Home » Articoli » Interview » Danilo the Rooster

Danilo the Rooster

Qualcuno dice che la musica è vita. Io dico che la vita è musica
Danilo Gallo è uno dei bassisti più interessanti del jazz italiano contemporaneo ma è anche uno dei fondatori della cooperativa ed etichetta musicale El Gallo Rojo. In questa lunga intervista ci parla del suo mondo musicale, delle incisioni appena realizzate e delle disparate influenze avute negli anni formativi.

All About Jazz: Partiamo dal tuo ultimo disco The Exploding Note Theory che ha avuto ottime accoglienze dalla critica. Com'è nata l'idea di inserire nei Roosters Gary Lucas, aderendo alla teoria della nota esplosiva?

Danilo Gallo: Io sono un fan sfegatato di Captain Beefheart: ricordo che il primo ascolto di Trout Mask Replica mi sconvolse l'esistenza almeno quanto Ornette Coleman! Reputo il "Capitano Cuor di Bue" uno dei geni assoluti della musica in generale e amando la sua musica è stato naturale che mi rivolgessi a Gary Lucas quando si è presentata l'occasione, dato che Gary ha fatto parte della band di Beefheart per diversi anni.

Ero a suonare al festival di Londra e visto che c'era anche la sua band sono andato a vederli: ero seduto a due metri dal palco e, pur conoscendo la sua musica, mi sono entusiasmato e sono rimasto colpito incredibilmente dall'impatto rock che lui e la sua band emanavano. Alla fine del concerto gli ho chiesto se potevo mandargli del mio materiale ed invitarlo in uno dei miei gruppi.

In quell'occasione gli ho lasciato il mio primo CD dei Roosters [Todo Chueco, N.d.R.] e lui dopo un paio di giorni mi ha richiamato, dicendosi pronto a partecipare. La cosa mi ha fatto estremo piacere ed ho colto la palla al balzo organizzando la session. Se esiste la proprietà transitiva partendo da Gary in qualche modo sono arrivato anche a Captain Beefheart!

AAJ: Che impressione ti ha fatto collaborare con Gary Lucas?

D.G.: Gary è un musicista che non si può inquadrare in un genere specifico e, visto che amo sia il rock & roll che la sperimentazione, trovo che tutte queste componenti vivono in lui. Prima di entrare in studio l'ho invitato per qualche giorno da me e dopo un paio di giorni di prove abbiamo registrato il disco. Gary è un personaggio unico, una fonte di racconti e anneddoti pazzeschi, ed è stata un'esperienza straordinaria.

AAJ: Sei ovviamente soddisfatto di come è andato il disco...

D.G.: Si certo. Avrei voluto poter fare dei concerti prima di registrare ma non si può avere tutto... Spero di poterne farne qualcuno ora che è stato inciso...

AAJ: Nella tua musica i riferimenti sono sempre moltissimi. Quali sono stati i tuoi ascolti negli anni formativi?

D.G.: Mi ritengo "onnivoro" nell'ascolto e nei miei gusti musicali. Se intendiamo gli anni fino alla tarda dell'adolescenza ho molto amato il rock inglese di fine anni sessanta-primi settanta: intendo dire Jethro Tull, Led Zeppelin, Deep Purple, King Crimson, Black Sabbath. Come vedi sono un "rockettaro" e questi ascolti mi hanno profondamente scolpito. Contemporaneamente studiavo chitarra classica quindi avevo una sorta di doppia personalità, anzi multipla perché ero anche attento a quello che accadeva nel pop e nell'elettronica, nel punk e nella new wave.. Sembrerà strano ma un gruppo di cui ho tutti i vinili sono i Cure.

AAJ: C'era spazio per il jazz?

D.G.: Al jazz sono arrivato, relativamente tardi, intorno ai vent'anni con una cassetta del Joe Pass trio che mi avevano prestato. C'era anche Ray Brown al contrabbasso e quella musica mi aveva fulminato, stimolandomi a proseguire. All'epoca avevo appena preso la patente ma non avevo la macchina. La mamma un giorno mi regalò due milioni di vecchie lire per comprarmi una panda usata.

Io la sera tornai a casa senza la panda ma con un contrabbasso, senza avere la minima idea di come suonarlo... allora usavo il basso elettrico in gruppetti rock ma non era la stessa cosa. Però ero affascinato da quel mondo acustico che il jazz esprimeva. Da lì ho intrapreso lo studio di questo strumento e l'interesse per questa musica s'è consolidato.

AAJ: La tua formazione didattica qual è stata?

D.G.: Non ho continuato il conservatorio. Vivevo a Foggia e nei primi anni Novanta non c'erano insegnanti di contrabbasso jazz. Ho seguito una quindicina di lezioni in una scuola privata di Bari ma poi ho continuato da solo. Fondamentalmente sono un autodidatta...

AAJ: Quindi l'ascolto dei bassisti dai dischi è stato fondamentale...

D.G.: I dischi in generale si. Non ho mai ascoltato con ossessione i bassisti. Non sono uno che sta ad ascoltare le linee di basso o trascrivere gli assoli ma preferisco trarre spunto più da altri strumenti che dal basso. Credo che l'ascolto attento dei mondi sonori di altri strumenti possa portare una linfa fresca ed "ingenua" anche nell'uso del proprio strumento. Naturalmente ho i miei idoli contrabbassisti.

AAJ: Ovvero?

D.G.: Charlie Haden è uno su tutti, ma per altri motivi anche Paul Chambers.

AAJ: E tra i coetanei?

D.G.: Tra gli americani mi piace molto Trevor Dunn. In Italia, per motivi diversi, Antonio Borghini, Giovanni Maier, Stefano Senni, ma ce ne sono altri.

AAJ: Proprio Charlie Haden ha detto che "ogni nota del contrabbasso è un rischio che va dosato e calcolato, come se fosse in gioco la vita di qualcuno". Cosa ne pensi?

D.G.: Posso condividerla perché ogni nota che suona il contrabbasso ha un peso non indifferente anzi determinante perché può portare la musica in una direzione piuttosto che in un'altra. Quindi quando un contrabbassista decide di suonare quella nota probabilmente decide per tutti e ha quindi un'alta responsabilità. Haden è un maestro in questo senso.

AAJ: Come descriveresti il tuo approccio ritmico e qual' è, secondo te, il ruolo più appropriato di un bassista nel jazz attuale?

D.G.: Più che fare attenzione al tempo e al ritmo ciò che più mi interessa è dare la pulsazione, si può ballare e battere il piede anche se la musica non è "a tempo". La pulsazione permette di "sviscerare" quello che si suona, di scavare e riportare fuori stati d'animo e quindi nuove direzioni e sviluppi. E permette a chi sta ascoltando di "muoversi". Non credo molto in quella musica dove si sta fermi immobili per ascoltarla.

In questo senso il contrabbassista ha un ruolo fondamentale e non solo per motivi ritmici, ma anche perchè produce un suono grave e sulfureo che "si aggira oscuro intorno alle budella": arriva dritto nella pancia. Mi piace definire un contrabbassista come "sommo produttore di gravita' ritmiche". Proprio per questo motivo, ad esempio quando capita, mi piace suonare anche con più di un contrabbasso perché questo magma sonoro e ritmico che viene svolto da più strumenti crea una pulsazione ancor più efficace.

AAJ: In questo momento, anche in Italia, è aumentata la schiera dei bassisti-leader, con una visione più compositiva e organizzativa rispetto al passato. Come vedi questa cosa?

D.G.: È un fatto molto positivo anche perché il ruolo del contrabbassista è stato visto per lungo tempo come quello che accompagna. In realtà nessuno in un gruppo jazz è un semplice accompagnatore e tutti contribuiscono alla musica. La cosa mi fa piacere e ci sono leader molto interessanti: uno su tutti vorrei citare il mio amico Antonio Borghini che in questo momento abita a Berlino. Lui ha una visione e un'attitudine compositiva e organizzativa diversissima dalla mia, ma davvero interessante: vede la musica non dal punto di vista del contrabbassista. Proprio in questi giorni abbiamo pubblicato per il Gallo Rojo il suo ultimo lavoro Six Dances Under col gruppo Malebranche. Ad esempio, sempre El Gallo Rojo ha pubblicato bellissimi dischi di altri contrabbassisti leader, come Giulio Corini e Stefano Senni.

AAJ: Tra le tue molte collaborazioni quale ricordi con maggior piacere?

D.G.: Come sai bene la mia famiglia musicale è il Gallo Rojo al cui interno vivono mille progetti quanto mai vari. Uno dei gruppi di cui sono co-leader e il quintetto Mickey Finn con De Rossi, Terragnoli, Pacorig ed ora Cuong Vu alla tromba [leggi le recensioni di Dudek! e Gagarin!]. A questo gruppo sono molto legato anche perché riesco a dar sfogo alla mia vena psichedelica. Un organico appena nato di cui sono co-leader è Blonde Zeros caratterizzato da un'impronta rock progressive con Massimiliano Sorrentini alla batteria e Giorgio Pacorig al fender, tastiere varie, synth. C'è il trio Osmiza [leggi la recensione di Pop Gossip], una formazione che amo molto comprendente Francesco Bigoni e il batterista sloveno Aljosa Jeric: ci definiamo un gruppo pop che suona col linguaggio del jazz.

Tra i gruppi di cui sono co-leader voglio citare anche un motore roboante dal nome Rollerball [leggi la recensione di La clinica del rasoio che vede oltre me Sorrentini, Terragnoli e Beppe Scardino e Piero Bittolo Bon alle ance varie, con cui stiamo preparando il secondo disco.

Cito ancora Nesso G, Zwei Mal Drei, USB... di cui sveleranno presto le sorti. Ed ancora un organico a cui sono affezionatissimo che si chiama Guano Padano e vede me, Zeno de Rossi e Alessandro Stefana alle chitarre. Non fa parte del catalogo del Gallo Rojo - il disco è uscito in Usa per Important Records ed in Italia per Tremoloa Records - e mi piace perché posso esprimere il mio lato country & western, cinematografico, surf-punk. Abbiamo realizzato un disco assieme a tanti ospiti amici tra cui Gary Lucas, Chris Speed, Piero Bittolo Bon, Riccardo Pittau, Alfonso Santimone e altri ancora, ma c'è anche Bobby Solo in una cover di Hank Williams ed il mitico fischiatore degli spaghetti-western Alessandro Alessandroni.

Sta avendo molto successo e andiamo in giro per l'Italia con una Volvo Polar del 1980 a diffondere e seminare tanto guano. Ci sono poi tantissimi altri gruppi di cui faccio fieramente parte....

AAJ: Su cosa stai lavorando in questo momento?

D.G.: Ho appena finito di registrare col gruppo di Mauro Ottolini, i Sousaphonix. Abbiamo registrato il secondo disco [dopo Sousaphonix] in una sessione che potrei definire straordinaria e delirante. Tutti i miei migliori amici sono lì. Sono stati quattro giorni intensi ma anche molto divertenti. Ho finito di registrare anche il secondo capitolo del gruppo Tinissima di Francesco Bearzatti, con De Rossi e Giovanni Falzone: gruppo fantastico! Il primo disco vedeva una suite ispirata a Tina Modotti [per leggerne la recensione clicca qui] mentre ora il riferimento è Malcom X. È un lavoro molto interessante anche perchè mette in gioco nel gruppo l'anima più nera, più soul. Non sono lavori miei ma ne faccio parte con orgoglio.

AAJ: È vero che l'idea di formare il Gallo Rojo è nata durante un viaggio in Messico con Zeno de Rossi?

D.G.: Si era il 2004 e con Zeno eravamo in tour musicale, tra Messico e Perù, che ha contribuito a farci venire delle idee. Una di queste era fondare un'etichetta che fosse indipendente ed originale sia nella forma musicale che in quella comunicativa, come l'impatto grafico. Tornati in Italia ne abbiamo parlato con Massimiliano Sorrentini ed altri amici musicisti ed è nata prima l'associazione culturale e poi il collettivo musicale, che vedeva all'inizio otto componenti. A distanza di cinque anni siamo diventati quattordici, tutti musicisti tranne uno.

Da allora siamo sempre quotidianamente a confronto via mail e la cosa più bella è che siamo amici e ci divertiamo a correre quest'avventura. Ci tengo a sottolineare che questa etichetta è un soggetto collettivo, non è l'etichetta mia e di Zeno, come spesso purtroppo viene scritto e delineato.

AAJ: C'è una divisione dei ruoli all'interno dell'etichetta?

D.G.: Cerchiamo di darci dei ruoli nei vari aspetti dell'organizzazione anche se siamo dei musicisti e non siamo molto esperti di altro. Comunque ognuno può intervenire su ogni questione e i ruoli prefissati possono poi essere variabili. Quando decidiamo di far uscire un disco lo mettiamo ai voti in cui prevale la maggioranza: questo in realtà vale per tutte le decisioni e vale anche per le idee grafiche.

AAJ: Chi si occupa di questo?

D.G.: Premetto che sin dall'inizio volevamo una linea forte, che potesse essere identificata subito. L'ideatore è stato Massimiliano Sorrentini, è lui il "concetto grafico" ma ora intervengono in molti che traggono ispirazione per la loro arte grafica dalla musica del disco, e sposano la "causa comunicativa" del collettivo.

AAJ: Ricordiamo qualche nome?

D.G.: I primi che mi vengono in mente sono Matteo Saccomani, Carola Ghilardi, Emanuela Stanganelli ed il grande illustratore croato residente a Brooklyn Danijel Zezelj che ci ha concesso tre cover, tra cui quella di Headless Cat, che è anche la mia preferita.

AAJ: Che importanza occupa la musica nella tua vita?

D.G.: Qualcuno dice che la musica è vita. Io dico che la vita è musica ovvero tutto quello che faccio nella vita è legato in qualche modo alla musica.

Foto di Claudio Casanova

Tags

Comments


PREVIOUS / NEXT




Support All About Jazz

Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who make it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

Go Ad Free!

To maintain our platform while developing new means to foster jazz discovery and connectivity, we need your help. You can become a sustaining member for as little as $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination vastly improves your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.