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Graham Collier, compositore di mosaici
ByL'esplorazione della "terra di nessuno" tra scrittura e improvvisazione è una costante di tutti i suoi lavori come compositore
Nelle vesti di contrabbassista, compositore, bandleader, docente, divulgatore, discografico, critico e giornalista Collier ha lasciato sempre la sua impronta anticonformista e positivamente polemica: dai suoi diciannove dischi agli otto libri, passando per la straordinaria avventura professionale e umana di direttore artistico per 12 anni dei corsi di jazz alla Royal Academy of Music di Londra. La sua missione di vita? Spaziare tra la linea invisibile che separa e, allo stesso tempo, incrocia scrittura e improvvisazione: il cosiddetto "terzo colore," parafrasando il titolo di un suo lavoro del 1997 intitolato The Third Colour e che appunto si ispirava al concetto di linea nella pittura astratta. Una ricerca che, grazie al contributo di solisti straordinari, ha compiuto con coraggio elaborando suite dove il confine tra struttura e forme libere apparentemente non esiste. Paesaggi sonori, spesso contraddistinti da un continuum ritmico, dove emergono improvvise memorie musicali, tracce di folklore, brandelli di melodie. Veri e propri mosaici musicali.
Un ennesimo saggio di questa arte Collier l'aveva dato anche recentemente in Directing 14 Jackson Pollocks, doppio CD pubblicato nel 2009, che contiene probabilmente il suo lavoro più astratto e visionario. Un degno complemento musicale al saggio The Jazz Composer, Moving music Off the Paper Composer, uscito sempre nel 2009, che potremmo definire il suo testamento artistico. Quest'ultima fatica l'aveva portato nello stesso anno anche in Italia e precisamente al ParmaJazz Frontiere Festival diretto da Roberto Bonati. Lì dopo un workshop durato tre giorni sull'improvvisazione mise finalmente mano alla bacchetta per dirigere i giovani musicisti dell'Ensemble Jazz del Conservatorio "A. Boito". Il risultato fu un concerto denso di pathos, carico di colori e tessiture ritmiche. Uno degli ultimi e più struggenti manifesti del suo eclettismo tra cori, chitarre elettriche, assoli vertiginosi, clapping e, come tradizione, tanta voglia di inventare/improvvisare qualcosa di diverso e di memorabile.
Collier nasce nel 1937 a Tynemouth, nel nord dell'Inghilterra e a 16 anni entra nell'esercito, precisamente nella banda del reggimento dei Green Howards dove impara a suonare prima la tromba per poi specializzarsi definitivamente in contrabbasso, apprendendo anche i primi rudimenti di composizione. Anche per Collier come per tanti suoi colleghi musicisti d'oltremanica che innovarono il jazz europeo, come Ian Carr, Trevor Watts, Bob Downes, John Stevens e altri, l'esercito rappresenta la prima palestra d'ardimento. Ancora sotto le armi Collier si candida a una borsa di studio messa in palio dalla rivista specializzata DownBeat: la vince, si congeda e parte per gli Stati Uniti. Destinazione Boston e precisamente le aule del Berklee College of Music dove studia composizione alla corte del trombettista Herb Pomeroy. Nel 1963, è il primo inglese a "laurearsi" ai corsi jazz del prestigiosa scuola nordamericana. Non mancano anche i primi concerti, suona con diversi jazzisti americani e va in tour con la ghost band di Jimmy Dorsey. Rientrato a Londra, mette in piedi il suo primo gruppo e comincia a lavorare su temi originali e a quella che diventerà quasi una vera ossessione e cioè la ricerca di una sintesi perfetta tra scrittura e improvvisazione. Se infatti c'è una peculiarità che distingue Collier da altri compositori inglesi a lui contemporanei come Neil Ardley, Mike Westbrook, Michael Garrick, Michael Gibbs o Keith Tippett è proprio questa. Collier non è infatti interessato a ibridare il jazz ai ritmi rock o a sperimentare binomi allora molto in voga come poesia e jazz o teatro e jazz, ma ad espandere le possibilità della scrittura jazzistica per piccoli e grandi ensemble.
Nel 1967 il suo primo lavoro discografico, Deep Dark Blue Center su Deram: sebbene ancora influenzato dalle "lezioni americane," si tratta di uno dei primi sussulti d'indipendenza del jazz inglese insieme a Under Milk Wood di Stan Tracey, uscito appena due anni prima. Nel 1968 Collier è il primo jazzista a ottenere un grant dall'Arts Council britannico per scrivere una composizione, Workpoints, che verrà pubblicata solo nel 2005 dall'americana Cuneiform insieme ad altre rarità e inediti del compositore.
In quel periodo Collier rafforza il rapporto di collaborazione con alcuni musicisti che condivideranno in pieno la sua filosofia, primo fra tutti il trombettista di origine caraibica Harry Beckett, musicista d'immenso talento ed eleganza scomparso nel 2010. Beckett, grande improvvisatore, diventa la "musa" di Collier: un sodalizio iniziato nel 1961 e che durerà per quasi vent'anni. Oltre a Beckett, ci sono anche Phil Lee, chitarrista dal tocco fluido e graziato, Karl Jenkins, virtuoso dell'oboe, e il batterista John Marshall. Questi, insieme al sassofonista Stan Sulzmann e al trombonista Nick Evans, formano la band di Down Another Road del 1969, un album che segna un ulteriore punto di snodo della carriera di Collier con composizioni come "Aberdeen Angus" o "The Barley Mow," che entrano di diritto tra i classici di quel periodo. L'iterazione tra composizione formale e forme libere prosegue nei lavori successivi: Songs for My Father (1970), Mosaics (1971), Portraits (1973) e Darius (1974). Collier passa progressivamente da brani separati a vere e proprie suite che si dipanano da frammenti di temi e che sono costruite per offrire al solista piena libertà di espressione.
Muta nel frattempo anche la "ragione sociale": da Songs for My Father in poi gli album sono tutti firmati Graham Collier Music. Darius esce su Mosaic, label indipendente fondata nel 1974 dallo stesso Collier (un fenomeno allora abbastanza comune nel British Jazz, pensiamo all'Openiam di Bob Downes o alla Incus di Derek Bailey ed Evan Parker) che si mette a produrre lavori di musicisti vicini al suo mondo musicale come quelli del tastierista Roger Dean e dei suoi Lysis e del duo Tony Hymas-Stan Sulzmann, autori di uno straordinario album di nome Krark purtroppo oggi introvabile. Parallelamente Collier sviluppa una spiccata attenzione verso la saggistica e la didattica: nel 1973 esce il suo primo libro, Inside Jazz, e nel 1977 pubblica un libro di testo sull'insegnamento della musica jazz pubblicato dalla Cambridge University Press e oggetto di numerose ristampe e traduzioni. Nello stesso anno esce Symphony of Scorpions, ultimo album in cui Collier appare in veste di contrabbassista. In seguito rinuncerà allo strumento per dedicarsi interamente alla direzione, privilegiando, allo stesso tempo, ensemble sempre più numerosi. Continua, intanto, a circondarsi di nuove generazioni di musicisti e nella metà degli anni Ottanta grazie al successo di una reharsal band battezzata Loose Tubes, che poteva arrivare fino a 21 elementi, diventa, forse suo malgrado, il fulcro di una new wave jazzistica. Nei Loose Tubes figurano talenti del calibro di Django Bates e Ian Ballamy che riportano la Londra jazzistica all'onore delle cronache della stampa specializzata internazionale. Nel 1986, diventa responsabile della "facoltà" di jazz della Royal Academy of Music e contribuisce a fondare l'associazione internazionale delle scuole di jazz, diventando anche il coordinatore del suo giornale, Jazz Changes.
Sempre negli anni Ottanta, attiva corsi jazz al Sibelius Institute di Helsinki. Nel 1999, esce ufficialmente di scena dal mondo dell'insegnamento, ma non smette di lavorare a nuove composizioni e a girare letteralmente il mondo per workshop e conferenze. Negli anni Novanta, su commissione della BBC per il London Jazz Festival raccoglie una big band che, sotto il nome di Jazz Ensemble, firma due albums, piuttosto acclamati dalla critica britannica: Charles River Fragments e The Third Colour. Un'altra commissione importante che gli offre la chance di rivedere i lavori degli anni Sessanta e Settanta è Forty Years On: composizione presentata sempre al London Jazz Festival, edizione 2004. Lo stesso anno è anche la volta di The Vonetta Factor, suite composta per Birmingham Jazz. Nel frattempo Collier non vive più in Inghilterra. Insieme al suo compagno, lo scrittore e giornalista John Gill, si trasferisce prima nel sud della Spagna, a Ronda, e dal 2006 a Skopelos, isola dell'arcipelago greco delle Sporadi. Sul sito del compositore, www.jazzcontinuum.com, si possono leggere ricordi, tributi e messaggi d'affetto da tutto il mondo. E anche le prossime iniziative discografiche: un nuovo doppio della BGO che raccoglie due importanti lavori di Collier completamente rimasterizzati, Symphony of the Scorpions (1977) e The Day of the Dead (1978), verrà pubblicato questo ottobre ed, entro l'anno prossimo, la Undercorrents Recordings darà alle stampe un concerto di Collier dello scorso febbraio a Halifax in Canada (si parla anche di una versione in DVD). Non si esclude anche la pubblicazione di una versione alternate di Workpoints, ritrovata casualmente da un fan australiano del compositore, e di cui Collier era particolarmente fiero. È proprio il caso di dire, come suggerisce lo stesso John Gill, "the music lives on".
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