Home » Articoli » Live Review » Young Jazz Festival 2012 a Foligno
Young Jazz Festival 2012 a Foligno
Anche il Young Jazz Festival, tornato sotto la direzione artistica di Giovanni Guidi in questa ottava edizione, ha dovuto fare i conti con i tagli di bilancio. Nonostante ciò la programmazione di maggior rilievo ha continuato ad estendersi lodevolmente su tre giorni (24-26 maggio), incorniciati da un prologo ed un epilogo con finalità anche extrajazzistiche. Si è inoltre optato per ambientare tutti i concerti in suggestivi spazi del centro storico di Foligno, rinunciando a quella distribuzione territoriale che nelle passate edizioni aveva coinvolto altri comuni: Spello, Trevi, Montefalco, Bevagna... Località che anche quest'anno sono comunque rientrate nel programma del festival per i loro circuiti museali.
I concerti serali, che hanno dato spazio a tre formazioni consistenti, sono stati aperti nella gremitissima Corte di Palazzo Trinci dal Dave Douglas & Keystone, uno dei progetti più consolidati fra quelli del trombettista americano. L'impostazione del quintetto ha proposto sostanzialmente un incrocio fra funky e fusion, reso evidente dal ruolo dell'efficace basso elettrico di Brad Jones, della batteria di Gene Lake e soprattutto del Fender Rhodes effettistico di Pete Rende. I risaputi cliché del genere sono stati però evitati da una costruzione più matura e sapiente, da un'efficienza dal carattere non solo rituale, che hanno conferito un tono nervoso ad un jazz che si è delineato come una delle espressioni dell'attualità.
I quattro partner si sono dimostrati del tutto funzionali e di spiccata personalità, soprattutto il sassofonista tenore Marcus Strickland, dal ponderato eloquio, e Gene Lake, il cui drumming poderoso ha fornito un sostegno costante e si è dispiegato in un assolo monolitico. Ma a svettare su tutti è stata la voce del leader: nei frequenti interventi della sua tromba il fraseggio veloce e le progressioni perentorie si sono lanciati verso il registro acuto con accenti di grande lirismo.
La sera seguente c'era grande attesa per A10A10, un composito tentetto messo insieme per celebrare il decimo anniversario della Auand. In una mirata iniziativa promozionale, nel novembre scorso l'etichetta pugliese aveva presentato i suoi artisti a New York, facendoli interagire con jazzisti americani congeniali; si coagularono così dieci formazioni diverse, che si esibirono in cinque locali differenti durante cinque giorni. Dopo quell'esperienza d'oltre Oceano, appositamente per il Young Jazz è stata concepita questa formazione comprendente Francesco Lento alla tromba, Andrea Ayassot al contralto, Emanuele Cisi e Francesco Bigoni ai tenori, Beppe Scardino al baritono e al clarinetto basso, Francesco Diodati alla chitarra, Gabrio Baldacci alla chitarra baritono, Giancarlo Tossani al piano e piano elettrico, Francesco Ponticelli al contrabbasso e basso elettrico, Ermanno Baron alla batteria. I sette brani eseguiti, differenti fra loro per mood e strutture, erano a firma di Baldacci, Ayassot, Bigoni, Tossani, dell'assente Bearzatti e due di Diodati.
Una sintesi critica della performance di questo inedito gruppo si presenta abbastanza problematica. Indubbiamente si è trattato di un esperimento importante, che ha prodotto una musica avanzata, frastagliata in situazioni diversificate e ben arrangiate, eseguita con partecipazione da parte di tutti, ma personalmente ritengo che l'ambizione progettuale abbia prevalso sulla consistenza espressiva, la democratica convivenza su una prepotente e originale identità stilistica, la diligente lettura degli spartiti e le sequenze degli elaborati collettivi e degli assoli concisi su una fusione metabolizzata che potesse dare sostanza e spontaneità autentiche all'improvvisazione. È auspicabile che questa giovane compagine possa contare su ulteriori possibilità di esibirsi dal vivo per concretizzare un risultato più maturo e convincente.
Nella serata finale, fra le pareti affrescate dell'affollato Auditorium San Domenico, si è potuta rilevare una ben maggiore consistenza nella Unknown Rebel Band di Giovanni Guidi, formazione che a tre anni dalla nascita si presenta decisa e compatta senza rischiare di cadere nella routine. Nell'esposizione collettiva di certi temi, la retorica enfasi melodica e il marcato impianto ritmico hanno offerto ben poco di jazzistico, appellandosi piuttosto al ridondante approccio delle bande di paese, delle bande processionali andaluse della Settimana Santa, delle festose orchestre nelle street parade del carnevale di Rio, perfino delle bande militari.
A tali momenti hanno fatto seguito sviluppi prorompenti, lanciando collettivi free, reiterazioni di contagiosa comunicativa, spunti solistici pregnanti: lirici quelli di Fulvio Sigurtà e Daniele Tittarelli, poderosi quelli di Giovanni Maier e Joao Lobo, di ribollente estroversione free quelli di Mirco Rubegni, David Brutti e Dan Kinzelman (che ha curato anche gli arrangiamenti di tutti i brani). Il trombone di Filippo Vignato ha inserito speziate sottolineature, mentre il piano di Guidi si è distinto soprattutto nelle insinuanti e ritorte introduzioni solitarie dei brani. Come in passato, i più evidenti precedenti storici della Unknown Rebel Band sono da individuare nella Liberation Music Orchestra, anche per le tematiche impegnate che ispirano la musica, e nella Brotherhood of Breath. Dal repertorio di quest'ultima sono stati anzi prelevati opportunamente (ed eseguiti magistralmente) un paio di brani, che si sono affiancati alle composizioni di Guidi, concepite su temperie e impianti analoghi.
Oltre agli appuntamenti serali, nell'offerta del festival non vanno sottovalutate le proposte diurne, soprattutto i concerti solitari mattutini di due validi ma poco noti pianisti, svoltisi sotto le volte della Taverna Rione Ammanniti. Francesco Grillo, non più giovanissimo, di origine friulana ma milanese d'adozione, ha palesato una solida formazione classica (ambito in cui solitamente si esprime): non solo nella tecnica (un'agile mano sinistra, un appropriato uso dei pedali, una gradazione dinamica dal fortissimo al piano...), ma anche nella concezione degli original. Ora turbinosi e percussivi ora delicatamente evocativi, essi derivano più da Ravel e Prokofiev che da Monk o Bill Evans, più dalle movenze impressionistiche che dal pianismo stride, bebop o free. Ne è risultato prevalentemente un neo-romanticismo possente e partecipato, lontano da uno sterile esercizio accademico. In un repertorio di original, in cui ha spiccato una sorta di fantasioso incrocio fra ragtime e choro, è stato inserito anche un tema di Krzysztof Komeda.
Anche il ventunenne umbro Manuel Magrini è in possesso di una buona tecnica di derivazione classica. Personali armonizzazioni e scorribande rapsodiche hanno caratterizzato le sue rivisitazioni di standard ("Gloria's Step," "Pannonica," "Maiden Voyage"), mentre il tono evocativo dei suoi original è stato irreggimentato da una diteggiatura granitica e da una scansione ritmica forse un po' troppo rigida. Un più ampio spettro dinamico e timbrico gioverebbe alle sue interpretazioni, ma lasciamo a questo giovane talento di crescere in esperienza e personalità.
Fra gli appuntamenti gratuiti dislocati in suggestivi angoli del centro storico in queste tre giornate, almeno un paio meritano una citazione. Il collaudato sestetto partenopeo Slivovitz (tromba, sax, violino, armonica a bocca, chitarra, basso e batteria) ha proposto un mélange di funky, rock-jazz, cadenze balcaniche ed altro ancora, che è risultato tutt'altro che scontato, anzi di sicuro impatto per il dinamico impianto degli original, la compattezza degli arrangiamenti e la genuina, tonica esuberanza esecutiva.
Il recente sodalizio fra l'esperto Enzo Pietropaoli e il giovane chitarrista romano Adriano Viterbini (incontratisi quasi per caso grazie al fatto che entrambi risiedono nel quartiere Testaccio) si basa sulla comune passione per il blues e il Rhythm & Blues. Nell'interpretazione di classici del genere e di original, il loro set pomeridiano ha sprigionato vitalità e poesia, ma soprattutto un radicamento nella storia che è stato rianimato dalla forte motivazione e da una terrena densità sonora.
Foto di Roberto Cifarelli.
Tags
PREVIOUS / NEXT
Support All About Jazz
All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who make it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.





