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Brad Mehldau Trio
La letteratura su Brad Mehldau è sterminata. I critici hanno recensito, analizzato nota per nota, discusso, espresso opinioni. Dire e scrivere qualcosa di nuovo diventa compito sempre più arduo e qui, del resto, si vuole soltanto raccontare di un suo concerto.
Il lettore perdonerà l'autore, dunque, se tra le righe farà capolino la distorsione prospettica del musicista, che, per quanto tenuta a freno, in chi scrive sorpassa di molto quella del critico.
Venerdì 20 luglio Mehldau, insieme al suo trio, era all'Arena del mare, presso il porto antico di Genova. Lo ospitava il Gezmataz festival, una rassegna di concerti e di seminari didattici, quest'anno alla sua nona edizione, organizzata dall'associazione culturale omonima, sotto la direzione artistica del chitarrista genovese Marco Tindiglia.
Da quasi vent'anni, Mehldau lavora sulla forma del trio. Esattamente da dieci, suona con Larry Grenadier al basso e Jeff Ballard alla batteria. Sarà anche una considerazione tautologica, ma questo studio approfondito delle dinamiche del trio e questa frequentazione assidua con la sua ritmica prediletta fanno sì che Mehldau, quando si trova nello stato di forma e d'ispirazione in cui era a Genova venerdì, suoni musica di enorme compattezza, espressività e, dato non trascurabile, fruibilità anche da parte dell'orecchio meno abituato al jazz.
La formazione è in tour per presentare Ode, l'ultimo suo lavoro, in cui esegue composizioni originali di Mehldau. In realtà, almeno nella tappa genovese, c'è stato ben poco spazio per il nuovo disco. Il gruppo ha scelto di proporre il repertorio che lo ha reso famoso: brani di Lennon e McCartney, di Charlie Parker e dei Platters, accanto ad un paio di originali.
Il concerto comincia con "Hey Joe" di Hendrix e già dal primo brano appare evidente l'impronta che il gruppo intende dare alla musica. Mehldau in solitudine suona qualche misura d'introduzione, poi entra la ritmica per l'esposizione del tema e per i soli. Spesso è Grenadier ad improvvisare per primo, seguito da Mehldau in un crescendo dinamico lento e paziente, senza strappi e per questo dotato di grande forza drammaturgica.
Proprio l'aspetto della pazienza con cui i tre costruiscono le loro improvvisazioni è quello dal quale traspare con assoluta limpidezza il lavoro esplorativo e la conoscenza reciproca dei musicisti. Nessuno di loro sembra avere fretta o smania di lasciarsi andare ad esibizioni di perizia tecnica, eppure tutti e tre ne avrebbero la possibilità, se volessero: invece essi preferiscono attendere, far crescere la tensione espressiva, rafforzare le dinamiche sino al raggiungimento del climax e, sapientemente, lasciare spazio al solista successivo. Questo è ciò che è accaduto sempre, inesorabilmente, ad ogni brano.
Il pubblico ci mette poco ad entrare in sintonia con il trio: comprende all'istante la musica che lo attende e sa cosa aspettarsi.
Per buona parte del concerto i ruoli dei tre restano grossomodo paritetici: tutti si ritagliano gli stessi spazi. Negli ultimi due brani prima dei bis è invece Mehldau a prendere il centro della scena eseguendo lunghe cadenze in piano solo. Nei soli, complice anche la scelta dei brani, il pianista indugia frequentemente su blue notes e fluidi fraseggi della mano destra, ma a tratti ("Samba e amor") riemerge il Mehldau poliritmico e "decostruttivista" che si ascoltava nei primi anni di carriera: quello di Alone Together con Lee Konitz e Charlie Haden, per intendersi.
Grenadier è il vero motore ritmico del trio: potente ed intonato, è lui ad ancorare il gruppo ad una solida pulsazione, che non viene mai contraddetta, lasciando a Ballard la possibilità di scegliere se rafforzare la ritmica o muoversi liberamente sul tempo, ciò che egli fa spesso quando si mette in dialogo con il leader.
L'interazione densa e stratificata di cui s'è detto, però, emerge solo ad un ascolto approfondito al limite della pedanteria. La prima e più netta impressione, invece, è quella d'una musica di estrema e straordinaria linearità: di qui la dimensione della fruibilità cui s'accennava in apertura.
Quando il gruppo (Mehldau in testa) è in grado di suonare con questa coesione e bellezza estetica, andarlo ad ascoltare è una necessità. L'appassionato più esigente trova motivo di soddisfazione, il musicista può vedere il concerto come una lezione di arte del trio.
Merita di essere segnalato un Mehldau di buon umore, che si rivolge una sola volta al pubblico, ma lo fa in italiano.
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