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Gregory Porter: suono e visione

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Più una storia è personale, più diventa universale e più persone riesce a coinvolgere. In un certo senso più un'esperienza è specifica più è universale, perché chi ascolta capisce di provare le stesse sensazioni
Intervista di G.P.: Ho un debole per il cantato, ma ha fatto anche ottimi pezzi strumentali: il disco After Midnight (1957, Capitol) è davvero incredibile.

AAJ: Quando sei da solo e nessuno ti può sentire, e magari è stata una pessima giornata, cosa canti per tirarti su di morale?

G.P.: Ti sembrerà strano, ma ti rispondo il Blues. Prima che fosse inciso, il Blues veniva usato come una sorta di medicina dell'anima. E anche se canti di cose tristi, questo può fungere da purificazione emozionale. Se sono triste, non devo mica andare in giro cantando [canta] "Oh, che bella giornata!" In un certo senso, sarebbe ipocrita. A volte canto in sintonia con ciò che sento. E arrivo al punto di raccogliere le mie emozioni perché so che possono nascondere qualcosa di profondo e interessante.

Oppure il Gospel, che mia madre era solita cantare, come anche sua madre. E per me è un modo di ritrovare un equilibrio. Prendevano un frammento di Gospel e ci cantavano su tutto il giorno. A me bastano pochi minuti per sentirmi bene.

AAJ: Ascoltando Be Good viene in mente Lou Rawls, un cantante che ha cominciato con il Jazz ma che ha lasciato interpretazioni importanti cantando R&B. Sei d'accordo?

G.P.: L'ho ascoltato molto da giovane, ma tendo a dimenticarlo quando parlo di chi mi ha influenzato. So che da piccolo cantava il Gospel, e quella è una cosa che arricchisce il tuo modo di cantare. Mia madre era di Shreveport, Louisiana, e quindi ho subito l'influsso del Sud. Assolutamente, avevo molti dischi di Lou Rawls e li ho ascoltati parecchio. Anche Harold Mabern una volta mi ha detto: "Sai, vorrei che Lou Rawls fosse qui. Salterebbe sul palco ad esibirti con te."

AAJ: Il tuo modo di cantare è diverso dal suo, ma la tua musica è vera, come lo era la sua. E Bill Withers, lo ascoltavi da giovane?

G.P.: Assolutamente—il suo album 'Justments (Reel Music, 1974). Si sentiva che il suo modo di comporre e il suo approccio alla musica erano legati al suo modo di vivere. La sua era una musica viva, che cresceva e si sviluppava da lui. La musica, l'arte, le parole di mia madre, dei miei fratelli e delle mie sorelle— si mescolano a formare il quadro nel quale si sviluppa la mia musica. Certo, ci sono Lou Rawls, Nat King Cole, Mahalia Jackson e Marvin Gaye, ma c'è anche mia madre.

Credo che se la musica ti arriva da qualcuno, la cosa più bella che puoi fare è farla tua. La musica è un carisma individuale—un carisma musicale che deve avere un punto di vista individuale: non si tratta di narcisismo, ma se davanti a quel microfono ci sei tu, allora si deve sentire la tua musica. Si deve sentire la tua impronta. E la tua impronta ha la forma di tutte le cose che hai vissuto e che hai ascoltato, quelle che hanno importanza quando offri la tua musica. Io sono il prodotto di quello che ho ascoltato—sono mia madre e, per quanto poco, mio padre.

AAJ: Che consiglio daresti a un giovane che voglia intraprendere seriamente la carriera di cantante?

G.P.: Molti cercano di modificare la propria voce per cantare come qualcun altro. Quando parlo con altri cantanti o quando mi capita di dare delle lezioni di canto, li incoraggio a parlare prima di cantare: parlare normalmente per poi elongare le parole. Spesso la voce si trasforma, diventa melodica, mano a mano che il dialogo si fa animato. Quindi cerco di fargli estendere la conversazione per renderla melodica e vedere come va a finire. Cos'è questa voce? Estendi quel sussurro—come ti sembra, adesso? E all'improvviso scoprono di possedere una voce meravigliosa che non usavano perché cercavano di cantare come Beyoncé.... Ma solo Beyoncé canta come Beyoncé.

Guardati dentro e trova il tuo modo di cantare, che è unico. Tanto prima o poi ci arriverai, perché cercare di cantare come qualcun altro alla lunga finisce per rovinarti la voce. Cos'è che ti rende unico? Con che musica è cresciuta tua madre, che musica ti ha fatto ascoltare? Ritrovi quei suoni nella tua musica? Io cerco semplicemente di far riflettere le persone, di farle concentrare su se stesse.

Discografia Selezionata

Gregory Porter, Be Good (Motéma, 2012)

Gregory Porter, Water (Motéma, 2010)

Hubert Laws, Hubert Laws Remembers the Unforgettable Nat King Cole (RKO/Unique Records, 1998)

Foto di: Vincent Soyez (la prima), Brian O'Connor (la seconda), Dave Kaufman (la quarta). Tutte le altre sono pubblicate per gentile concessione di Gregory Porter.

Traduzione di Stefano Commodaro

Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz

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