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David Sancious: da Monk a Sting

David Sancious: da Monk a Sting
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Il jazz? Ha a che fare con l'essere capaci di suonare insieme.
—David Sancious
Al fianco di Sting e Peter Gabriel, membro del primo nucleo della futura E—Street Band con Bruce Springsteen, senza contare la miriade di collaborazioni accanto a giganti come Aretha Franklin, Eric Clapton e Santana. David Sancious è uno dei sideman più apprezzati e raffinati, un polistrumentista che —fra un disco e un tour mondiale —ha trovato il tempo di pubblicare album lungo una carriera solista che (prossimamente) vedrà venire alla luce due nuovi capitoli discografici. Uno dietro alle tastiere, l'altro alla chitarra.

Ad attraversare un "mucchio selvaggio" di artisti così differenti, l'amore sconfinato di Sancious per la musica jazz e per la sua estetica universale: «qualcosa —ci ha raccontato —che ha a che fare con l'essere capaci di suonare insieme, e allo stesso tempo incoraggia totale spontaneità e creatività».

All About Jazz: Sei cresciuto musicalmente in una scena fortemente influenzata dal soul, ma si dice che Monk e Mozart siano fra le tue principali influenze. È così?

David Sancious: Questa è una cosa che considero un grande complimento. Sia Thelonious Monk che Mozart sono state fra le mie prime influenze, quindi credo sia giusto dire che lo stile è una combinazione fra i due.

AAJ: Ricordi il primo album jazz che hai comprato?

DS: Ricordare il primo album jazz comprato è davvero difficile... ne ho presi così tanti. Uno dei primi musicisti jazz che ho ascoltato con ogni probabilità deve essere stato Erroll Garner perché era uno dei pianisti preferiti da mio padre, e spesso a casa ascoltava i suoi dischi.

AAJ: Come entrasti nella band di Springsteen?

DS: Bruce mi invitò a entrare nella band dopo una jam session durata alcune ore ad Asbury Park. Credo che mi volesse perché era in cerca di qualcosa di diverso da quello che stava già facendo, e pensava che io potessi dare un contributo in quel senso.

AAJ: Quello dei primi anni '70 ad Asbury Park fu un periodo straordinario musicalmente parlando. Che ricordi hai di quel clima?

DS: Ricordo giornate passate a suonare ad Asbury Park in estate, e la grande atmosfera di eccitazione dei fan che venivano a quei primi nostri spettacoli.

AAJ: Nel secondo album di Springsteen, The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle, nel quale tu suonasti, svettano in particolare gli arrangiamenti di "Kitty's Back" e "New York City Serenade." Nel primo caso ascoltiamo lo Springsteen più jazzy di sempre, nel secondo invece forti influenze classiche... come nacquero quelle parti strumentali?

DS: L'arrangiamento di "Kitty's Back" venne in modo abbastanza spontaneo. Semplicemente provammo differenti strumenti a tasti per vedere quale suonava meglio, e quello che si sente nel disco è il risultato al quale arrivammo. La canzone suona jazz perché Bruce la scrisse in quel modo. Per quanto riguarda "New York City Serenade" si può dire la stessa cosa. Suona classica perché è una canzone molto "aperta," molto melodica sulla quale Bruce volle dei violini. Mi chiese se potevo scrivere un arrangiamento per archi da inserire in quel pezzo, e io lo feci. Era la prima volta che lo facevo, e funzionò bene.

AAJ: Dopo l'esperienza con Springsteen decidesti di intraprendere un nuovo percorso, con la formazione The Tone: un primo album prodotto da Billy Cobham, e poi altri tre lavori fra jazz e progressive. Sembra che tu fossi in ricerca di qualcosa...

DS: Più che cercare qualcosa stavo seguendo la naturale progressione dei miei talenti e dei miei interessi in quel periodo. La parentesi con Springsteen rappresenta la base della mia carriera professionale e un legame con uno dei più importanti artisti della nostra generazione.

AAJ: Negli anni '80 collabori con una serie infinita di artisti: Aretha Franklin, Jack Bruce, Jon Anderson, Santana e registri anche tre album con Zucchero. Sono artisti molto differenti. Tu non suoni mai jazz in senso stretto, eppure tutto quello che suoni in qualche modo profuma di jazz...

DS: È un privilegio, e anche un grande divertimento suonare stili differenti con musicisti diversi. Io sono davvero convinto che l'estetica jazz funzioni in qualsiasi forma di musica. È una cosa che ha a che fare con l'essere capaci di suonare insieme, e allo stesso tempo incoraggia totale spontaneità e creatività.

AAJ: Altro capitolo centrale della tua carriera è il sodalizio con Sting, col quale incidi capolavori come The Soul Cages e Ten Summoner's Tales. I video delle registrazioni alla Lake House restituiscono ancora oggi un'atmosfera magica. Hai ricordi particolari di quell'esperienza?

DS: Ho ricordi a cui sono davvero molto affezionato quando penso a Soul Cages, perché è stata la mia prima volta in studio con Sting. Anche Ten Summoner's Tales fu un progetto straordinario. L'atmosfera alla Lake House era incredibile. Lavorammo duramente, ma passammo anche giornate uniche mentre lavoravamo a quel disco.

AAJ: Sting e Springsteen: a parte la loro storica amicizia pensi che si siano altri tratti che li avvicinano?

DS: Credo che Sting e Bruce siano entrambe persone straordinariamente talentuose, così come grandi songwriter dotati di una forte etica del lavoro. La mia esperienza con entrambi in studio è fantastica, mi hanno dato un'enorme libertà. Ed entrambi hanno apprezzato i risultati.

AAJ: Di recente ti abbiamo visto sul palco con entrambi: in un recente tour con Sting, ed una serata speciale con Springsteen. Dopo tutti questi anni è cambiato il modo di suonare con loro?

DS: Essere sul palco col loro è sempre qualcosa di straordinario. Abbiamo fatto molte cose insieme in tutti questi anni, e c'è molto affetto fra noi. È una cosa che il tempo non può cambiare.

AAJ: Peter Gabriel invece ti ha definito il 'musicista dei musicisti...'

DS: Ho grande affinità con Peter Gabriel. Sia dal punto di vista dal musicista che dal punto di vista della persona. È un altro artista col quale condivido molto della mia storia, oltre che grande affetto.

AAJ: Quanta libertà rimane al musicista-sessionman quando è in studio?

DS: In ogni seduta di registrazione mi metto al servizio dell'artista che ha scritto la canzone, e al servizio della canzone stessa. Solitamente si tratta di un mix fra direzione e libertà. Dipende tutto dall'artista e dalla canzone. Personalmente però non mi sento limitato da questo.

AAJ: Le tue ultime pubblicazioni da solista sono 9 Piano Improvisations (2000) e Live in the Now (2006). Qualche nuovo album all'orizzonte?

DS: Sono in arrivo due nuovi album. Una è una collezione delle composizioni di alcuni anni fa, con tastiere, chitarre e voce. La seconda è un album nel quale suono la chitarra, e nessuna tastiera. Entrambi al momento non hanno ancora un titolo.

AAJ: Quale pensi sia stata la più grande influenza della musica jazz sulla musica pop?

DS: Penso che una delle più significative influenze della musica jazz sulla musica popolare sia stata l'armonia. La sofisticata armonia jazz è stata incorporata nella musica popolare con grande successo.

AAJ: E il jazz storicamente è stato più reattivo, incorporando e intercettando tendenze di altri generi, o proattivo, contaminando gli altri generi?

DS: Storicamente penso sia stato proattivo, non reattivo.

AAJ: Frank Zappa sosteneva ironicamente che il jazz non fosse morto ma che avesse uno "strano odore." Per te che odore ha?

DS: Zappa era un genio, ma per me il jazz continua ad avere un ottimo odore.

Foto: Craig McCord

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