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Empoli Jazz Summer Festival 2019

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Empoli Jazz Summer Festival 2019
Giardino del Torrione di Santa Brigida
Empoli
9, 17, 23.7.2019

Programma di grande prestigio e qualità per Empoli Jazz Summer Festival 2019, che tra le diverse date ne includeva tre con protagonisti di primissimo livello della scena statunitense.

Ha iniziato la serie, il 9 luglio, il trio di Bill Frisell, che vedeva il chitarrista a fianco del contrabbassista Thomas Morgan e del batterista Rudy Royston, suoi abituali collaboratori. La formazione ha proposto una musica tutto sommato convenzionale, con un programma che omaggiava la tradizione americana ad ampio raggio, affiancando standard ("Lush Life," la stessa "When You Wish Upon a Star") a pietre miliari del jazz ("Evidence" di Thelonious Monk), brani tradizionali ("We Shall Overcome") e persino musica da film ("Goldfinger"). Il tutto con gusto, grande gioia di suonare e l'indiscutibile maestria per la quale i tre musicisti sono giustamente noti.

Frisell ha offerto un variegato catalogo dei suoi fraseggi e delle sue sonorità, anche se fatalmente gli esiti migliori si sono avuti laddove le atmosfere viravano verso il country oppure quando, interagendo in modo stringente con i compagni, ha usato i pedali e l'elettronica per ingigantire la dinamica e avvolgere il pubblico con il suono. Notevole in questi passaggi il contributo di Royston, estremamente mutevole nei suoni e nelle forme ritmiche, mentre è apparso un po' sacrificato al lavoro collettivo Morgan, che ha avuto pochi spazi per valorizzare l'eccellente suono del suo contrabbasso.

Quasi un'ora e mezza di musica "classica," offerta senza risparmio dai tre anche a cagione del loro palpabile piacere di suonare, tanto da prodursi in ripetuti bis per un pubblico decisamente conquistato.

Il 17 Luglio, sempre nel suggestivo Giardino del Torrione di Santa Brigida, spazio a una formazione di stelle di prima grandezza, che festeggiava i venti anni dalla nascita: il quintetto Bobby Previte's Classic Bump Band, con Marty Ehrlich al sax contralto, Ray Anderson al trombone, Wayne Horvitz al pianoforte e Jerome Harris al basso elettrico (in origine nelle mani di Steve Swallow). Musica raffinatissima, tutta originale, rigorosamente scritta e quindi fortemente vincolante, ma entro la quale le espressività dei singoli avevano un valore essenziale.

Musica anche non facile da evocare, proprio per la sua multiforme ricchezza. Sostenuta dal basso di Harris, solo apparentemente univoco, e dal piano di Horvitz, in realtà poco valorizzato sebbene in un paio di circostanze libero di esprimersi, si è sviluppata su strutture complesse e mai ripetitive, con cambi di tempo e pause, passaggi di incedere collettivo e spazi di assolo, incroci tra i solisti e momenti di unisono tra contralto e trombone. In mezzo a questo mirabile caleidoscopio splendevano gli interventi dei solisti. Principalmente i due fiati, entrambi personalissimi, espressivi e tutto sommato scevri da tecnicismi, con il solo Anderson che si è prodotto in un lungo assolo virtuosistico, modulato con il movimento della cuffia, ma che per il resto ha utilizzato tutti i registri espressivi del trombone, ora facendolo cantare, ora scoppiettare, ora risuonare con potenza. Forse anche più raffinato Ehrlich, che dispiace sempre non poter apprezzare ai molti strumenti dei quali è maestro (per esempio il sax soprano e il clarinetto basso), ma che anche al solo contralto è stato magnifico, utilizzando con semplice scioltezza anche i sovracuti, ma tutto sommato sviluppando modernissimi assoli, drammaturgicamente efficaci pur staccandosi radicalmente da ogni stilema tradizionale.

Lo stesso Previte non si è fatto mancare spazi di protagonismo, alcuni più brevi, coloristici e singolari, uno in particolare invece assai più prolungato, personale anche se maggiormente vicino a un tradizionale assolo di batteria. Concerto assai bello, esempio di musica radicata nella storia del jazz ma con lo sguardo aperto verso l'innovazione, senza tuttavia perdersi in virtuosismi autoreferenti.

Il terzo appuntamento, che chiudeva anche l'intera rassegna ed era in programma il 23 luglio, vedeva in scena Still Dreaming, quartetto capitanato da Joshua Redman e anch'esso completato da un trio stellare: Ron Miles alla cornetta, Scott Colley al contrabbasso e Dave King alla batteria. Il programma era interamente dedicato a omaggiare la musica di Ornette Coleman e di Old and New Dream, formazione nella quale il padre di Joshua, Dewey Redman, sostituiva Ornette nel suo quartetto classico. Composizioni in prevalenza quindi di quella formazione, di Ornette e Don Cherry, anche se in verità aperto da un brano ispirato chiaramente al Davis del periodo modale.

Per chi scrive, tuttavia, il concerto è stato piuttosto deludente. Senza dubbio bravissimi i protagonisti, con Redman che ha sfoggiato una tecnica perfetta e il controllo di una pluralità di stilemi e Miles che ha mostrato un suono assai particolare e un personale modo fraseggiare alla cornetta. Il limite era tuttavia legato alla relazione tra la musica colemaniana e la peculiare espressività dei musicisti in scena, in particolare dei due fiati ma, in fondo, anche di Colley al contrabbasso: laddove i protagonisti del quartetto di Ornette brillavano per uno stile libero e anticonvenzionale, pieno di iniziative rischiose e invenzioni anche "sporche," i pur bravissimi membri di Still Dreaming ne sfoggiavano invece uno assai più pulito, studiato, ordinato, a tratti perfino calligrafico; questo finiva fatalmente per "addomesticare" anche le strutture dei brani, rendendo il tutto un po' prevedibile, a tratti addirittura noioso.

Non tutto il pubblico è parso dello stesso parere: probabilmente conquistato dalle indubbie qualità dei musicisti, ha apprezzato a momenti in modo anche vibrante, senza essere negativamente colpito dal contrasto tra strutture aperte e fraseggi tradizionali -un contrasto, per esempio, del tutto assente nel concerto di Bump la settimana precedente. Del resto il bello dell'arte è anche questo: dar vita ad accostamenti singolari, che a taluni possono risultare apprezzabili e ad altri no.

In conclusione, una menzione per la rassegna, che ormai ha una costanza di programmazione nel corso di tutto l'anno: il programma di questa edizione estiva era davvero di altissimo livello (accanto ai concerti di cui si è parlato vanno menzionati anche Musica Nuda e Nu Guinea) e il pubblico giustamente sempre abbondante; una cosa, quest'ultima, purtroppo non scontata e che testimonia l'ottimo lavoro svolto nel corso degli anni dall'organizzazione, coadiuvata da Music Pool. Complimenti.

Foto: Sanzio Fusconi.

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