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Filarmonica Laudamo Creative Orchestra: "Suite For Peace" di Karl Berger

Filarmonica Laudamo Creative Orchestra: "Suite For Peace" di Karl Berger

Courtesy Alessandro Grussu

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Filarmonica Laudamo Creative Orchestra
Auditorium Antonello da Messina
Messina
19.11.2023

Storica associazione musicale messinese dalla vita ormai secolare, la Filarmonica Laudamo da molti anni organizza partecipatissime stagioni (oltre seicento gli abbonamenti) con cartelloni che affiancano alle rappresentazioni classiche anche concerti di altri generi. Tra questi —specie da quando nel 2013 la direzione fu assegnata al pianista Luciano Troja, oggi sostituito dal fagottista Antonino Cicero —figura il jazz che, oltre a destare l'interesse del pubblico, ha spinto alla realizzazione di un'orchestra che avesse per obiettivo unire sotto le insegne della ricerca e dell'improvvisazione i musicisti dell'area a cavallo dello stretto, a prescindere dal loro genere artistico d'elezione. È così che, nel 2016, è nata la Filarmonica Laudamo Creative Orchestra, che in questi anni è stata diretta in concerto da maestri internazionali del calibro di Dave Burrell, Blaise Siwula, Rocco John Iacovone, Salvatore Bonafede, Marco Cappelli, ha collaborato con la ICP Orchestra e ha svolto seminari con Fred Hersch, Marc Copland, Richie Beirach, Franco D'Andrea e Thollem McDonas.

Tra coloro che hanno diretto l'orchestra, nel 2019, c'è anche Karl Berger, storico pianista, vibrafonista, compositore e arrangiatore di origine tedesca, nel 1971 fondatore del Creative Music Studio di Woodstock assieme a Ornette Coleman e Ingrid Sertso. Quella direzione aveva un seguito già fissato, che fu però annullato a causa della pandemia; Berger, evidentemente molto coinvolto dal lavoro con l'orchestra siculo-calabra, approfittò del tempo per scriverle appositamente una suite, da dirigere appena possibile; ma anche ciò fu reso impossibile prima dalle sue condizioni di salute, poi dalla sua scomparsa, avvenuta nell'aprile scorso. L'orchestra ha così deciso di recuperare in proprio il progetto, assegnandone la direzione a due direttori "interni"—Luciano Troja e Giancarlo Mazzù (clicca qui per leggere l'intervista che facemmo loro qualche anno fa) —e proponendone l'esecuzione in prima mondiale nell'Auditorium del Palazzo della Cultura Antonello da Messina, dove la Filarmonica svolge abitualmente la stagione.

La Suite for Peace messa a punto da Berger si articola su cinque movimenti e nasce a partire dal famoso brano di Ornette Coleman Peace, che ne costituisce anche il secondo movimento; la partitura in parte è scritta, in parte prevede indicazioni riguardo a quanto l'autore avrebbe richiesto all'orchestra, ma è aperta quanto basta da permettere ai direttori di fare scelte in autonomia riguardo agli equilibri, le direzioni da prendere, le estemporanee modifiche e le invenzioni. Si tratta cioè di un lavoro che tiene insieme i pregi della scrittura e quelli dell'improvvisazione, unendo al tempo stesso anche lo spirito sinfonico che un'orchestra di quasi venti elementi può ben evocare e quello delle big band jazzistiche, che da Duke Ellington a Carla Bley hanno mostrato di non essere meno raffinate e "classiche" della tradizione europea.

La Creative Orchestra presentatasi in scena per l'occasione era composta da diciannove musicisti e includeva anche strumenti che raramente si incontrano in ambito jazzistico, come l'arpa e il fagotto. La disposizione prevedeva una divisione in due parti: sull'ala destra, discendente verso il proscenio, la sezione a trazione jazzistica, con quasi tutti i sax —Carmelo Coglitore e Giovanni Randazzo al soprano, Demetrio Spagna al tenore, Daniele Colistra al contralto —e il flauto di Carlo Nicita; sull'ala sinistra, a specchio, la sezione più "classica" (sebbene composta perlopiù di musicisti che con il jazz hanno molto a che fare), con l'arpa della giovane Deborah Ferraro, la chitarra classica di Alessandro Blanco, il violino di Giovanni Alibrandi, il fagotto di Antonino Cicero, il sax contralto di Maria Merlino e la voce di Rosalba Lazzarotto. Alle spalle della seconda ala il pianoforte, quasi sempre nelle mani di Erika La Fauci, mentre a raccordare le ali, alla loro testa e disposti a rombo, il basso elettrico di Domenico Mazza, le batterie e le percussioni di Fabrizio Franzini, Federico Saccà e Bruno Milasi, e le tastiere di Marcello Conti. In proscenio, affiancati e in perpetuo movimento nello spazio disegnato dalle ali d'orchestra, i due direttori, Mazzù e Troja, che in una parte a testa hanno anche suonato i loro strumenti.

La prima parte della suite, "Intro," s'è aperta con l'evocativo suono solitario del chiver del soprano di Coglitore, quasi una "chiamata" generale per il resto dell'orchestra che infatti, a partire dalle batterie, è entrata progressivamente, alternando tutti e assoli —il violino di Alibrandi, il flauto di Nicita sostenuto dalle batterie —e vari dialoghi tra le sezioni, spesso ricomposte in formazioni variabili, come nel caso del duetto tra flauto e l'intera ala sinistra. In "Peace" di Ornette Coleman, seconda parte della suite, il tema è stato prima esposto dalle ance dell'ala destra, con il contrappunto a sinistra di arpa, piano e voce, poi ha lasciato il posto a un intervallo swingante dominato dal basso elettrico e dalle batterie, quindi è rimbalzato qua e là, suggestivamente ripreso da molti strumenti e più estesamente dal contralto della Merlino —qui in contrappunto andava l'ala destra—fino a risolversi nel flauto di Nicita in solitudine.

La terza parte, "Suite for Peace 3 Kafi, Fibonacchi," è iniziata con un'introduzione dei fiati, ed è proseguita con un'intensa prolusione di basso elettrico e batteria nella quale, imbracciata la chitarra, si è inserito Mazzù con un prolungato assolo; dopo vari sezionamenti dell'orchestra e assoli della Merlino e di Nicita, la parte è stata conclusa da un solo della batteria di Saccà. Il movimento successivo, "Sit -Following Kafi," s'è aperto con la raffinata chitarra di Blanco e ha poi visto spiccare le ance; a seguire Troja, al pianoforte, ha prima fatto un assolo oscillante tra il classico e il rarefatto, poi ha duettato con il flauto, il tutto sempre sul cangiante sfondo creato dall'orchestra in costante mutamento d'assetto. A seguire, grande spazio per l'arpa, che dopo un notevole assolo ha lasciato spazio a chitarra, violino, fagotto, voce e al contralto della Merlino —cioè tutta l'ala sinistra, con la destra in contrappunto —prima di concludere in diminuendo.

L'ultima parte, "Peace Suite," era divisa in due parti e ha condensato lo scenario attraversato fino ad allora, aprendo liricamente con l'ala sinistra —il fagotto di Cicero e il violino di Alibrandi in primo piano —e innalzando ritmo e dinamica con la spinta delle batterie; proseguendo, le due ali si sono contrapposte con la sinistra che arpeggiava e la destra che rispondeva a note lunghe —sempre, si noti, dirette e modulate indipendentemente dai due direttori in modo da creare una palpabile tensione espressiva. Nel costante variare delle voci, c'è stato spazio per alcuni duetti —per esempio, quelli tra i due sax contralti, la Merlino a sinistra e Colistra a destra, e di Coglitore prima con Nicita, poi con l'altro soprano di Randazzo —e alcuni soli —Merlino, Nicita, infine la voce recitante della Lazzarotto. Il finale, intenso, ha visto tutta l'orchestra incrociarsi per sezioni e per singoli, diretta e quasi incitata dai due mobilissimi direttori.

Oltre un'ora di musica (è stata registrata e dovrebbe avere una documentazione per Almendra Music) che definire "creativa" non è un luogo comune, visto lo spazio per la libertà individuale e per le invenzioni estemporanee anche sul piano strutturale, pur all'interno di un'opera scritta e con un'organizzazione ben delineata. Una musica pulsante, zigzagante come i due artisti che la dirigevano sul palco, mai banale perché mai prevedibile, come si conviene al jazz, ma anche con un gusto sinfonico indiscutibile, che si è giovata molto della parziale divisione in due sezioni dell'orchestra e dell'istituzione del doppio direttore, originali fattori che hanno aumentato l'alea e aggiunto ulteriori possibilità alle già molte presenti in un'organico dotato di una così ampia tavolozza timbrica. Una musica e un'orchestra certo non usuali, ma che —per la loro ricchezza, freschezza, imprevedibilità —hanno pienamente convinto anche un pubblico non composto di cultori delle forme artistiche atipiche, che non ci si aspetterebbe di trovare a Messina e che invece sono qui e non altrove, non per caso, bensì grazie alla curiosità, all'interesse di ricerca e di studio, di un gruppo di musicisti (alcuni dei quali non vivono più qui, ma tornano devotamente a ogni appuntamento) che si sono raccolti attorno a loro e le hanno volute, coltivate e cresciute, fino a questi splendidi risultati.

Colpiscono chi scrive una serie di affinità con un'altra sorprendente ed eccellente realtà orchestrale attiva all'altro capo della penisola, in Friuli: l'Orchestra Senza Confini. Entrambe nate a cavallo tra due terre "separate" —qui Calabria e Sicilia dallo stretto, là Italia e Slovenia da una frontiera fino a non troppi anni fa "cortina di ferro" —e con l'intenzione di riunire artisti che si sentivano ciononostante affini; tutt'e due messe in piedi da musicisti di ciascuna terra uniti da forti affinità artistiche e umane —qui il siculo Troja e il calabro Mazzù, là lo sloveno Zlatko Kaućić e l'italiano Giovanni Maier; ambedue divise in due sezioni, sebbene miste, ciascuna diretta da un diverso direttore "come se fosse uno strumento complesso"; entrambe, infine, attraversate da un fortissimo spirito collaborativo, giocoso, dedite soprattutto all'improvvisazione e a come si possa metterla in scena in modo creativo e ordinato. Ambedue belle realtà, cresciute ai margini del Paese, in zone ove si penserebbe manchino stimoli e strutture per dar spinta alla creatività, mentre è vero tutto il contrario: perché è l'istituzionalizzazione, è l'obbligo al ritorno in termini di successo —quando non addirittura di denaro —a inibire il coraggio di osare, di andare oltre il già collaudato, di creare qualcosa di inaudito.

È per questo che, talvolta, recarsi di persona a verificare cosa accade alla "periferia dell'Impero" può essere molto interessante e far fare scoperte importanti.

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