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Fano Jazz by the Sea: la chiusura con Fresu-Sosa e Brian Blade
In secondo luogo si è optato per mettere in cartellone un solo gruppo per sera, ma di richiamo. Tutta la programmazione è quindi risultata più snella, meno impegnativa e in parte prevedibile, anche perché sono stati replicati molti nomi già collaudati e invitati in passato più volte (Omar Sosa, Dee Dee Bridgewater, Mike Stern...). Il pubblico ha comunque dimostrato di gradire queste scelte ed ogni sera è accorso a gremire la Corte (o il vicino Teatro della Fortuna dove, causa maltempo, sono stati dirottati i concerti dei gruppi di Brad Mehldau e di Ray Gelato).
Nelle due ultime serate del festival si sono concentrate le due proposte più "nuove" e intriganti, sulle quali vale la pena di soffermarsi.
Fra le tante collaborazioni affrontate negli anni da Paolo Fresu, quella con Omar Sosa è una delle più recenti; anche se ha già alle spalle alcuni anni di vita, essa si è intensificata nell'ultimo anno per portare in tournée il CD Alma. A fronte di una motivazione misticheggiante, superficiale o profonda che sia, il pianista cubano non è certo un virtuoso della tastiera, ma la sua semplicità di mezzi (un tocco percussivo, uno spiccato senso del ritmo, linee melodiche accattivanti, certe enfasi dinamiche...) è indubbiamente in grado di creare una comunicativa diretta, frontale, confermandolo personaggio di spessore con un variegato background culturale alle spalle.
Altrettanto maturo e personale è il mondo espressivo di Fresu: il sound pastoso della sua tromba ed ancor più del suo flicorno prende inflessioni rotonde, poetiche, a tratti malinconiche, salvo scaldarsi in brucianti fraseggi veloci ed arricchirsi di modulazioni ardite e anomale, grazie anche al sapiente uso dell'elettronica. Sta di fatto che, su temi dell'uno o dell'altro, su spunti individuali fra loro complementari, questo duo risulta ben coeso ed anche a Fano è stato capace di concretizzare una performance coinvolgente, coniugando sapori piccanti o delicati, esotizzanti o mediterranei in una trasversale sintesi culturale.
Anticipando la chiusura definitiva del festival, avvenuta il 29 luglio con l'evento gratuito del quintetto V-Funk di Victor Bailey nel suggestivo scenario naturale della Golena del Furlo, la programmazione alla Corte Malatestiana si è conclusa con l'attesa Followship Band di Brian Blade.
La compatta formazione, che ha al suo attivo tre CD, ha suscitato pareri discordi fra gli addetti ai lavori. Tutti i brani, piuttosto dilatati ed omogenei nel loro lirico impianto, prevedevano sviluppi strutturali concatenati e lineari, senza sussulti o divagazioni eccentriche. Le parti iniziali, sempre riflessive e lente, quasi spiritual o ballad decantate, hanno lasciato gradualmente il posto a evoluzioni relativamente più movimentate e dinamiche.
Il drumming del leader, che ha sempre avuto una funzione centrale, ha costituito la componente di gran lunga più convincente: per quanto mai invadente, anzi quasi appartato rifiutando di esporsi in quei lunghi e plateali assoli cui spesso i batteristi indulgono, esso ha condotto un lavoro continuo e instancabile di sottolineature, suggerimenti, insinuazioni, propulsione... Nonostante ciò, personalmente sono fra coloro che ritengono che la musica, dalle vaghe reminiscenze coltraniane, abbia stentato a prendere il volo. Ciò è da attribuire in parte al calibro dei quattro partner di Blade: il pianista Jon Cowherd, con il quale il leader ha una lunga frequentazione, il contrabbassista Chris Thomas, i sassofonisti Myron Walden e Melvin Butler, autori di un'apprezzabile chase nel brano finale. Tutti pertinenti, attenti ad inserirsi con misura secondo i ruoli a ciascuno affidati, ma nessuno di loro ha dimostrato una personalità e uno spessore artistico tali da poter portare la performance a livelli memorabili.
Foto: Amanera Photo.
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