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Andrew Hill : Smoke Stack / Time Lines
ByAndrew Hill
Smoke Stack
Blue Note Records
(2006 - distr. Emi Italia)
Valutazione: 5 stelle
Registrato il 13 dicembre 1963 ad Englewood Cliffs, New Jersey, nell’ormai storico studio di Rudy Van Gelder, Smoke Stack vede all’opera un originale quartetto comprendente piano, doppio contrabbasso (Richard Davis ed Eddie Khan) e la batteria di Roy Haynes. Già il brano omonimo evidenzia in apertura gli assi portanti del disegno concepito da Hill: l’azione ondivaga dei due contrabbassi, con Davis che sovrappone linee articolate e ficcanti alla pulsazione del collega; il loro proficuo contrasto con il drumming fittissimo e frastagliato di Haynes; il loro continuo intersecarsi con le progressioni armoniche intricate ed i rivoli dissonanti del piano.
Si colgono inoltre alcune affinità contenutistiche (sarebbe interessante appurare quanto volute) con il movimento free, allora in piena ascesa. In primis, appunto, l’impiego dei due contrabbassi, già sperimentato da Ornette Coleman nella pietra miliare Free Jazz e poi ripreso nel 1965 da John Coltrane nella vera e propria svolta epocale di Ascension. Non a caso, scorporata da alcuni brani di questo disco, la ritmica potrebbe essere trasposta in maniera indolore in alcune incisioni dei succitati Coleman e Coltrane. In ultima analisi, poi, il pianismo di Hill (che dimostra di aver assimilato a fondo la lezione di Bud Powell e Thelonious Monk) fuoriesce spesso da un alveo armonico di natura prevalentemente modale, avvicinandosi nei passaggi atonali alla ricerca di Paul Bley e del Cecil Taylor del quinquennio precedente, da Looking Ahead! in poi.
Oltre a questi doverosi riferimenti storici e stilistici, emerge poi una forte componente africana: latente nel pianismo di Hill, provvisto di accentuate connotazioni ritmiche arricchite dall’uso di block chords; evidente negli incastri e nelle stratificazioni creati dall’interazione spesso paritaria del quartetto. Questo è riscontrabile anche nei frangenti in cui tali procedimenti si sovrappongono ad un flusso swingante, rendendo comunque tutt’altro che semplice individuare il tempo di base. Si veda ad esempio “Not So”, dove questa dialettica contrasta efficacemente con la musicalità con cui Haynes fa letteralmente danzare e “cantare” il proprio set percussivo. Ad ulteriore riprova di questo assunto, è raccomandabile anche un attento ascolto di brani come “The Day After” e “Ode to Von”. Se se ne estrapolasse lo scheletro armonico e lo si trattasse convenzionalmente, se ne ricaverebbero pezzi godibili, addirittura cantabili.
In un tale contesto, debitamente distante dal free e già molto avanti rispetto agli stilemi hard bop, gioca un ruolo fondamentale Davis, per almeno tre ragioni fondamentali: a) la già menzionata funzione di interlocutore privilegiato per Hill; b) il particolare impiego dell’archetto, che disegna curve sinuose e dolenti, come in “Wailing Wail”; c) il pizzicato secco, vagamente dissonante, che assume scarni contorni poetici in “Verne”, unico brano in trio, dalla struttura affine alla ballad. Vale la pena sottolineare ancora una volta la grandezza e la versatilità di questo bassista, che si colloca degnamente sulla scia di Oscar Pettiford ed occupa senza dubbio un ruolo di primo piano nella storia del moderno contrabbasso jazz (non meno, ad esempio, del quasi coetaneo Ron Carter, dotato di caratteristiche analoghe). Da lì a tre mesi (marzo 1964) Davis avrebbe partecipato (con Kenny Dorham, Joe Henderson, Eric Dolphy e Tony Williams) alla realizzazione di Point of Departure, caposaldo della produzione di Hill, autentico punto di partenza verso ulteriori tappe del jazz contemporaneo.
In tempi recenti alcuni esponenti di ciò che negli anni ’60 si definiva “avanguardia” hanno optato per un percorso a ritroso di riconsiderazione critica dei valori tradizionali (si pensi ad Archie Shepp, tanto per fare un nome). In qualche misura, il discorso potrebbe valere anche per Hill, ma sarebbe alquanto riduttivo collocare l’attuale produzione del pianista chicagoano nell’ambito di una pur acuta revisione di elementi del patrimonio afroamericano.
Andrew Hill
Time Lines
Blue Note Records
(2006 - distr. Emi Italia)
Valutazione: 5 stelle
Registrato tra il 23 giugno ed il 18 luglio 2005, Time Lines si propone come un logico sviluppo dei semi fecondi gettati in quel mirabolante decennio. Infatti, pochissimi quintetti odierni poggiano su una concezione compositiva talmente avanzata e possono vantare un approccio esecutivo così originale come quello assemblato da Hill con il redivivo Charles Tolliver alla tromba, Greg Tardy ai clarinetti ed al tenore, John Hebert al contrabbasso ed Eric McPherson alla batteria.
A prevalere è ancora una volta una decisa componente africana, debitamente trasfigurata in un contesto jazzistico contemporaneo. La comprova una netta impronta poliritmica, configurata dagli ostinato e dai fraseggi segmentati del piano, dal tocco fortemente viscerale del contrabbasso, dalle figurazioni circolari della batteria, non di rado sviluppate “off the beat”. Ad esempio, nel brano omonimo le figure di basso del piano, unitamente alle linee di Hebert, compongono (e scompongono) tra le righe un impianto di matrice caraibica, probabilmente l’ennesimo riferimento alle radici del compositore. La tromba ed un tenore shorteriano riprendono quegli stessi impulsi ritmici, per poi elaborarli in maniera appropriata. In particolare Tolliver ripropone le sue proverbiali frasi scoppiettanti, alternando dei saliscendi crepitanti ad improvvise distensioni. Quanto a Hill, giova ribadire che (oltre agli ostinato ed alla scomposizione delle frasi in segmenti o addirittura frammenti) si avvale non di rado anche di block chords per esaltare appieno lo sviluppo delle cellule ritmiche.
Particolarmente incisivo al clarinetto in Sibemolle, Tardy intesse succosi intrecci ed intavola intriganti schemi di “call and response” - botta e risposta - con la tromba. Applica questo criterio anche allo swingante uptempo di “Smooth”, rivelando un linguaggio moderno, affine a quello di Don Byron per le escursioni sui registri acuti, ma comunque memore di Buddy De Franco e Tony Scott per il magistrale swing e l’innato senso del blues. Al clarinetto basso, dimostra invece di essersi svincolato dall’eredità ingombrante di un gigante come Eric Dolphy. Benché la sua interazione con Tolliver possa occasionalmente ricordare il sodalizio tra Booker Little e Dolphy, di quest’ultimo Tardy non possiede le geniali divagazioni dall’alveo armonico. Semmai, nella predilezione per certe timbriche scure può avvicinarsi a Bennie Maupin. La dinamica tra tromba e clarone si rivela poi particolarmente efficace in “Ry Round 2”, sostenuta da un ostinato pianistico che funge da vero e proprio fulcro ritmico.
Aprono e concludono questo composito, ma estremamente unitario, affresco di musica afroamericana contemporanea (azzardiamo questa definizione) due versioni radicalmente differenti di “Malachi”, dedicata da Hill a Favors, lo straordinario contrabbassista dell’Art Ensemble of Chicago recentemente scomparso. La versione iniziale, in gruppo, riassume i principali tratti espressivi sopra esposti, forte di un tema dolente, lirico ma asciutto, esposto dall’intreccio tra clarinetto e tromba sulla scia di una ritmica libera e fluttuante. Quella finale, per piano solo, è densa nelle battute iniziali di umori impressionistici (c’è Satie dietro l’angolo?) ed è poi permeata da un respiro sottilmente drammatico che (quasi per assurdo) l’apparenta a certi notturni classici, in un felice equilibrio tra Africa, America ed Europa. Per tutte queste ragioni senz’altro Time Lines si candida autorevolmente ad essere collocato tra i capolavori degli ultimi anni.
Elenco dei brani e Musicisti
Smoke Stack
Elenco dei brani: 01. Smoke Stack - 4:58; 02. The Day After - 5:05; 03. Wailing Wail - 5:43; 04. Ode to Von - 4:27; 05. Not So - 6:22; 06. Verne - 5:46; 07. 30 Pier Avenue - 7:05; 08. Smoke Stack (alternate take) - 4:17; 09. The Day After (alternate take) - 4:46; 10. Ode to Von (alternate take) - 5:27; 11. Not So (alternate take) - 6:28
Tutte le composizioni sono di Andrew Hill
Musicisti: Andrew Hill (piano); Richard Davis (contrabbasso); Eddie Khan (contrabbasso); Roy Haynes (batteria).
Time Lines Elenco dei brani: 01. Malachi - 7:01; 02. Time Lines - 9:00; 03. Ry Round 1 - 8:57; 04. For Emilio - 9:38; 05. Kin'ler - 8:55; 06. Smooth - 8:11; 07. Ry Round 2 - 7:52; 08. Malachi (solo piano version) - 5:31 Tutte le composizioni sono di Andrew Hill
Musicisti: Andrew Hill (piano); Charles Tolliver (tromba); Greg Tardy (clarinetto, clarinetto basso, sax tenore); John Hebert (contrabbasso); Eric McPherson (batteria).
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