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Fano Jazz by the Sea: la chiusura con Fresu-Sosa e Brian Blade

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Come impostare la ventesima edizione di un festival jazz in un periodo di vacche talmente magre (e non è lecito aspettarsi rimpinguamenti nel futuro) da rendere costituzionalmente problematica la sopravvivenza di ogni evento culturale? La ricetta escogitata dagli organizzatori di Fano Jazzby the Sea, in primis dal suo direttore artistico Adriano Pedini, è stata tanto semplice quanto efficace. Innanzi tutto si è battezzata una sola location, centrale e accogliente come la Corte Malatestiana; si è quindi rinunciato al palcoscenico sull'acqua alla Marina dei Cesari e purtroppo anche ai qualificati appuntamenti notturni del Jazz Village, che quest'anno, rinominato Pala J, ha comunque ospitato jam session di musicisti locali più o meno giovani.

In secondo luogo si è optato per mettere in cartellone un solo gruppo per sera, ma di richiamo. Tutta la programmazione è quindi risultata più snella, meno impegnativa e in parte prevedibile, anche perché sono stati replicati molti nomi già collaudati e invitati in passato più volte (Omar Sosa, Dee Dee Bridgewater, Mike Stern...). Il pubblico ha comunque dimostrato di gradire queste scelte ed ogni sera è accorso a gremire la Corte (o il vicino Teatro della Fortuna dove, causa maltempo, sono stati dirottati i concerti dei gruppi di Brad Mehldau e di Ray Gelato).

Nelle due ultime serate del festival si sono concentrate le due proposte più "nuove" e intriganti, sulle quali vale la pena di soffermarsi.

Fra le tante collaborazioni affrontate negli anni da Paolo Fresu, quella con Omar Sosa è una delle più recenti; anche se ha già alle spalle alcuni anni di vita, essa si è intensificata nell'ultimo anno per portare in tournée il CD Alma. A fronte di una motivazione misticheggiante, superficiale o profonda che sia, il pianista cubano non è certo un virtuoso della tastiera, ma la sua semplicità di mezzi (un tocco percussivo, uno spiccato senso del ritmo, linee melodiche accattivanti, certe enfasi dinamiche...) è indubbiamente in grado di creare una comunicativa diretta, frontale, confermandolo personaggio di spessore con un variegato background culturale alle spalle.

Altrettanto maturo e personale è il mondo espressivo di Fresu: il sound pastoso della sua tromba ed ancor più del suo flicorno prende inflessioni rotonde, poetiche, a tratti malinconiche, salvo scaldarsi in brucianti fraseggi veloci ed arricchirsi di modulazioni ardite e anomale, grazie anche al sapiente uso dell'elettronica. Sta di fatto che, su temi dell'uno o dell'altro, su spunti individuali fra loro complementari, questo duo risulta ben coeso ed anche a Fano è stato capace di concretizzare una performance coinvolgente, coniugando sapori piccanti o delicati, esotizzanti o mediterranei in una trasversale sintesi culturale.

Anticipando la chiusura definitiva del festival, avvenuta il 29 luglio con l'evento gratuito del quintetto V-Funk di Victor Bailey nel suggestivo scenario naturale della Golena del Furlo, la programmazione alla Corte Malatestiana si è conclusa con l'attesa Followship Band di Brian Blade.

La compatta formazione, che ha al suo attivo tre CD, ha suscitato pareri discordi fra gli addetti ai lavori. Tutti i brani, piuttosto dilatati ed omogenei nel loro lirico impianto, prevedevano sviluppi strutturali concatenati e lineari, senza sussulti o divagazioni eccentriche. Le parti iniziali, sempre riflessive e lente, quasi spiritual o ballad decantate, hanno lasciato gradualmente il posto a evoluzioni relativamente più movimentate e dinamiche.

Il drumming del leader, che ha sempre avuto una funzione centrale, ha costituito la componente di gran lunga più convincente: per quanto mai invadente, anzi quasi appartato rifiutando di esporsi in quei lunghi e plateali assoli cui spesso i batteristi indulgono, esso ha condotto un lavoro continuo e instancabile di sottolineature, suggerimenti, insinuazioni, propulsione... Nonostante ciò, personalmente sono fra coloro che ritengono che la musica, dalle vaghe reminiscenze coltraniane, abbia stentato a prendere il volo. Ciò è da attribuire in parte al calibro dei quattro partner di Blade: il pianista Jon Cowherd, con il quale il leader ha una lunga frequentazione, il contrabbassista Chris Thomas, i sassofonisti Myron Walden e Melvin Butler, autori di un'apprezzabile chase nel brano finale. Tutti pertinenti, attenti ad inserirsi con misura secondo i ruoli a ciascuno affidati, ma nessuno di loro ha dimostrato una personalità e uno spessore artistico tali da poter portare la performance a livelli memorabili.

Foto: Amanera Photo.

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