalteri che ha avuto parole di grande rispetto e di spiccato interesse per questa meravigliosa artista che ha fatto della indifferenza verso le regole del business una delle sue peculiarità più evidenti.

Dopo un concerto di rodaggio, il 18 maggio, presso un locale dall’improbabile nome ‘Stazione Birra’, nei dintorni di Roma, la compositrice americana si è spostata a Ravenna dove, venerdì 19 maggio, ha tenuto, presso il bellissimo Teatro Rasi restaurato in maniera esemplare, un intenso incontro con il pubblico nel pomeriggio, per poi dare vita ad uno straordinario concerto serale.

Nel pomeriggio le domande sono partite dalle lontane esperienze di Annette Peacock con Timothy Leary per arrivare alla concezione dell’assenza di tempo che per Annette è una delle caratteristiche più importanti nella sua ricerca di verità e purezza, i due pilastri che secondo lei stanno alla base dell’esperienza artistica. Sono emersi divertenti bozzetti che hanno toccato le varie fasi della carriera di Annette, a cominciare dal suo incontro con Charles Mingus a Millbrook, sede della comunità con la quale Timothy Leary conduceva nei primissimi anni sessanta i suoi esperimenti di socializzzione che si basavano essenzialmente sull’uso libero di allucinogeni come l’LSD. L’incontro con il celebre bassista avvenne in occasione del matrimonio di Leary con la contessa svedese Nena Von Schlebrugge che poi diventerà moglie di Robert Thurman e madre di Uma Thurman.

La chiacchierata è stata intermezzata dall’ascolto di brani tratti dalla discografia dell’artista, un patrimonio fatto di album che sono ormai tutti fuori catalogo. Fanno eccezione l’ultimissimo album 31:31 appena pubblicato da Ironic Records Us, il raffinato An Acrobat’s Heart pubblicato da ECM del 2000 e l’ottima ristampa “The Aura Years” pubblicata l'anno scorso da Sanctuary che contiene i due album dei fine anni settanta intitolati “X-Dreams” e “The Perfect Release”. Fortunatamente grazie al completissimo archivio di Mauro Stocco (l’ingegnere informatico trevigiano che ha promosso con grande competenza e passione i due tour italiani della compositrice americana) tutte le opere di Annette, anche quelle più rare, erano disponibili per l’ascolto e quindi in particolare è stato interessante riascoltare e commentare un brano dal primissimo album di Annette, quel Revenge del 1969 che aveva condiviso con l’allora compagno Paul Bley.

Per tutto il pomeriggio, pur essendo arrivata all’ultimo momento, dopo un faticoso viaggio in auto da Roma, Annette si è calata perfettamente nella parte di chi deve raccontarsi, andando anche a toccare le aree misteriose dell’ispirazione e delle scelte artistiche. Un racconto che ha molto intrigato i presenti che si sono presi un breve pausa a fine pomeriggio, ripresentandosi puntuali per il concerto serale.

La scelta di Sandra Costantini (notissima promoter ravennate che da anni ci delizia con le sue scelte coraggiose e spesso irrituali) di lasciare aperto il fondo del palcoscenico, a rivelare l’antichissima abside che sta dietro, è stata perfetta. La stessa Annette era particolarmente emozionata dalla sacralità che il palcoscenico assumeva nella luce morbidissima e calda che sembrava quella di sette candele o poco più. E la sua risposta emotiva è stata di assoluto valore.

Il concerto è durato circa un’ora e un quarto, andando ampiamente al di là della durata media delle sue performance che normalmente stanno al di sotto dei 60 minuti. Annette è partita con una intensa versione di “So Close Is Still Too Far” (dall’album Sky Skating del 1982), una canzone d’amore rarefatta e triste incentrata sulla impossibilità di annullare la distanza che esiste fra due persone che si amano. Sovrapponendo al pianoforte i suoni degli archi forniti dal synth Roland si è aperta una ampia parentesi su “Too Much In The Skies”, uno dei brani più noti di Annette Peacock, apparso originariamente nell’album X-Dreams del 1978, per poi tornare brevemente al tema che aveva dato inizio al concerto.

Una dolente “Tho”, con la sua appassionata narrazione che spesso diventa quasi un recitativo denso di espressività, è servita come perfetto grimaldello per aprire ulteriormente l’anima di Annette Peacock e per procedere verso una sezione di brani più antichi, tratti dall’album I Have No Feelings, a cominciare dall’austera “Nothing Ever Was Anyway” proposta in una versione strumentale piuttosto dilatata e legata con una breve “Freefall” che poi cedeva il passo alla bellissima “This Almost Spring” che chiudeva un trittico di pura estasi rarefatta ed essenziale.

La frase bebop che apre “Both” si intreccia con la successiva evoluzione che danza sulle voci degli archi sintetizzati e sfocia con “Joy” in una danza dai ritmi bizzarri che si rincorrono attorno a dissonanze delicate che non cercano di nascondersi nei lembi frastagliati delle linee melodiche. La tensione rimane altissima, nella penombra il pubblico respira all’unisono con l’artista che avanza come in trance all’interno di un repertorio intimamente suo, affidandosi alla poesia che sgorga purissima, zigzagando fra i tasti del pianoforte e i suoni degli archi che emergono dalla tastiera Roland appoggiata sul pianoforte. Di lato un piccolo mixer consente ad Annette di aggiungere ogni tanto una batteria elettronica piuttosto elementare che sprizza scansioni precise che non tolgono nulla alla magia dell’incedere.

Con una lunga versione di “b 4 u said” si torna al repertorio del disco ECM per poi ripartire, senza mai toccare i brani dell’ultimissimo album, verso lidi misteriosi e sconnessi dove brillano una secca ed allucinata “So Hard, It Hurts”, la ipnotica “Real & Defined Androgens” e la criptica “Gesture Without Plot”. Un lungo scrosciare di applausi costringe Annette al bis, un rito ormai abituale per la quasi totalità dei musicisti che si esibiscono dal vivo e che invece raramente viene concesso dalla nostra signora delle arti. Certamente non per mancanza di generosità, ma semmai come supremo atto di consapevolezza del proprio ruolo. In questo caso il calore del pubblico romagnolo ottiene la deroga sperata e la bellissima “U Slide” si materializza nello spazio scenico del Teatro Rasi, perfetto momento di illusione morbida per chiudere una serata densa di profonde e sottili seduzioni artistiche che rimarranno attaccate alla nostra anima per sempre.

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