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Intervista a Dino Rubino
ByNon riuscivo a scegliere cosa suonare, se piano o tromba, e pensare di portare avanti entrambi gli strumenti mi creava stress. Oggi vivo questa dualità in modo molto più sereno e riesco a trovare i giusti stimoli.
All About Jazz Italia: Di recente sei stato a suonare in Colombia. Una meta, jazzisticamente parlando, in po' insolita.
Dino Rubino: Quando sei mesi fa mi è stata comunicata la notizia di un lungo tour in Colombia e Venezuela ne fui subito entusiasta. E adesso che sono appena rientrato posso confermare che è stata una bellissima esperienza.
AAJ: In che modo è accolto il jazz italiano in quei paesi?
D.R.: Sono paesi in cui si respira uno spiccato senso della melodia e del ritmo, e quindi molto compatibili con il modo italiano di suonare jazz. Del resto, l'Italia è nota in tutto il mondo per il "bel canto". Siamo stati accolti benissimo sotto tutti i punti di vista, e ho capito che il detto "si stava meglio quando si stava peggio" non è poi così sbagliato.
AAJ: Di recente sono uscite diverse incisioni con Francesco Cafiso. Hai un legame molto forte con lui?
D.R.: Francesco è un ragazzo dotato di un talento speciale e l'incontro con lui è stato determinante per la mia crescita artistica e umana. Condividere il palco con una persona è un'esperienza molto intima e, specialmente quando capita di avere una collaborazione duratura nel tempo, assume sembianze analoghe a quelle di un rapporto di coppia. Suono con Francesco da cinque anni, diciamo che abbiamo raggiunto un ottimo equilibrio di "coppia".
AAJ: Entrambi siete molto giovani e avete ottenuto già una certa notorietà. Senti mai il peso delle aspettative?
D.R.: La parola "aspettativa" mette ansia al solo sentirsi. Quando si chiede a qualcuno se ha aspettative il 99% delle persone dice, e soprattutto pensa, cosa ancor più grave, di non averne. Ho incontrato pochissime persone in vita mia che credo non abbiano aspettative nei confronti del lavoro, delle persone, dei sentimenti e altro. Per quanto mi riguarda posso dirti che imparo sempre più a gestire le aspettative.
AAJ: Che rapporto hai con la critica musicale? Accetti con sportività i commenti negativi?
D.R.: Penso di avere un buon rapporto perché sono molto consapevole della musica che mi piace e quindi della direzione musicale che intendo percorrere. Se mi viene fatta una critica costruttiva mi fermo a riflettere altrimenti continuo per la mia strada con molta serenità.
AAJ: Sei mai stato in Africa?
D.R.: Non sono mai stato in Africa, ma è da sempre uno dei miei desideri e mi sono promesso di andarci quanto prima.
AAJ: Dove nasce l'esigenza di registrare un album che omaggia Miriam Makeba come Zenzi?
D.R.: Quando avevo quindici anni i miei modelli erano tutti musicisti, li imitavo e cercavo di rubare loro quanto più possibile. Oggi passati i trenta cerco di rubare da chi ha capito come vivere la vita in modo "saggio". Miriam Makeba è stata una di queste persone, e da questo è nata l'idea di tributargli un disco.
AAJ: I brani dell'album in che modo ricordano o omaggiano la figura della cantante africana?
D.R.: Ho composto questi brani basandomi soprattutto sulle sensazioni e sulle emozioni che la sua storia mi ha suscitato.
AAJ: Insieme a Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli avete preso in considerazione l'ipotesi di dare a questo disco una impronta totalmente world?
D.R.: Non saprei come definire la musica di questo disco. Credo che la cosa più vera sia il fatto che ci divertiva suonare quella musica e l'abbiamo fatto senza pensare se fosse world music, jazz o altro.
AAJ: "Mama Afrika" è probabilmente l'originale che maggiormete si allaccia alle sonorità africane. In che modo vi siete preparati per ottenere un sound così specifico?
D.R.: In studio abbiamo adoperato alcune percussioni particolari servendoci della sovraincisione, così siamo riusciti a ottenere più percussioni e ritmi intrecciati, cosa che dal vivo si potrebbe ottenere solo con tre o quattro percussionisti.
AAJ: Mentre "From Sicily" inizialmente descrive un paesaggio quasi privo di luce che poi si apre a una melodia cullante. Qual è il significato di questo brano?
D.R.: Ho chiamto il brano "From Sicily" perché ha a che fare con i miei trascorsi bandistici legati all'eta adolescenziale. Quando suonavo nelle varie processioni ricordo i volti delle persone, ricchi di speranza: in qualche modo questo brano vuole essere un messaggio di speranza, ciò che Miriam Makeba ha fatto per un'intera vita.
AAJ: Che punto di contatto hanno hanno la tua terra, la Sicilia, e l'Africa di Mirian Makeba?
D.R.: La centralità mediterranea della Sicilia ha fatto sì che Sicilia e Africa, poste una davanti all'altra nel "Mare Nostrum," fossero da sempre legate da interscambi culturali e commerciali. Penso che al di là di questo aspetto ci sia un legame più profondo: la sensazione di nostalgia che prova chi ha visitato questi posti e vuole tornarci, l'attaccamento alla propria terra, povera di lavoro e ricca di sole, odori, colori, sapori, caratterizzano sia siciliani che africani. Quest'estate ho ospitato due amici milanesi a casa mia, una piccola casetta situata ai piedi dell'Etna. Quando sono ripartiti per Milano mi parlavano di "mal di Sicilia". Questa cosa mi ha fatto sorridere e riflettere allo stesso tempo.
AAJ: Ci sono difficoltà legate al fatto di suonare sia il pianoforte che la tromba?
D.R.: Sì, dal punto di vista mentale.
AAJ: Come riesci a preparati per entrambi gli strumenti?
D.R.: Con il tempo ho trovato vari sistemi che mi consentono di avere un contatto giornaliero con entrambi gli strumenti. Ad esempio quando parto per fare dei concerti come pianista porto con me la tromba e quando mi trovo in albergo o in aeroporto ne approfitto per esercitarmi.
AAJ: Qual è il vantaggio d'avere questa versatilità?
D.R.: A parte quello di essere coinvolto in più progetti musicali, il vero vantaggio sta nell'avere un continuo stimolo mentale. All'inizio questa situazione mi ha creato molta confusione, non riuscivo a scegliere cosa suonare e pensare di portare avanti entrambi gli strumenti mi creava stress. Oggi vivo questa dualità in modo molto più sereno e riesco a trovare i giusti stimoli da ogni strumento divertendomi a mischiarli e giocarci.
AAJ: Non pensi che questo possa creare un po' di confusione e di diffidenza nei tuoi confronti da parte del pubblico? O credi che la doppia veste assuma agli occhi di chi ti guarda un pregio?
D.R.: Non so come viene visto ciò agli occhi del pubblico, ma avendo capito di avere questa necessità è un problema che non posso pormi.
AAJ: L'amore per la tromba nasce dall'ammirazione per Tom Harrell. Ci sono poi strati altri trombettisti che ti hanno in qualche modo segnato?
D.R.: Subito dopo Tom Harrell citerei Clifford Brown ed Enrico Rava, un'altra fortissima fonte di ispirazione. Comunque sono tanti altri i trombettisti che amo: Freddie Hubbard, il grandissimo e sottovalutato Kenny Dorham, Chet Baker, Miles Davis, Louis Armostrong e gli altri grandi. Uno dei trombettisti che mi piace tanto ascoltare oggi, e con cui ho la grandissima fortuna di collaborare, è Paolo Fresu.
AAJ: "Semina un'azione e avrai un comportamento, semina un comportamento ed avrai un'abitudine, semina un'abitudine ed avrai il destino" (antico proverbio orientale). Questa frase è contenuta all'interno di Zenzi. È una linea di condotta che intendi perseguire anche nel tuo modo di fare musica?
D.R.: È sicuramente qualcosa che ha a che fare anche con la musica, ma principalmente con la vita. Come diceva Antoine de Saint-Exupéry, nel pianeta del Piccolo Principe crescono i Boabab che sono delle erbe cattive, così con tanta disciplina tutte le mattine bisogna fare con cura la pulizia del pianteta affinché un comportamento diventi un'abitudine e un'abitudine possa diventare un destino.
AAJ: Che c'è scritto sull'agenda di Dino Rubino, oltre agli imminenti impegni promozionali?
D.R.: Continuare per la mia strada traendo ispirazione e forza dalle persone che ammiro di più, come Miriam Makeba.
Foto di Photoiama (le prime due), Giorgio Ricci (la terza), Danilo Codazzi (la quarta) e Roberto Cifarelli (la quinta).
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