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Aarset/Rabbia/Petrella Trio e Camilla Battaglia alla Sala Vanni di Firenze

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Aarset-Rabbia-Petrella Trio
Camilla Battaglia
A Jazz Supreme
Sala Vanni
Firenze
19.10.2019

Riapertura autunnale in Sala Vanni della rassegna del Musicus Concentus, A Jazz Supreme, con un doppio concerto: il prestigioso trio di Eivind Aarset, Michele Rabbia e Gianluca Petrella, introdotti da un solo di Camilla Battaglia.

La giovane cantante, che ha destato molto interesse con il suo album EMIT: Rotator Tenet, ha proposto un concerto in solitudine intitolato Perpetual Possibility, elaborando dal vivo la sua voce con l'elettronica. Poco più di mezz'ora di musica ricca di situazioni diverse, con momenti di pura elettronica accanto ad altri nei quali la cantante ha potuto sfruttare ed esibire le sue qualità vocali. Una sorta di narrazione sonora entro la quale anche gli aspetti scenici e gestuali contavano molto, assai difficile da gestire per la quantità di cambi nell'uso della voce, nell'espressività e negli artifici elettronici, ma che alla fine ha funzionato benissimo, al netto di qualche piccola esitazione. Con il pubblico che è parso apprezzare molto una performance tutto sommato non immediata e che richiedeva attenzione.

Un successo che, subito dopo, ha incontrato anche il piatto forte della serata, che a chi scrive ha invece destato non poche perplessità. I tre musicisti, che hanno da poco pubblicato per ECM il disco Lost River, si sono presentati tutti con apparati elettronici ad affiancare i loro strumenti: Petrella aveva pedali e manopole con i quali operava non solo sul suono del trombone, ma anche sulla sua voce; Aarset, oltre alla chitarra, disponeva di un sintetizzatore e di un laptop; Rabbia lavorava alla batteria con una varietà di oggetti e anch'egli aveva a disposizione un laptop. L'elettronica l'ha fatta così da padrona, ma questo aspetto—peraltro essenziale nel progetto—non sarebbe di per sé stato un problema, se non fosse stato il modo in cui è stata usata e fatta interagire con i suoni degli strumenti.

Iniziando da Petrella, il suo trombone era costantemente filtrato da effetti—più spesso da eco, talvolta da distorsioni—e, quando non lo era, veniva suonato alla massima intensità proprio sul microfono, così da mantenere la dinamica altissima a danno delle sfumature. Dal canto suo Aarset ha suonato pochissimo la chitarra e sempre in modo soffuso e puntillistico; per il resto ha prodotto suoni al computer e alla tastiera, costruendo quasi solo un tappeto di sfondo. Ancor meno convincente Rabbia, che a più riprese ha tentato la via a lui più cara, quella del sottile ricercatore di suoni, cosa però che in quel contesto è parsa spesso fuori luogo fino al grottesco—per esempio quando ha usato uno spray sui tamburi, inudibile viste le dinamiche che in quel momento aveva il trombone di Petrella.

L'ora abbondante di musica è così vissuta quasi esclusivamente di un gioco di dinamiche, con il passaggio da momenti sospesi, con suoni che rimbalzavano l'uno sull'altro (qui Petrella era perlopiù alla voce e Rabbia poteva esprimersi più compiutamente), ad altri dall'intensità perfino troppo potente, che non permetteva di distinguere a sufficienza i suoni e contava soprattutto sulla comunicazione al pubblico della famigerata "energia." Complessivamente, quindi, molta evocatività elettronica, molti stimoli dinamici, ma poche sfumature espressive e un discorso narrativo piuttosto confuso.

È curioso osservare come il disco sia in realtà piuttosto diverso: quasi esclusivamente su intensità sonore moderate—cosa che permette a Rabbia di essere più palesemente partecipe del suono complessivo e a Petrella di esprimere meglio il suono del trombone—sviluppa in modo più nitidamente percepibile anche il percorso drammaturgico, pur conservando l'impronta elettronico-evocativa. Sviluppo discutibile o incidente di percorso?

Foto: Eleonora Birardi.

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