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Giora Feidman a Bologna

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Chiesa di Santa Cristina - Bologna - 09.02.2011

A volte capita che rassegne di musica classica o contemporanea permettano di ascoltare protagonisti del jazz, o vicini al jazz, che ben raramente vengono invitati dalle manifestazioni jazzistiche. È il caso di "Contrasti - il clarinetto da Mozart al jazz," che nell'ex chiesa di Santa Cristina a Bologna il 9 febbraio ha ospitato il grande Giora Feidman affiancato dal The Gershwin String Quartet. La rassegna si concluderà il 13 aprile con il collaudato duo Enrico Pieranunzi - Bill Smith.

Infinita o quasi la varietà di contenuti, umori, accenti toccata dall'arte ebraica: gioia, malinconia, autocommiserazione, ironia, meditazione spirituale, argomentazione sottile, declamazione austera e perentoria, danza frastornante... Queste diverse anime, che caratterizzano in particolare il mondo del klezmer, sono emerse in piena evidenza nella musica proposta da Feidman e dal quartetto d'archi.

Per stilare una mirata antologia del klezmer essi si sono rivolti ovviamente a capisaldi della tradizione ebraica sia sacra che profana ("Melodia per il Shabbat," "Die goldene Khassene" e "Happy Nigun") ed anche a composizioni di alcuni specifici autori del Novecento: Peter Breiner, Gil Aldema, Ora Bat Chaim, Boris Pigovat...

Giora Feidman, settantacinque anni a marzo, argentino ma residente in Germania, utilizza fra l'altro gli italianissimi bocchini in cristallo Pomarcio. Nel concerto bolognese ha esibito un vasto repertorio di accorgimenti tecnico-espressivi: note lunghe e sostenute, un vibrato forbito, un incantevole pianissimo, enfasi sentimentali, screziati arabeschi, impennate feroci e ribalde, squittii e robusti ispessimenti... Indimenticabile anche la sonorità piena e morbidissima da lui ottenuta al clarinetto basso. Certo la sua tecnica smaliziata non si è mai dimostrata fine a se stessa, mai gratuitamente effettistica, ma, attualizzando una tradizione culturale di secoli, è sempre stata finalizzata a tradurre, a rendere palpabili con un'interpretazione vivificante i contenuti e gli obiettivi sempre diversi dei testi e delle composizioni.

Oltre a sostenere con efficacia il clarinetto di Feidman, The Gershwin String Quartet ha eseguito anche un paio di brani in solitudine: "Kalaniyat" di Moshe Vilensky e "Three Miniatures" di Sulkan Tsintsadze. Pur nell'intreccio vincolante della scrittura e secondo i vari ruoli sostenuti all'interno del gruppo, anche la loro pronuncia, in particolare quella del primo violino Michel Gershwin, ha racchiuso i vari aspetti di un ebraismo che riesce a fondere una matrice colta e ieratica ed una focosamente popolare.

Ma nel programma della serata non sono mancate le digressioni rispetto alla centralità del klezmer, affrontate con uguale pertinenza e partecipazione: un paio di brani di Piazzolla recuperati nel bis, fra cui l'immancabile "Libertango," e una singolare "Ave Maria" di Schubert, interpretata dal clarinettista con un pianissimo quasi impercettibile, con trepidante, interiorizzata vibrazione. Come a voler dimostrare che anche un canto sacro arcinoto della tradizione classica europea può essere tradotto in una pronuncia tipica dell'espressività ebraica... Esattamente come ha fatto spesso il jazz in un secolo di vita! Non si è forse impegnato a reinterpretare un'infinità di temi della musica classica e popolare di varie origini, dal "Lamento di Arianna" di Monteverdi a "O sole mio," trasformandoli in qualcosa di diverso e autonomo pur rispettandone lo spirito originario?

Foto di Wolfgang Grabher (la seconda).

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