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Helge Lien: dalla norvegia un pianoforte lirico e creativo

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Trentaduenne pianista norvegese molto attivo da anni, Helge Lien è musicista estremamente interessante che merita molta attenzione, sia per le sue qualità strumentali, sia per la notevole vena compositiva, sia infine per il coraggio che mostra nell’intraprendere progetti molto eterogenei - segno, quest’ultimo, di un’anima creativa curiosa e inquieta, come si compete ad un artista di razza.

Le diverse qualità di Lien emergono tutte quante dall’ascolto di questo poker di registrazioni assai diverse tra loro e che lo vedono alla guida di formazioni varie: in piano trio (due volte, ma su temi diversi e una volta in studio ed una dal vivo), in duo con il sassofonista Rolf-Erik Nystrøm; ancora in trio, ma senza ritmica e accompagnato da due fiati.

L’Helge Lien Trio è formazione ormai rodata, che ha all’attivo numerose registrazioni e che già nel 2003 ha concorso al Norwegian Grammy Awards. Accanto al leader sono impegnati il trentaseienne contrabbassista Frode Berg e il trentatreenne batterista Knut Aalefjær, entrambi molto interessanti. Il trio ha una struttura paritetica, risente delle influenze delle analoghe formazioni di Keith Jarrett o Bobo Stensson, e si muove con grande proprietà, naturalezza e originalità sia nell’ambito degli standard che in quello delle composizioni originali, spesso caratterizzate da rarefazione, uso dei silenzi, improvvisazione molto libera.

Helge Lien Trio

To the Little Radio

DIW Records

(2006)

Valutazione: 4 stelle

Il primo versante viene esplorato in To the Little Radio, registrato in studio per la giapponese DIW, nel quale sono in programma veri e propri standard come “Chelsea Bridge” di Billy Strayhorn, “So In Love” di Cole Porter e “Look for the Silver Lining” di Jerome Kern, ma anche classici del jazz moderno come “Ida Lupino” di Carla Bley, “Love Song” di Tony Williams e “Penelope” di Wayne Shorter. Una vera e propria perla è l’iniziale “Grandfathers Waltz” di Lasse Färnölf, lirica e malinconica, nella quale Lien mette in luce la sensibilità del suo tocco e la capacità di lavorare armonicamente nello sviluppo dei temi melodici. Vi trova spazio anche Berg, con un interessante assolo, mentre Aalefjær si limita ad un ruolo più defilato.

Il miracolo di sensibilità si ripete nella seconda traccia, una “Look for the Silver Lining” suonata con rara intensità e grande interplay; qui anche il lavoro percettivo di Aalefjær alla batteria va ascoltato con attenzione. Belle le aperture date al tema nel corso delle riesposizioni improvvisate.

Appena meno riuscite, ma sempre di ben alto livello, le altre tracce, tra le quali spicca il lavoro quasi sinfonico di Berg all’archetto in “Penelope”, la dialogica “So In Love” e la rarefatta e classicheggiante title track, che conclude un lavoro complessivamente notevole.

Helge Lien Trio

Live

Curling Legs

(2006)

Valutazione: 4 stelle

Analoga formazione, ma diverso contesto per il secondo CD dell’Helge Lien Trio, Live. E questo non solo e non tanto per l’esecuzione dal vivo, ma soprattutto per il programma, comprendente tutti brani originali, della penna del pianista, esclusa una elaborata rilettura del classico “Take Five” di Paul Desmond.

Qui è la bella scrittura di Lien ad andare in primo piano, con costruzioni sofisticate che prendono ispirazione, anche nelle modalità interpretative, fin dalla musica barocca, per poi virarla su atmosfere tipicamente nordiche - spazi dilatati, pause, libere e dissonanti improvvisazioni corali - come emerge subito dell’affascinante brano di apertura, “Putte”. In questo diverso ambito, ancor più partecipi alla costruzione delle strutture sono i due partner di Lien, anche se la registrazione non sembra rendere del tutto giustizia al suono del contrabbasso di Berg - comunque autore di una pregevole introduzione al secondo brano, “En Ganske Lite Runding”.

Il riferimento alla classicità barocca torna ancora in “Spiral Circle” (brano che titolava un precedente album del trio), che si avvia come un affascinante corale e si trasforma poi - inerpicandosi su note alte e prendendo fiato in pause riflessive - in un dialogo fra i tre, nel quale ha molta voce in capitolo il contrabbasso. L’intreccio dei suoni è mirabile, così come l’improvvisata esplorazione tematica condotta dal pianista, che dosa a meraviglia l’intensità della tastiera e apre spazi per l’inserimento delle altre voci.

Più prossima al free “De smà Bjormene”, che tuttavia si riallaccia anche al classicismo novencentesco, con passaggi reiterati ed espressionistici, mentre “Take Five” reinterpreta l’accattivante e ben noto tema su atmosfere più rarefatte di quanto ci si aspetterebbe conoscendo l’originale.

Un trio quindi davvero molto intrigante, che farebbe piacere vedere presto dal vivo in Italia, star system permettendo.

Tri O' Trang

Curling Legs

(2006)

Valutazione: 4 stelle

Altra musica quella del Tri O’ Trang, entro il quale anche il ruolo di Lien è giocoforza diverso. La cifra è qui quella di un’avanguardia molto libera (“Pley”, “Impro”), sebbene quasi sempre ancorata a temi chiari e che fungono da collante per le accelerazioni dei tre solisti e per la loro interazione improvvisata. Com’è naturale per il genere di formazione, la tuba o il trombone a pistoni di Lars Andreas Haug conduce la ritmica, i sassofoni e il clarinetto basso di Torben Snekkestad disegnano le linee in primo piano, Lien al pianoforte svolge un ruolo destabilizzante, usando pedali, celle minimali o libere improvvisazioni.

Non mancano momenti entusiasmanti, come in “Elvis”, di Snekkestad, notevole nel tema sviluppato dal sax e includente un bel duetto tra piano e tuba, o in “Domingo”, di Haug, lirica e sospesa, ma screziata dal suono della tuba, o ancora in Sangtilenutenmann”, di Lien, nella quale il pianista mostra ancora una volta la sua notevole capacità di attingere sia compositivamente che strumentisticamente alla musica classica del periodo barocco, in un modo però ben lungi dalla calligrafia citazionista.

Una menzione particolare merita l’uso del soprano da parte di Snekkestag: snello, espressivo e ricco di piccoli ma efficaci artifici, il sassofonista norvegese sembra aver sintetizzato molte delle lezioni dello strumento in modo personale e creativo. Se ne possono gustare a pieno i risultati specialmente in “Slappazappa”, ove Snekkestad ricorda spesso nel timbro e nelle forme improvvisative uno dei più negletti sopranisti in attività, Marty Ehrlich.

Un lavoro di chiaro stampo nordico, ricco di spunti contemporanei, ma con i piedi bien piantati nella ritmicità della tradizione afroamericana.

Hero

Prøysen

NRK

(2004)

Valutazione: 4 stelle

L’ultimo lavoro, Prøysen, vede di scena Hero, ovvero il duo di Helge Lien e del sassofonista Rolf-Erik Nystrøm (che, per una curiosa combinazione, sono nati lo stesso giorno, così come i loro rispettivi padri). Il CD nasce da un progetto di sonorizzazione di un documentario televisivo, ma va riconosciuto che è del tutto esente dai tipici difetti cui vanno incontro operazioni di questo genere.

Il lavoro è quasi interamente improvvisato ed è molto lirico; i due si scambiano costantemente le parti, suonando in controcanto, oppure variando i temi mentre l’altro li esegue in forma estesa, ma anche creando scoppiettanti invenzioni che trasfigurano il clima da camera e lo screziano di improvvisazioni inattese, tecnicamente pregevoli ed espressivamente toccanti.

Sarà il lirismo, sarà il carattere decisamente cameristico o la carenza ritmica, ma qui certo le atmosfere muovono un po’ lontano dal jazz; senza però che ciò vada a discapito della qualità, che anche in questo caso è a momenti decisamente molto alta. Spiccano ancora una volta le composizioni di Lien (“Sig rapser”, la barocca “Heme” e soprattutto l’incantevole “Saras Song”, che da sola vale il disco), oltre alcuni momenti riuscitissimi di interazione improvvisativa, come la splendida “Johannes”.

Una volta di più, uno splendido lavoro, che testimonia il valore eccezionale e l’estrema ecletticità di questo giovane e da noi misconosciuto pianista. Qualcuno si muoverà per portarlo sui nostri palcoscenici?

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