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Jazz'n'Roll & New Standards
ByD'altro canto la materia di cui sopra non è esattamente il songbook della premiata ditta (pardon: Premiata Ditta) Lennon/McCartney risciacquato in acque jazzistiche, bensì, molto più in generale, la rilettura di materiale pop angloamericano risciacquato appunto nelle acque di cui sopra. In quest'ottica, una posizione di preminenza spetta di diritto - noblesse oblige - al Divino Miles di You're Under Arrest, nei cui solchi (all'epoca lo erano ancora) l'uomo di Alton prende in mano (non senza destare qualche scalpore) "Human Nature" di Michael Jackson e "Time After Time" di Cindy Lauper, che da quel momento (1985) diventano due dei riti concertistici per antonomasia della sua vita pubblica (ovviamente in suono).
È quindi questa la materia, trasferita a casa nostra in questi primi mesi del 2013, con ancora fresca la memoria del (peraltro non trascendentale) Michael Jackson - ancora lui - targato Rava, o degli svariati Hendrix (o anche Zappa) di un più o meno recente passato, che ci troviamo a sgrossare: qualcosa su cui - sarà per la concomitanza, la convergenza temporale - è il caso di spendere due parole.
Anche perché uno dei titoli freschi di stampa a cui ci riferiamo sta ai vertici della produzione che sviscera la succitata materia. D'accordo, la spina dorsale (l'arrosto) è il repertorio monkiano, però è indiscutibile che Monk'n'Roll (Cam Jazz) del Tinissima Quartet di Francesco Bearzatti abbini in maniera veramente felice (arguta, sapida, magari anche un po' cialtrona, perché no...) varie anime. Con la capacità di inventare. Una manciata delle più amate, coccolate icone monkiane si trovano così a convivere con (magari minoritarie) schegge che toccano Pink Floyd (tre diversi "Shine on You Crazy Diamond," da Wish You Were Here, ad attorcigliarsi su tre diversi "Misterioso") e Queen, Roy Orbison e Sting, ACDC (nientemeno...) e Led Zeppelin (l'urlo per "chitarra virtuale," che si fa quasi morriconiano - via Zorn - di "Immigrant Song"), Michael Jackson (e ridagli...) e David Bowie, Aerosmith e Lou Reed.
Anche come puro e semplice omaggio monkiano, fin dalla copertina che parafrasa amabilmente quella di Underground (titolo profetico?), Monk'n'Roll - in cui tutti giocano un ruolo determinante: le ance del leader come la tromba, mimetica e rigogliosa, di Falzone, Gallo come De Rossi - già si collocherebbe piuttosto in alto (e la concorrenza è piuttosto generosa, eufemisticamente parlando..). Così, un punto in più in pagella.
Sarà per i vent'anni in meno (e oltre), fatto sta che Mattia Cigalini, in Beyond (ancora Cam Jazz), ha eretto al rango di "nuovi standard" pezzi di Shakira, Jennifer Lopez, Lady Gaga, Rihanna ecc., intercalati, qui, a temi suoi (sei a tre). L'aveva detto esplicitamente, l'anno scorso a Bergamo Jazz, dove il progetto aveva avuto il suo vernissage, capace di destare una certa impressione. Era all'opera, allora, un trio con Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli, quindi senza la chitarra di Bebo Ferra, presente invece nel disco. Che - siamo onesti - non tiene del tutto fede alle aspettative che il live sembrava giustificare: quell'energia allo stato brado, qui, si trasforma spesso in semplice sovraesposizione. E comunque tutto appare troppo inscatolato, intenzionale.
Il peso della chitarra si avverte, così come il fatto che Cigalini privilegi fin troppo massicciamente il sax alto (suo primo strumento, per carità, ma al soprano è più fluido, "baciato" da una cantabilità più limpida, senza il groove non di rado esacerbato che imprime sul "fratello" maggiore in mi bemolle). Un disco non senza momenti di pregio, ma che come detto non convince più di tanto. Piacerà ai ragazzi, magari. E sarebbe già un bel risultato.
Quella certa ingerenza elettr(on)ica che appare - e scompare, per lo meno in Monk'n'Roll - nei due lavori appena incontrati diventa linfa vitale, tessuto connettivo, in Imagine (Parco della Musica) di Martux_m (al secolo Maurizio Martusciello), che trae spunto dal capolavoro di John Lennon, posto in apertura (con i fiati assenti), per poi incamminarsi su altre strade. Sono della partita Fabrizio Bosso e ancora Bearzatti, le cui evoluzioni veleggiano sul tappeto elettronico (il leader, più Eivind Aarset, anche alla chitarra) che popola (spesso sovraffolla) il disco.
Non è proprio il tipo di musica che ci fa impazzire: ci vuole molta misura (che qui non c'è, almeno in larga parte) e poi un po' tutto (sempre in generale, con lo specifico come esempio peraltro paradigmatico) finisce per somigliarsi. Come quando metti la glassa sulla torta... Bosso (soprattutto) e Bearzatti appaiono a loro agio, e suonano come Dio comanda. Però il disco ha poca anima. Aspettiamo un duo, se proprio vogliono...
Nell'attesa, chiudiamo questa veloce zoomata segnalando un lavoro dell'ennesimo quartetto, stavolta d'archi (però col contrabbasso al posto della viola). Rigorosamente acustico (dopo tanta elettronica...). Cameristico-leggero. Non jazzistico. Si tratta di Blending (Fitzcarraldo) dello String Sharper Quartet, CD di appena mezz'oretta, che dà però non poca soddisfazione. Per aprirlo e chiuderlo, i quattro palermitani (da lì provengono) hanno scelto due pezzi dei Radiohead (che già un certo Brad Mehldau...), con in mezzo "Cars"di Gary Numan e "Frevo" di Egberto Gismonti, più tre brani che sono farina del loro sacco (ma in concerto suonano anche Hendrix, Zorn, Nick Cave...). Ci ritroviamo la vivacità del Balanescu, magari un po' più sbarazzina, meno rapsodica, meno mitteleuropea, se vogliamo. E non ci annoiamo di certo.
Finish. Di seguito, come di prassi, abbiamo inserito qualche video, per dare una sbirciatina a quanto abbiamo qui raccolto e provato a raccontare. Molto sul filo dell'immediato, per il semplice fatto che questi quattro album sono usciti ad abbastanza stretto "giro di posta," con qualche comune elemento di meditazione. Buon ascolto.
Immagini di Antnony Barboza (Davis), Francesco Chiacchio/Valentino Griscioli (Tinissima), Alberto Bazzurro (Cigalini).
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