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Brice Wassy: Shrine Dance / Mabi Gabriel Thobejane: Madiba / Amampondo: Raw and Undiluted / Bafo Bafo:What Kind!? / Robert “Doc” Mthalane: Respect / AA.VV.:Acoustic Africa / AA.VV.: Africa 2000

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Gli anni ’90 dello scorso secolo non datano soltanto la fine dell’apartheid sudafricana ma anche il debutto dell’etichetta discografica MELT 2000, fondata da Robert Trunz (già proprietario del marchio hi-fi B&W) con il proposito di portare la musica dei sudafricani ad una più meritevole audience internazionale. Le risorse umane ed artistiche non mancavano di certo e la scelta di puntare su produzioni imperniate sulla miscela di sonorità/stili tradizionali e influenze globali si rilevò ben presto vincente.

Del resto, la programmatica proposta di una “Afrika Meltdown” (già titolo di un’omonima compilation) ben può essere espressa da una musica forgiata da un manipolo di musicisti che, oltre a miscelare vecchio e nuovo (nel significato strumentale più ampio di tradizionale ed elettronico) apportano un diversificato contributo anche in ordine alle commistioni con la musica proveniente da altri continenti.

In tal modo, più che caratterizzarsi come occasione per l’espressività di singole e separate personalità artistiche, i dischi della Melt sembrano avere più il carattere dell’omogeneità stilistica grazie all’intreccio-scambio, a giro stretto, di questi stessi musicisti che si ritrovano, a livello paritario, in molte delle produzioni Melt. Così è per i musicisti che incontriamo nei dischi di cui si parlerà: come a dire che ogni musicista può ben essere leader a patto che rispetti il turn over perché più che lo stile personale vale quello, spesso positivamente inclassificabile, scaturito dall’insieme dei contributi.

Brice Wassy

Shrine Dance

M.E.L.T. 2000

(2006)

Valutazione: 4 stelle

Brice Wassy, classico esempio di “musicista per musicisti” di livello internazionale, tanto per cominciare non è sudafricano bensì camerounense e di quel paese ha portato alla Melt non solo la ricchezza ritmica delle musiche cerimoniali (Manga, Mbeu, Nou Nga, Bikoutsi) ma anche l’esperienza maturata come direttore musicale dell’orchestra di Salif Keita, come sideman di Mirian Makeba e Manu Dibango e soprattutto l’approccio compositivo e sonoro del jazz acquisito a fianco di Colin Walcott, Don Cherry, Jim Pepper e Jean Luc-Ponty.

Particolare di non breve importanza dal momento che dobbiamo riconoscergli la fiera adesione ad un concetto tra i più importanti della musicologia recente: “Non può esservi jazz senza improvvisazione. Dal momento che l’improvvisazione è la base delle musiche tradizionali, si può dire che queste ultime saranno sempre jazz… il groove è l’atmosfera di questa concezione musicale.” Un concetto che viene tradotto nella sua musica profondamente africana ma arricchita da numerosi apporti linguistici. Che venga definita “Kù Music” o “African Jazz Dance” la musica del batterista Wassi, soprannominato non a caso “king of 6/8 rhythm”, ha trovato sicuramente nel jazz una fonte di suggerimenti inesauribile. Influenza non certo a senso unico se non solo Fela Kuti ha pontificato il suo stile percussivo ma anche musicisti come Billy Hart, Terron Gully e John Betsch.

Anche in Shrine Dance è interessante, nel modo di approcciare la materia, non solo l’estrazione stilistica dei componenti il suo gruppo, tra i quali Michael Bowie, Graham Haynes, Michael Mondesir, più un pianoforte “caribbean oriented”, le percussioni di Airto Moreira e Changuito, ma soprattutto la particolare attenzione alla voce umana, la sua. Ben riusciti in questo senso non è solo l’arrangiamento cantato di “Footprints” ma anche le sperimentazioni vocali sparse un po’ ovunque e soprattutto in “Takish” per voce e percussione corporea. Un disco decisamente personale e maturo, ben impostato e ben realizzato. Fresco e a suo modo intrigante. Molto consigliato.

Mabi Gabriel Thobejane

Madiba

M.E.L.T. 2000

(2002)

Valutazione: 4 stelle

Di esperienze jazzistiche non è a digiuno anche un altro percussionista, lui sì sudafricano, Mabi Gabriel Thobejane che pare abbia avuto l’onore di suonare, nei primi anni ’70, al fianco di Miles Davis. Noto anche come “Conga King” ha goduto di una buona esposizione sulla scena techno/trance collaborando con Ben Watkins (alias Juno Reactor) all’hit “Conga Fury” che l’ha portato a partecipare anche alla soundtrack di “The Matrix”. Ma è il jazz ad aver condizionato la sua carriera, non solo come batterista degli storici Malombo Jazzmen coi quali girò il mondo prendendo coscienza della diaspora africana ma anche quale animatore dell’innovativo gruppo jazz fusion Sakhile, gruppo dalla vita travagliata a causa dell’esilio al quale furono costretti i suoi componenti. Anche gli inizi di Thobejane furono difficili perché la famiglia, che aveva previsto per lui la carriera ecclesiastica, non mancò di ricorrere a metodi violenti per impedirne le volontà, e il debutto discografico come leader, Madiba, non poteva non riprendere la storia del suo rapporto con la musica.

Instancabile esploratore di suoni, egli suona una miriade di strumenti tradizionali africani molti dei quali anche “impropri” come giocattoli e oggetti d’uso comune (ma anche suoni di strada, effetti e live recordings) nonché la voce. La corposità essenzialmente ritmica della sua musica, scaturisce da ballate dalla struttura semplice ma riccamente connotate in termini di sonorità, si avvale delle componenti blues, trance e jazz soprattutto là ove opera come protagonista "ancora una volta, l’improvvisazione (la lunga track finale “Workshop” ne rappresenta l’epifania). L’obiettivo è la ballabilità, nelle varie accezioni emotive dettate da testi che affrontano tematiche anche socialmente impegnate, ma la lezione del free jazz, di moholiana memoria, è evidente soprattutto nell’apporto di corde e fiati (la tromba, di ascendenza cherryana è molto pertinente) che, pur muovendosi in direzione improvvisata, vanno a suffragare un ascolto a livelli paralleli allorquando si seguano gli slanci espressivi centrifughi rispetto al filone melodico e ritmico principale.

Amampondo

Raw and Undiluted

M.E.L.T. 2000

(2005)

Valutazione: 3,5 stelle

Dai percussionisti che si affrancano dal ruolo di gregario ai percussionisti che nella moltiplicazione ritmico-strumentale setacciano la tradizione musicale dell’intero continente. Un energico complesso di percussioni (al quale hanno collaborato anche Wassi e Thobejane) è "Amampondo" che significa "il popolo di Pondo", popolazione Xhosa di Pondo, località a nord di Transkei, sulla costa orientale sudafricana. Formatosi nel 1979 nel sobborgo di Langa, alla periferia di Città del Capo, ad opera di Mzikantu Zungula "Dizu" Plaatjies con un nucleo iniziale di sette componenti, si è prefissato lo scopo di preservare il ricco patrimonio musicale del Sud Africa e della popolazione Xhosa in particolare.

Ben presto però, di fronte all'occidentalizzazione della cultura, e quindi anche della musica, africana, il gruppo ha deciso di compiere una ricerca sui ritmi e gli strumenti autoctoni viaggiando per tutto il continente. Alcuni strumenti sono stati tratti dalla Nigeria, altri dalla Costa D'Avorio, dall'Uganda, dallo Zimbabwe nonché dalla regione di Transkei. Con la fine dell’apartheid, il gruppo è passato dalle esibizioni in strada ad una più meritevole attenzione discografica soprattutto dopo essere entrati nella scuderia Melt la quale ne ha patrocinato una discreta attività discografica e importanti collaborazioni internazionali come quelle con l'inglese Alan Skidmore, il brasiliano Airto Moreira ed il cubano Changuito. Col tempo la formazione si è allargata fino a quindici componenti con gran vantaggio anche della dimensione spettacolare dal momento che spesso la musica è accompagnata dal canto e dalla danza in costume.

Così il gruppo Amampondo ha sviluppato una musica neo-tradizionale, utilizzando ritmi, canti, danze di alcuni gruppi etnici del Sudafrica: gli Xhosa, gli Zulu, gli Shangaan, i Sotho. Fra gli strumenti usati compaiono corni, flauti, mbira oltre a tamburi di varie dimensioni e provenienze ma soprattutto strumenti salvati dall’estinzione come la tromba Kudu e gli xilofoni in legno Akandinda e Chopi.

Con un tale approccio filologico (nonostante il successo non è mai stata dismessa l’attività didattica del gruppo) gli Amampondo sono diventati i preferiti da Nelson Mandela e di Desmond Tutu e ad oggi possono essere definiti gli ambasciatori musicali del Sud Africa. Raw and Undiluted raccoglie varie registrazioni dal ’97 in avanti e ne restituisce solo in parte quella rappresentatività più consona, come vedremo, al formato immagine.

Bafo Bafo

What Kind!?

M.E.L.T. 2000

(2005)

Valutazione: 3,5 stelle

Dalla tradizione alla modernità, ovvero una collaborazione transculturale tra due eclettici chitarristi che testimonia le opportunità offerte dal crogiuolo multietnico del Sud Africa nonché l’etica del suo rinascimento musicale. Syd Kitchen suona la chitarra acustica ed elettrica, il flauto, le percussioni e canta miscelando in uno stile eterogeneo elementi provenenti dal patrimonio celtico, afrikaans, jazz, cajun e qualche lontano eco mediorientale mentre Madala Kunene, anch’egli alla chitarra e alla voce (i testi sono in Zulu, inglese e Fanigalo che è uno slang urbano) estrae le radici del suono tradizionale sviluppando il tipico groove “maskanda” ottenuto alla meglio suonando l’isitololo, uno strumento simile ad un’arpa. Del resto Kunene proviene dalla scuola dei musicisti autodidatti, che si sono formati suonando una chitarra autocostruita con una latta di olio e fili presi dalla rete da pesca, il suo approccio è prettamente spirituale e ci tiene a sottolineare la sua attitudine a cadere in trance mentre suona, un modo assai diffuso di entrare in contatto con gli avi.

Le due facce della medaglia sudafricana dunque questo What Kind!? album d’esordio dell’accoppiata Bafo Bafo (Bafo in zulu significa fratello) che orgogliosamente rivendica l’uscita dall’isolamento politico e culturale, programmaticamente fissato in quel “manje isikhathi sesifikile” (da tradursi come “qui ed ora”) che compare spesso in testi socialmente impegnati. Canzoni gradevoli, spesso incardinate su piccole cellule ritmico-melodiche reiterate e con afflato tipicamente bluesy, tanto poco musicalmente presuntuose da aspirare alle programmazioni radiofoniche di massa ma un buon esempio di quelle miscelazioni sonore tipiche della globalizzazione costruita dal basso, dall’urgenza di esprimersi a diversi livelli e non certo a tavolino.

Robert “Doc” Mthalane

Respect

M.E.L.T. 2000

(2000)

Valutazione: 3 stelle

Oltre al chitarrista Busi Mhlongo, che compare anche a fianco dei musicisti citati in questa breve rassegna, merita citare un omaggio ad un chitarrista molto apprezzato da tutti i musicisti sudafricani, Robert “Doc” Mthalane, che proprio negli anni ’90 ha scritto e suonato parecchi brani del repertorio di Mhlongo. Se Kunene è soprannominato “the king of zulu’s guitar” Mthalane era invece “il Jimi Hendrix del Sud Africa” per aver spostato l’asse stilistico della chitarra africana su un versante più corrosivo e soprattutto, più articolato dal punto di vista compositivo. Sfortunatamente deceduto nel 1998 in seguito alla tubercolosi, Mthalane non è stato dimenticato dai suoi compatrioti e questo Respect vede proprio gli stessi musicisti di cui abbiamo parlato, affiancarlo in alcune registrazioni effettuate a Londra negli ultimi anni di vita ed omaggiarlo con un lungo brano finale a lui dedicato “Song for Doc”.

AA.VV.

Acoustic Africa [DVD]

M.E.L.T. 2000

(2005)

Valutazione: 4 stelle

Insomma, un disco che si presta ad offrire un assaggio delle qualità dei musicisti fin qui citati ma, se si volesse qualcosa in più, così da impegnare non solo l’orecchio ma anche l’occhio, ecco Acoustic Africa un DVD edito sempre dalla Melt con materiale ripreso il 22 ottobre 2004 al Live @ The Fort West Village Heritage & Cultural Festival a Tshwane (a Ovest di Pretoria) costruito attorno a quattro musicisti nati o cresciuti nella cittadina nei sobborghi di Pretoria. Primo fra tutti il già citato chitarrista Madala Kunene in un quartetto comprendente Greg Hadjiyorki Georgiades, un altro chitarrista nonché virtuoso dell’oud e del bouzouki, Ashish Joshi alle tabla e il decano contrabbassista Ernst Mothle. Gli infuocati duetti dei due chitarristi, sempre cavalcando l’onda bluesy ma sferzata da ventate orientaleggianti e l’amalgama strumentale del quartetto già la dice lunga sulla varietà del sincretismo musicale proposto. Gli ispiratissimi ammodernamenti in stile Nu-Jazz del bassista Carlo Mombelli con il gruppo “The Prisoners of Strange” sono l’ideale contraltare per l’ortodosso e raffinato jazz di marca sudafricana del contrabbassista Mothle alla guida di un folto gruppo di “friends”, e ancora l’inarrestabile Kunene con il giovane Bernard Mndawen (ove trova spazio un entusiasmante duetto con Mabi Thobejane) nonché l’altra giovanissima speranza, il chitarrista Ntombe Thongo con la sua modernissima e rustica Tutsu’s African Band, completano un DVD che offre anche informazioni biografiche ed epigrammatiche performances solitarie dei musicisti.

AA.VV.

Africa 2000 [DVD]

M.E.L.T. 2000

(2007)

Valutazione: 4 stelle

Ancora più efficace dal punto di vista “riepilogativo” è un altro DVD, Africa 2000 registrato al Bagley’s Studio in Kings Cross a Londra il 20 settembre 1996, una intera nottata organizzata come show case della B&W di allora per presentare la nuova linea discografica imperniata sulla musica sudafricana. Nulla avrebbe potuto essere più promettente data l’intensità della musica e dello spettacolo che ruotava attorno ai musicisti e danzatori dell’ensemble Amampondo con i loro invitati, gli immancabili Brice Wassy e Mabi Thobejane ma anche i percussionisti Airto Moreira e Louis Quintana aka Changuito, il trombettista Byron Wallen e la Mashango Dance Company diretta da Risengo Makondo.

Dalla poetica introduzione di Mantombe Matotiyana al uhadi (mouthbow) lo strumento più antico del mondo, un piccolo arco di legno ad una corda tenuto tra la mano e la bocca e sfregato con un bastoncino, di origine africana ma che ritroviamo anche tra i nativi nordamericani, alle danze rituali con le kudu horns fino allo stuolo di percussioni, balafon e xilofoni conditi con danze e vere e proprie acrobazie, tutto è sviluppato lungo una vitale ed ininterrotta improvvisazione ritmica che sfocia, nella seconda parte della serata nello speciale dedicato a Madala Kunene con gli ospiti di cui si è detto ad affrontare il repertorio del chitarrista Zulu.

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