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Bologna: Schoenberg - Rihm, le ombre della modernità.

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L'ultimo appuntamento della rassegna "Il nuovo l'antico," mirata propaggine autunnale del Bologna Festival, sottotitolata quest'anno "Schoenberg - Rihm, le ombre della modernità," si è svolto il 7 novembre con il coro del Teatro Comunale di Bologna che, sotto la direzione di Lorenzo Fratini, ha affrontato un programma in cui il Novecento di Schoenberg e Rihm si collegava alla maestria compositiva di Johann Sebastian Bach.

Ma già i precedenti concerti della rassegna hanno offerto materia sufficiente per tracciare un credibile bilancio sugli esiti delle scelte programmatiche di fondo. Si è infatti manifestato in tutta la sua evidente coerenza l'obiettivo principale perseguito dal direttore artistico Mario Messinis: quello di indagare e dimostrare il rapporto fra la musica di Wolfgang Rihm, che il 13 marzo 2012 ha compiuto sessant'anni, ed alcuni precedenti storici, secondo un atteggiamento di adesione da un lato di superamento dall'altro di quei medesimi modelli, in primis l'espressionismo dello Schoenberg pre-dodecafonico, ma "anche memorie del Romanticismo tedesco, soprattutto dell'ultimo Schumann visionario".

A tale proposito va ricordato per inciso che la programmazione 2012 de "Il nuovo l'antico," ospitata come sempre nell'accogliente Oratorio di San Filippo Neri, si inserisce nel più ampio palinsesto di "The Schoenberg Experience," imponente iniziativa che, iniziata nel 2011, si protrarrà a Bologna, Reggio Emilia e Ferrara fino alla primavera 2013 grazie alla collaborazione fra numerose istituzioni culturali e festival.

Esemplare il concerto del 17 ottobre in cui il Quartetto di Cremona ha interpretato tre quartetti d'archi rispettivamente di Schumann, Schoenberg e Rihm. Sono risultati evidenti i rimandi, le analogie, i rispecchiamenti esistenti fra loro: tre composizioni che, concepite a distanza di una sessantina d'anni l'una dall'altra, sembrano dare risposte diverse alla medesima domanda, coniugando la stessa esigenza tematica emotivo-contenutistica secondo sensibilità e tecniche compositive personali di volta in volta aggiornate.

Il Quartetto in la minore op.41 n. 1, concluso da Schumann nel 1843, dà voce ad una visione tipicamente romantica, traducendo in fluidità e armonioso equilibrio un mondo in realtà emaciato, ansioso, problematico. Anche i movimenti Allegro, Scherzo e Presto non sono mai spensierati o gioiosi, ma sempre tumultuosi, affannati; fortemente cadenzato il famoso Presto conclusivo.

La prima esecuzione del Quartetto n.1 in re minore op. 7 di Schoenberg avvenne a Vienna il 5 febbraio 1907. Si tratta di una composizione visionaria ed espressionista, lontana dalla sintesi radicale della dodecafonia; in essa la struttura compositiva viene sgretolata e dilatata portando alle estreme conseguenze le istanze tumultuose del tardo romanticismo. "Disperazione, tensione, energia" furono le parole d'ordine all'insegna delle quali l'autore viennese intese dare corpo al suo quartetto. Riascoltata oggi questa pagina non suscita certo l'impressione che fece al suo apparire, quando venne dai più rifiutata come scandalosa eccentricità. Semmai dall'esecuzione bolognese del Quartetto di Cremona si è desunta una certa prolissità nei suoi quarantaquattro minuti, una certa uniformità e ridondanza di soluzioni compositive passando dall'Allegro allo Scherzo, prima di transitare attraverso l'area di sfrangiata sospensione e raccoglimento rappresentata dall'Adagio e di raggiungere una relativa serenità nel Rondò finale.

Con un balzo di settant'anni, durante i quali nella musica europea si è espresso tutto e il contrario di tutto, si giunge al Quartetto n. 3 "Im Innersten" di Rihm, la cui prima esecuzione risale al 1976: una composizione in cui si respira una perfetta assonanza con lo spirito dei precedenti storici sopra ricordati. In essa si assiste a un'alternanza quasi schizofrenica fra eccitazione ipercinetica e depressione: il prevalente affanno prevede plaghe di acquietamento, quasi di serenità, ma si tratta di una serenità introversa e rassegnata, senza speranza, che nasce più dalla disperazione che dall'appagamento. Nelle ultime battute si profila una possibile conciliazione degli opposti tramite la giustapposizione di accordi affermativi e possenti e frasi melodiche di vibrante lirismo, prima di un progressivo spegnimento nell'incantata dolcezza del pianissimo.

Tutto è nato ed esistito in primo luogo nella mente, nel cuore e nella penna degli autori, tuttavia le partiture rimarrebbero grafici di segni significanti solo per pochi e muti ai più se non venissero tradotti in suono e musica dall'interpretazione; è quest'ultima a dare vite sempre nuove e diverse alle composizioni, reincarnandole e inverandole nell'attualità. Quelle dell'affiatato Quartetto di Cremona sono state interpretazioni del tutto convincenti, a tratti esaltanti. La cadenza dell'ultimo movimento del quartetto di Schumann è stato troppo marcata? Il rovello dei momenti più esagitati del quartetto di Rihm potrebbe essere reso con un piglio più secco, essenziale e contrastato? Forse, ma si tratta solo di impressioni soggettive, ampiamente marginali, che non possono negare l'efficacia di un'interpretazione compatta, sempre partecipata, capace di dare un senso compiuto a quelle composizioni, esaltandone le movimentate evoluzioni.

Ulteriori motivi di approfondimento sono venuti dal concerto del 26 ottobre in cui il mezzosoprano Martina Belli e il pianista Pierpaolo Maurizzi hanno rivisitato una ragionata selezione di Lieder di Schoenberg, Rihm e Brahms. In Das Buch der hängenden Gärten op. 15, concepito nel 1909, il primo si affida con esaltato entusiasmo ai testi poetici di Stefan George, ognuno dei quali è monotematico e focalizza una situazione circoscritta in cui i sentimenti umani difficilmente prescindono da un rispecchiamento in una natura trasfigurata. Il prezioso linguaggio di questo decadentismo di fine Ottocento arriva così a delineare una sorta di aiku estesi e sofisticati. Per sua stessa ammissione, il compositore soggiace alla suggestione inebriante della sonorità delle parole iniziali, senza preoccuparsi più di tanto dell'ulteriore sviluppo della composizione poetica. Per ognuna delle quindici poesie egli prosciuga quel preziosismo decorativo e ne distilla visioni espressioniste; la musica assume un andamento dinamico ed emotivo elastico, quasi bipolare, accostando accelerazioni e distensioni, apici e spegnimenti dell'enfasi. L'interpretazione della cantante e soprattutto quella del pianista, attenta, puntigliosa, partecipata nella giusta misura, ha reso al meglio questa alternanza fra i momenti di esaltata accensione e quelli di incantata sospensione.

Quasi un secolo dopo, nel 2003, al Festival di Salisburgo veniva proposto Levant Gesänge, lavoro di Rihm che modella la musica su cinque poesie tratte da Bettlerschale di Christine Lavant. Per quanto la durata sia inferiore a quella dei Lieder sopracitati di Schoenberg, Rihm non persegue la medesima sintetica essenzialità, creando un impianto strutturale dilatato, quasi uniforme nel suo andamento ondivago, giocato costantemente su più piani ma con fremiti minimali e prudenti, con un apporto emotivo trattenuto e interiorizzato. Gli interpreti hanno restituito l'atmosfera statica e livida, intimamente drammatica, dei testi e della musica.

Per quanto Vier ernste Gesänge op. 121, prevalentemente su testi tratti dall'Ecclesiaste nella versione biblica di Lutero, rappresenti il Brahms estremo, proiettato in una dimensione che sembra voler superare il Romanticismo, la musica presenta una narrazione melodica, un tipo di cantabilità ben diverse rispetto alle due composizioni di Schoenberg e Rihm. L'interpretazione vocale della Belli, costretta in questo caso ad una più ampia gamma cromatica, dal registro grave ad acuti lirici, ha esposto timbri caldi e morbidi, modulazioni di sofferta umanità.

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