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Hatzel e David Krakauer Acoustic Klezmer Quartet al Firenze Jazz Festival

Hatzel e David Krakauer Acoustic Klezmer Quartet al Firenze Jazz Festival

Courtesy Alessandro Botticelli

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Hatzel / David Krakauer Acoustic Klezmer Quartet
Giardino di Villa Bardini
Firenze Jazz Festival 2025
Firenze
7.9.2025

All'interno di un'edizione del Firenze Jazz Festival decisamente variopinta, spiccava per qualità e —visti i tempi tristi —anche coraggio la "serata klezmer" proposta domenica 7 settembre 2025. Collocata nel maestoso scenario del Giardino di Villa Bardini, che domina tutta la città, vedeva di scena, uno dopo l'altra, due notevolissime formazioni: la prima, italiana, era il quintetto Hatzel—L'ombra, nella quale quattro tra i migliori jazzisti italiani accompagnavano il cantante e flautista ebraico Enrico Fink; la seconda era invece l'Acustic Klezmer Quartet dello straordinario clarinettista David Krakauer, da quarant'anni figura di spicco della musica klezmer, già membro dei mitici Kletzmatics.

Hatzel nasce dal progetto di recuperare e reinterpretare anche liberamente la tradizione ebraica italiana, in particolare quella della comunità della città di Ferrara. Accanto a Fink, apprezzatissimo cantante, attore e anche scrittore, tra i maggiori interpreti di quella tradizione, vi figurano il clarinettista e sassofonista Gabriele Coen, anch'egli ormai da anni impegnato nella rilettura della tradizione ebraica (ha all'attivo due album per la prestigiosa etichetta Tzadik di John Zorn), l'altro sassofonista e clarinettista Francesco Bigoni e il pianista Alfonso Santimone, entrambi ferraresi (anche se il primo ormai da tempo vive in Danimarca) e il batterista Zeno De Rossi, legato agli altri due da una lunga militanza nel collettivo El Gallo Rojo, all'interno del quale in passato avevano avuto numerose occasioni di dedicarsi alla musica ebraica.

Il programma della serata prevedeva brani tradizionali, dei quali Fink ha fornito con un certo dettaglio informazioni storiche e spiegato il significato sia semantico, sia simbolico, e alcuni brani scritti per l'occasione —da Santimone, Coen, De Rossi. Ma la caratteristica peculiare della formazione è il virtuoso accostamento di tradizione e innovazione, scrittura e improvvisazione: sebbene i brani fossero non solo tutti rigorosamente scritti, ma anche costruiti tutto sommato in forma canzone e in gran parte includenti una —importantissima—parte vocale, la quasi totalità avevano arrangiamenti apertissimi, che ne stravolgevano le armonie favorendo ampi spazi per l'improvvisazione. Spazi sfruttati in modo formidabile da Coen —veramente straordinario un suo solo al sax soprano —, da Bigoni —che in questo contesto svettava soprattutto al clarinetto —ma anche da Santimone, musicista raffinatissimo che ha meno fama di quanto meriti e che è sempre un piacere ascoltare al pianoforte. Se De Rossi era come al solito puntualissimo nelle sottilineature, Fink svolgeva eccellentemente la propria parte "tradizionale," risultando in qualche modo il punto fermo attorno a cui ruotava una musica che fondeva l'ebraismo con Ornette e Paul Bley, per un concerto splendido e indimenticabile. La buona notizia per chi non c'era è che la formazione il giorno successivo era in sala di registrazione: l'anno prossimo, pertanto, avremo la fortuna di ascoltarla su disco.

Dopo una breve pausa è subentrato il quartetto di Krakauer, composto da stelle assolute: accanto lui c'erano infatti Will Holshouser alla fisarmonica, Jerome Harris al basso elettrico e Michael Sarin alla batteria. Presenze che si sono fatte sentire in un concerto comunque dominato dal leader, che ha eseguito una lunga serie di classici klezmer e brani di sua composizione, con un'intensità strabordante: grande volume di suono, fraseggi a velocità impressionante, inusitata espressività corporea, il tutto accompagnato da un grande entusiasmo, che passava anche dalle comunicazioni con il pubblico —come Fink, anche lui ha offerto molte spiegazioni sulla musica che stava suonando. Con un personaggio di tale statura, solo grandi artisti potevano tenere il passo; così, Harris —uno dei massimi interpreti del basso elettrico, musicalissimo e dalla cavata particolare —ha sempre fatto sentire la sua presenza accanto a Krakauer, così come Sarin, anch'egli navigato interprete della batteria e dotato di una grande varietà di stilemi. Discorso a parte per Holshouer, per chi scrive una piacevole sorpresa, ma in realtà con oltre trent'anni di carriera e collaboratore di musicisti di tutto rispetto (da Regina Carter a Uri Caine, da Michael Moore e Han Bennink a Ron Horton): il fisarmonicista ha esibito uno stile tutto suo, eclettico e ben radicato nell'improvvisazione, cosicché i suoi soli si alternavano spesso —dandogli pausa... —a quelli di Krakauer. La musica, ça va sans dire, era bellissima, anche se inevitabilmente un po' ripetitiva —ma a risolvere questo problema pensava la sua intensità, tant'è che il pubblico festoso ha richiesto almeno tre bis, che Krakauer ha concesso con personale gioia.

Difficile, e forse anche un po' futile, dire quale dei due concerti fosse il migliore: nonostante il comune "cuore," il materiale tematico di partenza proveniente dalla stessa tradizione, gli arrangiamenti e le modalità esecutive erano a tal punto diverse da rendere difficile il confronto. Chi scrive, pur amando il klezmer anche nelle sue forme più rigorose, ha forse apprezzato di più Hatzel, per l'innovatività e la commistione di generi; ma certo un concerto come quello di Krakauer non può essere derubricato a seconda scelta: troppo intenso e troppo gigantesca la bravura degli interpreti. Complessivamente, dunque, una grande serata di musica e di festa, a dispetto del dramma che si stava (e si sta tuttora) consumando tra Israele e Gaza, come non hanno mancato di ricordare sia Fink, sia Krakauer. Perché, ricordiamolo sempre, non tutti gli ebrei sono supini a quel che sta facendo il governo israeliano.

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