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Intervista a Massimo Barbiero

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Vanno fatte scelte, prima che musicali, di vita, altrimenti la musica che suonerai sarà solo la manifestazione della tua inconsistenza, e non importa con quante scale, settime diminuite e modulazioni la riempirai.
Nell'ambiente jazzistico si parla molto poco di Massimo Barbiero, malgrado la sua attività di percussionista e compositore abbia dato vita, in oltre venti anni di carriera, a due tra i progetti più intriganti e trasversali della Penisola, come Odwalla e Enten Eller, e una nutrita serie di collaborazioni e iniziative di vario genere.

L'uscita del primo lavoro in solo Nausicaa c'è sembrata l'occasione giusta per far luce sul suo pensiero musicale, e dare risalto a un musicista autentico e senza limiti creativi, né di stile né di forme espressive.

All About Jazz Italia: Nella vita di un musicista il lavoro in solo rappresenta un evento di straordinaria importanza, un punto di arrivo. Quando hai capito che era arrivata l'ora giusta per registrare Nausicaa?

Massimo Barbiero: Credo si sia trattato più che altro di una necessità quasi fisiologica, prima ancora che artistica. È avvenuto in modo naturale; ci sono momenti in cui hai delle cose da dire e bisognerebbe essere bravi a lasciarle uscire senza porsi troppi problemi d'ego, o in antitesi di modestia, e pensare che è musica, che sei tu e "ascoltarti" mentre suoni.

AAJ: Di quanta stima per le proprie capacità e di quanta presunzione necessita un lavoro del genere?

M.B.: Molta. Troppa direi. È stato un momento particolare della mia vita, prima ancora che di musicista, sempre che le due cose si possano separare. So di certo che molta critica l'avrebbe visto più che mai come un disco di ego di un batterista, e con l'avanguardia, a volte, puoi bluffare parecchio. In quel momento m'interessava suonare (come un solo di Jarrett, Taylor, Lacy) un'idea di lirismo, non sentivo nemmeno l'impedimento o il limite strumentale dei soli timbri.

AAJ: I brani che compongono l'album scorrono in maniera fluida, lineare. Avevi già in mente delle idee precise prima di metterti a lavoro oppure è nato tutto in maniera spontanea al momento?

M.B.: No, poche cose, ho anche scelto gli strumenti improvvisando. Avevo in mente un clima, dei colori; i suoni, probabilmente, sono dentro di noi, non sempre gli strumenti sono la chiave di ciò che suoniamo. Per intenderci, prima del pianoforte vengono i vari Evans, Monk e Jarrett.

AAJ: Hai volutamente lasciato da parte l'uso della marimba e del vibrafono. Perché questa scelta?

M.B.: Perché avrei suonato accordi, note, arpeggi. Qualcosa che avrebbe impedito quella "libertà" di cui avevo bisogno in quel momento. Un centro tonale, a volte, definisce un clima quasi più che i tuoi stessi sentimenti, non né sentivo il bisogno, anzi non lo volevo proprio. Così come non volevo fare un CD di creative music (tipo Oxley, Lovens, Lytton, Favre, che pur stimo), avevo in testa una cosa diversa che è andata definendosi via via che suonavo, ed è avvenuto tutto in un pomeriggio. Tra l'altro un mese dopo avrei dovuto registrare altri due CD, di cui uno di Odwalla (dove uso marimba e vibrafono) e non volevo che alcune situazioni potessero sembrare collegate. Odwalla è un progetto, vi sono composizioni, equilibri e scrittura dove si riconosce il mio modo di comporre. Qui volevo che non ci fossero reti, un salto nel vuoto, come For Alto di Antony Braxton, quello è il modello, almeno in senso filosofico, più vicino a questo lavoro.

AAJ: Come hai raggiunto l'ottenimento del risultato finale in termini di timbrica, di suono in generale? In fase di registrazione hai adottato degli accorgimenti particolari?

M.B.: No, non è stato fatto quasi nulla, il suono era già perfetto così, quelli sono i "miei suoni". Le solite cose di editing, ma niente di più. Le due o tre sovraincisioni sono state fatte in tempo reale il giorno della registrazione il 23 dicembre, poi l'ho ascoltato durante le feste di Natale e l'ho mixato il 4 gennaio. Ho solo suonato, con un senso d'abbandono quasi assoluto.

AAJ: Nausicaa avrà un seguito o è destinato a rimanere un episodio isolato?

M.B.: Fino alla registrazione pensavo a un episodio isolato, ma oggi comincio a credere che potrei sviluppare la mia concezione di solo, snodarne il filo. Non subito, serve il tempo per capire, capirsi, ma non vorrei scivolare su una retorica da Marzullo.

AAJ: C'è l'intenzione di portare Nausicaa dal vivo?

M.B.: C'era prima di inciderlo, doveva essere suonato in duo con una danzatrice, quindi essere complementare al movimento. Oggi penso che potrei anche farlo, ma dovrebbe essere contestualizzato in situazioni che possano "contenerlo," se capisci cosa intendo, dove ci sia la possibilità di essere ascoltati. Anche se continuo a pensare che andrebbe "danzato," vedremo.

AAJ: Oltre all'album in solo è di recente uscita il CD in quartetto con Maurizio Brunod, Claudio Cojaniz e Alexander Balanescu dal titolo Marmaduke. Ci parli delle caratteristiche di questo disco?

M.B.: A parte tre composizioni è stata una seduta di una sola giornata, di quasi totale improvvisazione, di musicisti che tra di loro non avevamo mai suonato. Eravamo tutti molto impressionati del risultato finale. Vi sono situazioni dove sembrerebbe tutto scritto, o almeno provato/organizzato, mentre, al contrario, non vi è una nota concordata. Sono quei rari momenti d'unità d'intenti che si sviluppano in modo naturale. Il confine tra jazz, ricerca, melodia, free o altro è indecifrabile.

AAJ: Nel booklet c'è una frase di Jean Paul Sartre(*) tratta da "Il diavolo e il buon Dio". Quali sono le tue affinità con il filosofo francese e quali le relazioni con la musica contenuta nel disco?

M.B.: L'esistenzialismo ha avuto nella mia formazione un ruolo fondamentale per molti motivi. La frase, rispetto alla musica, si può semplificare così: l'improvvisazione è una guerra da fare, a cui non puoi sottrarti anche quando sai che la perderai; vivere anche a dispetto della coscienza che il brano inizierà, si svilupperà e finirà e tu non potrai impedirlo. Il jazz (la musica in genere) non può essere rassicurante, non deve distrarre, l'arte deve portarci a pensare, nel caso contrario ha fallito la propria necessità. Il jazz da club, come sostiene anche Sonny Rollins, ormai è simile alla new-age, privo di anima e motivazioni politiche, sociali e filosofiche, serve ad accompagnare aperitivi e serate, distrarre e dare un tono d'impegno a chi ha un rapporto con la cultura di svago e non di crescita.

AAJ: Nel 2009 i tuoi progetti Enten Eller e Odwalla festeggiano, rispettivamente, ventidue e venti anni di attività, tra dischi, collaborazioni ed esibizioni dal vivo. Qual è il fattore fondamentale di queste storie musicali?

M.B.: I rapporti umani con i musicisti che fanno parte di questi progetti sono fondamentali, non credo altrimenti possa esserci musica. Al contrario di quello che piace pensare il jazz è un microcosmo di gente che vive d'invidie, frustrazioni e molta cattiveria. Aver costruito progetti dove la stima reciproca come uomini viene prima di tutto il resto è un motivo di orgoglio. Credo che ciò si percepisca dai CD, ai concerti. Certo, sei sempre un po' ai margini da quel jazz d'intrattenimento, da aperitivi che è un po' il manifesto dei tempi che viviamo, ma vanno fatte scelte, prima che musicali, di vita, altrimenti la musica che suonerai sarà solo la manifestazione della tua inconsistenza, e non importa con quante scale, settime diminuite e modulazioni la riempirai.

AAJ: Nella tua "cucina creativa" sembra che i fornelli siano sempre accesi. Cosa frigge in padella?

M.B.: Vorrei incidere un nuovo CD con Enten Eller, perché a volte penso che non abbiano ancora fatto nulla rispetto alle infinite possibilità che sono in grado di innescare. Poi, suonare con Odwalla. Siamo molto contenti dell'ultimo CD, in Medusa l'uso di steel drum, kora e tabla ha aperto il suono a colori e composizioni diverse. C'è molto da fare, speriamo che ci sia tempo per farlo e che questo clima di cultura di plastica cambi, che questi finti eventi culturali in mano a imbarazzanti soggetti finiscano. Il deambulare tra aperitivi confusi con cultura è avvilente, figuriamoci la politica. In tal senso concordo con quanto detto recentemente dal direttore di Musica Jazz Filippo Bianchi: «Il problema della destra è che, nel campo culturale, non ha persone, non ha quadri. Il problema della sinistra è che è convinta di averne». Speriamo in giorni migliori, in una musica migliore.

(*) Non temere, non cederò. Farò loro orrore, poiché non ho altro modo di amarli, darò loro degli ordini, poiché non ho altro modo di obbedire. Rimarrò solo, con questo cielo vuoto sopra la mia testa, poiché non ho altro modo di essere con tutti. C'è da fare questa guerra, e la farò.

Foto di Luca D'Agostino

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