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Gianluca Renzi

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Nel panorama italiano Gianluca Renzi si colloca tra i giovani musicisti che meritano una particolare attenzione per la spiccata personalita', la completezza della preparazione, il rigore che contraddistingue le sue scelte. Ha affrontato da giovanissimo la pratica del basso elettrico per poi arrivare al diploma in contrabbasso e iniziare una serie di collaborazioni con musicisti di levatura internazionale, come Enrico Pieranunzi, Stefano Battaglia, Gianni Basso, Barney McAll, Mike Melillo, Orrin Evans e Steve Grossman. Oggi, non ancora trentenne, inizia a cogliere i frutti del suo lavoro ed a godere di ottima reputazione non solo in campo nazionale.

Accanto al suo apprezzato lavoro in sezione ritmica, spicca l'attivita' dei suoi sestetti, con i quali il musicista si e' fatto apprezzare per la lucidita' e la chiarezza di idee. Con un primo organico ha pubblicato nel 2003 l'album Looking for the Right Line per l'etichetta Wide Sound. Da poco, con una formazione in buona parte rinnovata, che comprende i sassofonisti Daniele Tittarelli e Jerry Popolo, il trombonista Raffaele Carotenuto, il pianista Pietro Lussu e il batterista Roberto Desiderio, Renzi sta licenziando il secondo album, intitolato Don't Stop Your Mind, che rappresenta un altro passo avanti nel suo originale percorso, un'ulteriore focalizzazione della sua idea di gruppo musicale.

Il materiale scritto da Renzi per il sestetto poggia su basi solide, affonda in una tradizione afroamericana che si potrebbe identificare con il fermento creativo legato all'etichetta Blue Note negli anni Sessanta. Vista la predilezione per i metri composti e per l'accostamento multitematico, i riferimenti a cui il contrabbassista si volge sono senza dubbio quelli di altri grandi solisti e leader del suo stesso strumento, in particolare Charles Mingus e Dave Holland. Grandi maestri, modelli altisonanti, che Renzi affronta pero' con grande umilta' e senza pretenziosita' di sorta. Seguendo con caparbieta' la propria ispirazione e la propria idea di jazz.

All About Jazz: come ti sei avvicinato alla musica e in particolare come ti sei appassionato al jazz?

Gianluca Renzi: E' stato un percorso iniziato da piccolo. Avevo pochi anni quando suonavo la fisarmonica di mio padre, appassionato di musica popolare. Suonavo qualsiasi cosa ascoltassi in radio e in tv, era una cosa naturale. Poi passai alla chitarra elettrica suonando musica pop ed infine al basso elettrico. Per un periodo (avevo circa quattordici anni) cantavo e suonavo il basso in una band di giovani musicisti che si esibiva nelle piazze durante l'estate. Poi, spinto da un amico sassofonista, ho iniziato ad ascoltare e studiare il jazz, arrivando finalmente al contrabbasso, alla musica classica e alla scrittura.

AAJ: Quali sono stati i tuoi primi modelli sul contrabbasso? E in campo piu' ampio?

GR: Uno dei primi bassisti che ho ascoltato e' stato Miroslav Vitous sul disco Now He Sings, Now He Sobs di Chick Corea: sono rimasto folgorato! Il suo time e la sua freschezza solistica mi hanno davvero influenzato. Con il tempo sono tornato indietro passando per Ron Carter, Ray Brown, fino a Oscar Pettiford e Paul Chambers. Tra i bassisti attuali sono molto affascinato dallo stile di Dave Holland e John Patitucci. Per quanto riguarda il resto, la grande orchestra e' stata sempre una passione. Ho suonato sin dai primi tempi in varie big band e grazie al maestro Gerardo Iacoucci ho imparato a conoscere le tecniche e gli stili di scrittura che mi hanno stimolato per la nascita del mio sestetto.

AAJ: Quali doti deve avere secondo te un contrabbassista?

GR: Bella domanda... Dovrebbe avere le doti di qualsiasi strumentista, in fondo e' un musicista, no?

A parte gli scherzi... la componente ritmica e' fondamentale e la capacita' di creare linee efficaci ed interessanti e' una qualita' che migliora col tempo. Penso che il livello tecnico strumentale attuale permetta al basso di conquistare una fetta in piu' nell'ambito solistico, fermo restando il ruolo che comunque (e volentieri) deve assolvere nel sostegno dei solisti e della musica. Avendo una mia band e suonando la mia musica, mi rendo sempre piu' conto di come il ruolo di accompagnatore sia delicato e molto impegnativo.

AAJ: Nei tuoi primi dischi come leader mostri particolare attenzione nei confronti dell'orchestrazione. A questo proposito hai gia' ricordato il maestro Iacoucci. Come hai sviluppato in seguito questa abilita' e a quali musicisti ti ispiri nel campo dell'arrangiamento?

GR: Penso che sia un'attenzione nei confronti della musica. Ogni mio brano rappresenta per me un momento di vita o di ricerca. L'orchestrazione messa al servizio dei contenuti evidenzia tutto quello che deve essere notato o percepito. Definirei l'orchestrazione come un bel vestito che lascia trasparire quello che serve mostrando il meglio di chi lo indossa. Ascoltando maestri come Duke Ellington, Quincy Jones o Bob Brookmeyer, fino ad arrivare ai Jazz Messangers, si possono ascoltare varie soluzioni armoniche e timbriche, sebbene poi cercare le proprie soluzioni e' la via migliore, anche per una crescita musicale.

AAJ: Tra le altre caratteristiche della tua scrittura c'e' la propensione a usare metri diversi e schemi asimmetrici. Anche in questo caso c'e' una matrice a cui ti rifai?

GR: Sicuramente tutta la musica moderna e' intrisa di certe caratteristiche ritmiche. I tempi dispari in particolare, creano una tensione ritmica notevole, pur mantenendo un certo groove. La musica di Dave Holland, per esempio, e' una grande fonte da cui attingere certe idee. Il segreto, per quanto mi riguarda, e' quello di mantenere un "canale" collegato con l'ascoltatore, in modo che ci sia una traccia da seguire durante lo scorrere del brano. L'elemento melodico in questo caso e' fondamentale, diventa un personaggio capace di portare l'ascoltatore all'interno di una forma diversa dal convenzionale.

AAJ: Mi sembra che nel tuo modo di comporre ci sia molta musica degli anni Sessanta, in particolare Andrew Hill, Herbie Hancock, Booker Little, Bobby Hutcherson, Jackie McLean. Tieni d'occhio esplicitamente alcuni di questi artisti?

GR: Sicuramente la musica di Hancock e Shorter ha una notevole influenza sul mio modo di scrivere. In particolare l'approccio alle linee melodiche e la varieta' delle forme. Mi piace la musica che trasfigura elementi del passato, creando nuove forme e nuovi usi degli stessi.

AAJ: Dice Auguste Rodin che un'opera d'arte deve avere un carattere e la tua musica ha senza dubbio un carattere: tu come lo definiresti?

GR: Non saprei, spesso i miei brani sono molto diversi fra loro, non hanno una fonte ispiratrice comune, ma hanno sicuramente un matrice comune, la decisione. Di solito quando scrivo e suono qualcosa ne sono molto convinto, so esattamente cosa voglio ottenere.

AAJ: Nel tuo sestetto c'e' una bella coesione: come organizzi il tuo lavoro di leader? Cosa chiedi ai musicisti che suonano con te e come cerchi di valorizzarli?

GR: Per fortuna... Penso che la coesione e il suono "di gruppo" siano fondamentali. Il lavoro da leader non e' un lavoro, e' un grande divertimento, soprattutto quando c'e' un rapporto di stima con i musicisti che fanno parte della tua band. Di solito arrivo con i brani gia' pronti e pensati per i solisti del gruppo. Ovviamente si accettano suggerimenti durante le prove! Spesso non c'e' bisogno di chiedere niente di particolare, la musica nasce e si sviluppa da sola, e' il momento piu' emozionante.

AAJ: Dove stai indirizzando la tua musica? Hai altri progetti oltre al sestetto?

GR: Oltre al sestetto ho un trio con sax tenore, basso e batteria, che mi permette molto piu' spazio solistico e un diverso approccio compositivo. In questo caso i temi, semplici ma incisivi, e la liberta' armonica sono le caratteristiche fondamentali. Il resto e' solo energia e "grande" coesione. Mi piacerebbe in futuro fare un salto indietro e preparare un disco di standard, magari con una formazione allargata a otto fiati. La tradizione e' fondamentale e un pretesto per approfondirla e' sempre ben accetto.

AAJ: Dove stanno andando le cose che ritieni piu' interessanti nel campo del jazz contemporaneo?

GR: In un sacco di luoghi!! C'e' tanta di quella musica in giro... Sono felice pero' che sia in corso il recupero della componente melodica e della musica arrangiata. Ho avuto il piacere di fare un tour con il pianista Edward Simon, uno dei musicisti piu' rappresentativi della scena attuale, e suonando la sua musica ho ritrovato queste caratteristiche.

AAJ: Hai accompagnato diversi solisti: tra gli altri Orrin Evans, Bobby Watson, Steve Grossman, Enrico Pieranunzi e Mike Melillo. Chi ricordi in particolare? Chi ti ha dato qualcosa di importante?

GR: Sicuramente tutti, da tutti ho imparato qualcosa di fondamentale. In particolare, suonando con Orrin Evans e Gene Jackson ho respirato un po' di "aria metropolitana". Entrare in contatto diretto con i ritmi e la musica delle nuove generazioni di New York e' sicuramente stimolante per continuare col proprio lavoro.

AAJ: Cosa ascolti attualmente (dentro e fuori il jazz)?

GR: Nonostante le mia musica vada avanti, io torno indietro! Sto continuando ad ascoltare la musica dei grandi del passato. Finora non ho avuto molto tempo per approfondire alcune cose. Questo e' il momento giusto per riascoltare, apprezzare e assimilare alcuni concetti del Jazz piu' puro. Ci sono dei grandi capolavori che non si possono ignorare e della grande musica che deve essere di esempio e di stimolo per il nuovo.

AAJ: Un sogno nel cassetto.

GR: Avere la possibilita' di continuare a scrivere e suonare la mia musica e di avere addetti ai lavori e pubblico appassionato che apprezzino il lavoro di chi, come me, crede in quello che fa.

Foto di Aldo Soriani

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